mercoledì 29 marzo 2017

Il racconto di Simona

Di Simona Vannozzi

In una bellissima giornata di primavera, mi trovavo in un bosco in un paese in provincia di Matera a sedere sull'erba fresca e bagnata. Mi sentivo bene, leggera un libro in armonia ed ero arrivata al quarto capitolo della storia, mentre l'assassino aveva ucciso un’altra vittima una giovane donna. Ad un tratto sentii muovere qualcosa, strani rumori come qualcuno che camminava verso di me. Mi prese un tremito improvviso ma non c'era nessuno. Chissà? Ripresi a leggere il mio libro. Il vento aveva incominciato ad agitarsi e mi spettinava i capelli ed un grande freddo mi prendeva tutto il corpo. Ma il libro che leggevo mi piaceva troppo e nonostante il maltempo continuai a leggere. Un grido improvviso, sentii urlare, da lontano. <Basta sono stanca, vattene, esci di casa e non tornare mai più. Ti odio>. Alzai gli occhi per un istante e vidi arrivare verso di me una bambina che piangeva. Si avvicinò e continuò a piangere. In quel momento mi prese il panico, non sapevo come gestire la situazione.  La bambina si avvicinò, mi prese la mano e disse: <Ho paura. La mia mamma è cattiva, urla sempre e spesso mi picchia. Ti prego, aiutami!>.La guardai e vidi me stessa! I suoi occhi colmi di lacrime, un corpo esile e i vari lividi di violenza sulle gambe e sul braccio sinistro. Io le dissi: <Rimani pure con me, se vuoi parliamo>. Lei mi guardò e continuando a piangere fuggì. In quel momento non ebbi la forza di respirare, ormai avevo paura. Cosa dovevo fare? Mi alzai e raggiunsi il tratto di strada che la ragazzina aveva appena percorso. Un luogo di soli campi, fiori e boschi. Non c'era niente e nonostante la paura continuai a camminare fino a quando arrivai nei pressi di una casa. Era un’abitazione diroccata, cadeva a pezzi, come se nessuno l’avesse abitata per anni. Ma allora quella bambina dove sarà? Non riuscivo a capire e incamminandomi verso il paese piano piano tornai a vedere la vita del centro cittadino con le persone, i bar affollati, i ragazzi che giocavano a pallone, il chiasso, i rumori e tutto tornò come prima. Ma quella bambina che fine ha fatto?


La forza e l'equilibrio

Di Simona Vannozzi

Guardando al cielo
Camminando su di un filo,
Una corda fine fine.
In equilibrio,
con la paura di cadere
il vuoto!
A mille metri di altezza
Adrenalina dentro di me
Ansia, i battiti del cuore,
Il respiro che ti manca,
le mani che ti tremano
e i tuoi piedi sono in bilico.
È adesso!
Sensazione di libertà
Come un’aquila che prende il volo,
libero e leggero
Silenzio, Silenzio, Silenzio.
Suoni e canti meravigliosi.
Chiudo gli occhi
La natura è dentro di me.
La forza è dentro di me.
Attimi e sensazioni sono dentro di me
L'equilibrio è dentro la mia anima
che fugge e ritorna.
Ma un'aria nuova è dentro di me
L'aria.
Aria, Purezza, Meraviglia.


La nascita di Stellina

Di Luana Baldacci

Molti anni fa, quando avevo undici anni, dopo aver finito la scuola, aver dato gli esami  di quinta e quello di ammissione alle scuole medie, essere stata promossa per gli esami con la media del 9 su 10, mi preparavo felice alle mie meritate vacanze, contenta di prendere le distanze dalle mie “care” ziette che non vedevano l‘ora di levarmi di torno. E così pensavo felice  che dal 25 di Giugno sino al 10 di Ottobre  sarei stata mandata a Borgo a Buggiano, un borgo sulla strada  del Brennero dove avrei rivisto la mia cavalla preferita: Rosina! Io l‘avevo chiamata così perché il suo manto, di tenue color beige, tendeva un po’ al rosa. Quando il pullman arrivò sul posto si fermò, scesi di rincorsa portando con me la mia valigetta (un sacchetto di tela grigia) con dentro la biancheria ( due/ tre vestiti per il cambio) e due paia di pantaloncini. A me sarebbero serviti solo i pantaloni e i reggiseni perché dall’ anno prima ero diventata, come era detto dire, ”signorina”: che palle! Arrivata di corsa alla cascina della fattoria mi buttai di slancio tra le braccia di nonno Berto, il padre di mio zio Marcello e suocero di mia zia Libera. Lo strinsi più forte che potevo dalla contentezza di essere accolta in casa loro, salutai frettolosamente tutti i cugini ed amici della mia età circa, poi mi staccai da tutti loro e con voce alta e squillante chiamai: <Rosina, Rosina dove sei ?> e Rosina mi rispose con un lungo nitrito. Rosina era poco distante nel prato a brucare l’ erba verde. Le corsi incontro per abbracciarla e baciarla sul suo bel muso e lei mi restituì i baci che le davo con una linguata che lavò tutto il mio viso, poi mi staccai un poco da lei perché volevo guardarla in tutta sua bellezza di cavalla
 <Oddio Rosina, che ti sta succedendo? Hai una pancia enorme!>
 Nonno Berto, che mi era venuto dietro, appoggiò le mani sulle mie spalle e mi disse sorridendo:  <Calmati  Luana, Rosina sta benissimo di salute, sta solamente aspettando di far nascere il suo piccolo perciò è semplicemente gravida!>
<Quanto le manca di tempo nonno Berto ?>
<Pochissimo tempo e tu lo vedrai appena nato, sarai la prima, te lo prometto. Adesso  andiamo in casa che è l‘ora di cena!>
Rosina ci venne dietro ed entrò tranquilla nella grande stalla con il pavimento coperto di paglia gialla freschissima che profumava l’intero ambiente . Prima di andare a letto chiesi a nonno Berto se potevo andare a dare la buonanotte a Rosina e al suo pancione. Fui accontentata con un bel sì e così andai nella stalla a dare la buonanotte alla mia bella cavalla che stava per diventare mamma. La trovai sdraiata sulla paglia, su di un fianco. La baciai sul muso e le accarezzai il pancione e lei, guardandomi con i suoi occhioni, fece un debole nitrito di saluto; poi reclinò la testa appoggiandola sopra la paglia morbida. Le detti un altro bacio e accarezzandole la testa le augurai la buonanotte dicendole: <Ciao Rosina, a domani mattina> Poi, io ed i miei quattro cugini, fummo mandati a letto nella stanza superiore. Ma io ero nervosa e non riuscivo a prendere sonno e mi giravo e rigiravo in quel letto pieno e soffice fatto di foglie di granturco. I miei cugini dormivano tranquilli, io invece no ed ero attenta ad ogni rumore che veniva dal basso, quando ad un tratto sentii la porta della stanza aprirsi e il nitrito quasi disperato di Rosina. Il mio cuore cominciò a battermi in gola e, piano piano quatta quatta scesi dal saccone e uscii all’aria aperta per andare nella stalla. Nonno Berto e mio zio, suo figlio, erano in ginocchio vicinissimi a Rosina che stava iniziando a partorire il suo piccolo e si lamentava quasi sottovoce.
<Bisogna far presto, non c’è troppa dilatazione...> diceva Berto a suo figlio.
<Babbo è la prima volta che ti do una mano in questo caso, ho le mani più grandi delle tue e le sto facendo male sul serio>.
A quel punto  mi feci coraggio e tremando un po’ entrai dritta nella stalla dicendo ad alta voce: <Io ho le mani piccole e le braccia lunghe, voglio dare aiuto a Rosina e a voi due, vi prego!> Si girarono tutti e due e mi guardarono sbalorditi
 <Luana>  disse nonno Berto <e tu saresti capace di fare cosa stai dicendo?>
<Sì> risposi io caparbia <io voglio bene a Rosina e  voglio aiutarla per non farla soffrire troppo, sono pronta a farlo e non ho paura del sangue. A me non fa schifo niente e sono pronta a darvi tutte e due le mani che sono piccole e farò del mio meglio per non far soffrire la mia amica Rosina>
Un altro nitrito di dolore ed io, scansando mio zio, mi inginocchiai dietro le zampe della cavalla e, come lo avessi sempre fatto, infilai una per volta le mie mani allargando le braccia finché, mentre mio zio pigiava con forza gentile la pancia di Rosina, riuscii a sentire le zampette del cavallino che afferrai assieme a nonno Berto tirandole con forza e sudando come una fontana per la paura di non riuscire a tenere strette le zampette del piccolo. Finalmente due zampette coperte di sangue uscirono fuori, tenute tutte e due da Berto mentre le mie mani e le mie braccia erano ben infilate dentro Rosina che via via nitriva.
<Tira più forte nonno, io ho tutto il corpo del cavallino sotto le mie mani e lo sto spingendo verso l’uscita>
 Per me quelli erano momenti di terrore perché avevo una paura folle di non farcela più a spingere quel corpicino e cominciavo a sentirmi stanca.
<Pigia più forte sulla pacia!> dissi urlando a mio zio e piano piano le zampe uscirono del tutto fuori.
<Stai attenta bimba> mi disse Nonno Berto <Bisogna che venga fuori con tutta la placenta intera, hai capito?>
Io dissi di sì muovendo la testa ed un filo di voce mentre le mie mani pigiavano il corpo viscido e bagnato di sangue mi posi una domanda alla quale non sapevo dare una risposta: ma che cos’è la placenta? Boh? Non lo so, speriamo bene. Ero nervosa ed emozionata per quanto stavo facendo ed avevo un’enorme paura. Alla fine, non so quanto fosse passato da quando avevo infilato le mie mani dentro il corpo di Rosina, che smaniava con la testa e nitriva sempre più spesso e più forte. Il corpo del cavallino uscì del tutto fuori ed io allora, pensando a quella placenta, arrivai a prendere con tutte e due le mani la testa del cavallino nascituro e con delicatezza, ma fermamente, riuscii, aiutata da Berto e dallo zio a fare uscire all’esterno la testa del cavallino dal corpo della madre che emise un forte e lungo nitrito che a me sembrò di gioia. Lo zio tolse la famosa placenta intatta dalla testa del cavallino, poi disse con voce contenta che ero stata veramente brava e coraggiosa per quello che avevo fatto con le mie braccia di ragazzina, poi mi baciò sulla testa bagnata dal sangue e dal sudore e guardandomi disse: <è una femmina, che nome le vuoi mettere Luana?> Io guardai la cavallina sul musetto e mentre Rosina la puliva con la sua grossa lingua, notai nel mezzo della fronte,  un ciuffetto di pelo scuro e spontaneamente dissi: <sul capo ha la forma di una stella perciò lei è la mia Stellina>. Rimanemmo lì in attesa che Stellina riuscisse, dopo molti tentativi, a mettersi in piedi con le zampette vacillanti. Alla fine ci riuscì e si attaccò con avidità alle mammelle della madre per succhiare il latte che l’avrebbe fatta crescere bella e sana. Nel frattempo lo zio Marcello stava ripulendo la stalla dal sangue del parto andato a buon fine e guardandomi negli occhi mi disse compiaciuto: <Guarda, questa è la placenta tutta intera, sei stata veramente brava e capace>. Ed intanto era arrivata l’alba ed io stanca ma felice mi buttai sulla paglia asciutta e pulita e dissi con un filo di voce: <Nonno, zio io ora dormo qui con loro!> E fu così che la cavallina diventò mia e non si faceva toccare da nessuno che non fossi io e me la godetti dal 25 di giugno fino al 10 di ottobre. Lei si inginocchiava per farmi salire sul suo dorso macchiato di beige e di bianco e ce ne andavamo a passo lento a fare passeggiate sulla riva del Serchio, sempre più lunghe e svelte.


Dedica a mia cognata

Di Letizia Lettori

All'inizio non avevo un bel rapporto con mia cognata Fulvia. Sentivo che mi stava portando via mio fratello di cui, fino ad allora, mi ero occupata io. Dopo la morte del mio babbo siamo riuscite a chiarirci ed il nostro rapporto si è trasformato. Adesso se ci incontriamo per strada ci salutiamo e chiacchieriamo come due amiche. 
Perdonami Fulvia per come ti ho trattato. So che mi sono comportata male con te; ero gelosa di mio fratello, ma ora ho capito che tu gli vuoi molto bene e lo tratti come un tesoro.
Nella mia cognata Fulvia ho trovato un'amica onesta, sincera, leale e anche sportiva che mi tratta come una di famiglia. Ed io le voglio tanto bene.

Vita

Di Luana Baldacci

Siamo vicini alla Pasqua, la sessantanovesima Pasqua che sto vivendo. Bene o male vivrò anche questa, ma in questo periodo non sto troppo bene. La vita vissuta, gli sbagli che ho fatto (forse sbagli, ma chissà anche svolte di vita). Tutto è scritto, tutto è segnato, è tutto vero, è tutto sbagliato. Mi fu detto un giorno in cui cercavo conforto. “La tua è una scelta di vita” ma a me sembra di non aver mai scelto niente e che tutto ormai mi sia crollato intorno. Ho bisogno di amore ma non ce l’ho e non so a chi rivolgermi per averlo; mi sembra di darne tanto ma forse mi sto sbagliando. È tanto che sbaglio tutto, ma poi mi guardo attorno ed è primavera: uno scoppio di colori, un cielo azzurro, un vento leggero e frizzante. Mio Dio, quanto è bello il mondo, quanto è grande l’ universo, quanta luce c’è nella vita, quanto amore!  E allora perché dentro di me il cuore piange e sento che vorrei morire, lasciarmi andare e non essere più? Ma bene o male son qua e qua voglio restare perché infine amo la vita e con lei amo l’amore!


venerdì 24 marzo 2017

Alice

Di Susanna Nigiotti

Già da prima di prendere le analisi capii che dentro di me stava nascendo una creaturina!
Ti amavo già!
Quando ho avuto la conferma pensai da un miracolo.
Non si può spiegare l’emozione e la felicità all’idea di diventare mamma.
L’avrei gridato al mondo intero.
Vivevo ogni giorno in uno stato di grazia.
Pian piano crescevi, ti formavi.
Alla prima ecografia eri più o meno un fagiolino e quando mi fecero ascoltare  il cuore fu un’emozione che credo non ne esistano di più grandi.
Nei miei pensieri ti immaginavo, pensavo a chi avresti potuto assomigliare, come saresti stata e non vedevo l’ora di abbracciarti e respirare il tuo odorino.
Il 16 Ottobre, alcuni giorni prima che finisse il tempo, forse perché ti eri annoiata o forse perché volevi vedere la faccia dei tuoi genitori e noi la tua, entrai in travaglio.
E così il 17 ottobre 1984 alle ore 13;50 sei nata.
Una bimba dissero.
Lo sapevo, era già stato scelto anche il nome: Alice.
Ti misero vicino al mio viso avevi i capelli neri e un visino paffutello.
Per me eri la più bella del mondo.
Benvenuta al mondo!
Ti dissi.

E oggi ti amo più di me stessa.


Agnese

Di Susanna Nigiotti

Agnese.
Ti sono venuta a prendere in un pomeriggio di Settembre caldo e soleggiato.
Ti vidi subito, eri insieme alle tue sorelline.
I tuoi occhioni grandi mi strinsero il cuore, ti presi in braccio e scoppio l’amore.
Il tuo corpicino caldo, il cuore che batteva forte.
Pensai subito: è lei che porto a casa con me per passare giorni stupendi che mi donerà ogni giorno.
La tua dolcezza infinita, la mia compagna di viaggio. 
Questa è Agnese la mia adorata cagnolina. Ti amo.

giovedì 23 marzo 2017

Moolight: tra innocenza e uguaglianza

Recensione del film vincitore del premio Oscar: Moonlight

Di Paolo Di Giuseppe, Virginia Gasperini e Sabrina Caluri

L’innocenza che da bambino ti assorbe con le fantasie spensierate tra amici, in alcuni casi ti pone di fronte ad una realtà che non si è mai “corazzati” abbastanza per poterla affrontare, fino a che, dopo anni di discriminazione, la stessa violenza diviene padrona di te stesso creando così un’arma incontrastabile, immediata e di semplice difesa. La paura espressa dal protagonista nel film padroneggia l’animo costantemente afflitto da una società che non accetta la semplice diversità come ad esempio il colore della pelle, l’inclinazione sessuale o la provenienza delle proprie origini, facendo così sorgere rabbia e frustrazione che vengono mascherate da un atteggiamento taciturno e remissivo, che alla fine rende il protagonista incapace di affermare tra i coetanei la propria identità. La discriminazione consiste in un trattamento non paritario attuato nei confronti di un individuo che, in questo caso, prova paura per l’enorme difficoltà nell’affermarsi e nel reagire davanti all’insulto. Il tutto è accompagnato da una fragilità d’animo per l’impotenza nel confronto con i suoi coetanei dove l’unica soluzione ricade nell’istinto di sopravvivenza e nella crescita personale: reagire per sopravvivere è la regola che trascina il film e, anche se con violenza, la forte discriminazione porta il ragazzo a trovare una forma di espressione contraria a ciò che egli stesso subiva rivolgendosi a tematiche “salva vita” come la validità dell’amicizia o dell’amore, ma soprattutto la comprensione connessa all’accettazione della sua situazione critica e la forte volontà di poterla cambiare. La società ed i suoi componenti dovrebbero accettare il prossimo per come è senza pretendere di modificarne le caratteristiche e il suo modo di essere secondo definito da ipotetici protocolli sociali; abbattere queste barriere  è il messaggio che il film vorrebbe mandare allo spettatore e noi, nel nostro piccolo, condividiamo affermando che la vita ci pone condizioni che vanno affrontate e di fronte  ad esse siamo tutti indistintamente uguali.

Un'amica a quattro zampe

Di Liliana Fabbri

Questa è la storia di Leila, la mia cagnolina. Un giorno come un altro trovai un piccolo cane lupo meticcio di un anno e mezzo in uno scatolone abbandonato. La poverina non aveva microchip così la adottai e divenne parte della famiglia. A quell’epoca abitavo con mio marito Angelo e i miei figli Giulia e Francesco in via dei Campi 44, una casa a Montenero che aveva anche un giardino e un giorno, a causa di una nostra distrazione, la nuova arrivata attraversò una rete, scappò e tornò incinta di sei cuccioli maschi, come ci fu precisato dalla veterinaria. Leila dormiva in un ripostiglio, una casina degli attrezzi che avevamo lasciato a sua disposizione e fu proprio lì che un pomeriggio verso le 17:30 iniziò a partorire. La adagiammo su di un grande telo affinché non toccasse il pavimento e uno per uno tirammo fuori i piccoli “sacchetti”, che senza il nostro aiuto non sarebbero usciti, e li aprimmo. Leila cominciò a leccare i piccoli appena nati per pulirli e presi per il collo, naturalmente con la delicatezza di una madre, li avvicinò ai suoi capezzoli perché si nutrissero. Fu un’emozione incredibile! Due dei cuccioli sembravano uno un labrador beige chiaro, l’altro un pastore tedesco marrone scuro e nero, mentre gli altri quattro erano in tutto e per tutto uguali alla madre, con la pancia bianca e la schiena a chiazze marroni e nere. Erano così belli con quelle codine che scodinzolavano e dato che erano tutti maschi non tardammo a trovar e per ognuno di loro delle famiglie che li amassero e li coccolassero. In seguito cambiai abitazione e il giorno di Natale persi la mia cagnolina; mio genero, che la stava portando al guinzaglio, perse il controllo così lei fuggì e fu investita da un treno. Sono trascorsi molti anni da quell’episodio ed oggi possiedo un altro cane di nome Pongo che tra poco compirà un anno e a cui voglio davvero un gran bene. Concludo ricordando a tutti che quando trovate un amico animale non importa che sia maschio o femmina, lui/lei vi dimostrerà gioia e amore e rimarrà per sempre il vostro migliore amico. 


Un sabato tra storia e natura

Di Liliana Fabbri

Sabato 11 marzo insieme ad Enrico, noi dell’Associazione Mediterraneo ci siamo recati in visita al Museo di Storia Naturale di Livorno in via Roma. Ci siamo riuniti alle 10 di fronte all’ingresso, successivamente ci siamo diretti alla biglietteria dove ci sono stati forniti i biglietti omaggio e pochi istanti dopo abbiamo iniziato la vera e propria visita. Il museo è strutturato in diverse settori: La prima sala, separata dal resto dell’edificio principale è dedicata agli abissi e alla vita sottomarina, mentre gli altri settori si strutturano su tre piani all’interno del museo stesso.
All’interno della sala del mare, così si chiama la prima sala, vi è lo scheletro di una gigantesca balena che si arenò su di una spiaggia; purtroppo, quando fu rinvenuta, nessuno poté far nulla per salvarla e così, per ricordarla, il suo scheletro fu donato al museo. La sola vista di ciò che ormai rimane di quell’enorme animale ci ha meravigliati in una maniera incredibile, ma all’interno del salone le sorprese non erano finite. Tutto intorno a noi infatti vi erano delle vetrine che mostravano delle riproduzioni a grandezza naturale degli animali nei loro habitat, come il delfino comune, una piccola foca, pinguini imperatore, pinguini comuni, stelle marine, aragoste, strane meduse ecc. Le altre stanze del museo invece erano dedicate alle creature preistoriche e qui abbiamo potuto osservare i grandi e famosi animali dell’antichità come i mammut, orsi, tigri dai denti a sciabola, volpi e gorilla. Come dimenticarsi poi delle più celebri creature della preistoria: gli uomini! Le numerose vetrine mostravano le loro prime capanne e i lavori che egli effettuava con il legno e con le pietre. La sala del piano inferiore era interamente destinata all’esposizione di antichi reperti preistorici come selci affilate, rasoi, punte di lancia, di freccia e rudimentali coltelli, tuttavia anche qua non mancavano vetrine che mostrassero la vita quotidiana degli uomini primitivi. In una teca infatti abbiamo potuto osservare come i primi uomini andassero a caccia, spingendo la preda verso una fossa appositamente scavata nel terreno o come, una volta spellato l’animale, le pelli fossero essiccate e successivamente indossate come vesti. Le carni degli animali, almeno inizialmente, venivano mangiate crude nei pressi delle grotte, poi dopo la scoperta del fuoco (che l’uomo riuscì a riprodurre attraverso lo sfregamento di alcune pietre) l’uomo incominciò a cibarsi di carne cotta. Il fuoco: che grande scoperta! La sua luce riscaldò i nostri antenati nelle fredde notti e non solo permise loro di cuocere il cibo, ma li aiutò anche a tenere lontane le bestie feroci. Naturalmente, come sappiamo, l’evoluzione dell’uomo non terminò qui, anzi, proseguì e lo condusse sia a grandi scoperte e innovazioni tecnologiche o architettoniche, come la creazione delle palafitte, sia a cambiamenti fisici e così l’homo erectus, divenne l’uomo di Neanderthal che a sua volta divenne homo sapiens. Terminata la visita al settore dedicato alla preistoria siamo saliti al secondo piano in gran parte riservato agli uccelli. Qui infatti abbiamo trovato le riproduzioni di innumerevoli specie di volatili come gufi, aquile marine, aquile dalla testa bianca, aquile reali, falchi, pellicani e cicogne. Al terzo piano poi non solo abbiamo potuto osservare tanti altri animali come i pipistrelli o gli scorpioni, ma abbiamo addirittura potuto vedere come fossero fatti al loro interno. Infine ci siamo diretti verso la sala dove erano esposti crostacei, insetti e ragni, ma l’ora si era fatta tarda e siamo stati costretti ad andare via. In futuro spero di poter tornare e visitare, con ancora più di attenzione, ogni stanza in modo da scoprire cose sempre nuove. Ah, quasi dimenticavo! Come per altre visite ad attenderci e ad accoglierci abbiamo trovato il nostro amico Giuseppe D’Agostino che qui, da bravo esperto, lavora alla portineria. Concludo dicendo che la visita di ogni singola sala sono mi ha lasciata soddisfatta, contentissima ed entusiasta e ringrazio tutti gli operatori e gli addetti che contribuiscono a rendere il nostro Museo di Storia Naturale una vera e propria immersione nella storia e nella natura e che, anche questa volta, ci hanno permesso di entrare gratuitamente.

mercoledì 22 marzo 2017

L'umiltà

Di Letizia Lettori

Essere umili è la forza che si crea fra gli amici sinceri e leali e fra tutti noi bisogna sapere perdonare la diversità, cioè bisogna provare ad aiutare le persone e a mettere sulla buona strada coloro che ci fanno del male.
L'umiltà è la verità della vita, nella nostra diversità e di fronte a qualsiasi difficoltà siamo tutti indistintamente uguali.

Il gatto fantastico

Di Letizia Lettori

Racconto di una storia riguardante un gatto:

Il gatto in questione viveva con la sua famiglia in  una piccola casa in centro città vicino ad un castello che si  trovava a Livorno.
Lui mandò  a scuola tutti i suoi figli per fargli apprendere dei mestieri che per loro potessero essere utili  per  un futuro migliore e per costruirsi una famiglia cosi che anche loro potessero vivere felici e contenti.


mercoledì 15 marzo 2017

Un sabato al Parco Gallorose

Di Laura Libardo

Sabato 4 Marzo sono andata con l’Associazione Mediterraneo a visitare il Parco Gallorose,  l’ Oasi Faunistica di Cecina. Si è trattata di una vera e propria immersione nella natura e ho potuto vedere tantissimi animali che non conoscevo. Appena entrati abbiamo notato affissa una legenda che elencava i diversi gradi di pericolo rispetto all’estinzione delle varie specie. Secondo la legenda le specie a rischio minimo sono ancora sufficientemente diffuse e non in pericolo di estinzione. D’altra parte, quelle in pericolo, sono caratterizzate da un numero esiguo di esemplari. Successivamente si trovano le specie in grave pericolo il cui habitat è ristretto ad aree limitate. C’è poi il livello degli animali estinti in natura, ma presenti solo in riserve o in luoghi di ricerca. Infine l’ultimo grado racchiude tutti quegli esemplari che sfortunatamente sono estinti sia in cattività che in natura. Durante la visita ogni recinto riportava il livello di diffusione della specie in maniera da capire quali specie fossero più fiorenti e quali più a rischio. L’oasi era divisa in aree corrispondenti ai continenti: Europa, Asia, Africa, Americhe e Oceania. Il percorso inoltre prevedeva la visita all’area della fattoria in cui erano ospitate le razze di animali domestici di un’antica e tipica fattoria toscana. Quest’area aveva anche piccoli angoli di museo dove erano esposti attrezzi usati nella coltivazione come aratri, trebbiatrici e presse. 
Il Parco ospita centocinquanta tra specie selvatiche, domestiche e uccelli. Esso è nato per diffondere una maggiore consapevolezza dell’importanza della biodiversità, ovvero l’enorme varietà delle specie viventi;  inoltre incoraggia la conoscenza di specie selvatiche e domestiche, degli habitat naturali e seminaturali ed educa all’ecologia, ovvero all’uso sostenibile delle risorse umane.
Gli animali erano davvero tantissimi e anche solo guardarli o fotografarli è stato molto bello, anche se a volte ci si chiede se stiano bene lì o stiano meglio liberi. Tuttavia questa oasi, secondo me, serve a sensibilizzare riguardo l’impatto dell’uomo sulla natura stessa che troppo spesso si rivela un’aggressione e non una convivenza come invece dovrebbe essere. Infatti se non si tratta di un’aggressione diretta agli animali (cioè l’uccisione per soddisfare delle inutili vanità quali pellicce, piume, pelli, corni) c’è un annientamento indiretto tramite la distruzione degli habitat nel quale gli animali vivono:  ad esempio si sostituiscono le foreste con le colture e tutto questo riduce alcune specie a pochi esemplari. Sembra incredibile che esista un mondo in cui l’uomo uccide altri animali tanto da farli scomparire. Inoltre ci si rende conto dell’indifferenza e dell’immobilità da parte di chi a livello nazionale e globale dovrebbe garantire la salvaguardia dell’ambiente, dato che questa situazione che si rivela dannosa sia per l’ambiente che gli animali non sembra avere una battuta d’arresto.
Comunque la maggior parte delle specie nell’oasi non era in pericolo di estinzione. Tra le specie selvatiche abbiamo osservato gruppi di canguri giganti rossi (che camminavano goffamente perché anatomicamente predisposti al salto), wallaby di Bennet, rare antilope del Sudan, bertucce, cebo dai cornetti, fennec, volpi giganti, civette delle palme, scoiattoli giganti neri, i gatti di palude e poi cervi, renne, asini e cavalli nella fattoria, caprette tibetane,  capre, daini ed infine i buoi dei Watussi con le loro enormi corna. Fra gli uccelli vi erano pappagalli di colore e specie diversi, gru, oche, galli selvatici, fagiani, avvoltoi delle palme, aquile, fenicotteri, struzzi, corvi e l’uccello con la coda più lunga del mondo.
Fra le razze domestiche nella fattoria vi erano invece le mucche pisane, il cavallino di Monterufoli, la pecora pomariciana, la gallina livornese e altri animali domestici provenienti da tutto il mondo come zebu, yak, alpaca, cammelli, tacchini e pavoni. Personalmente mi ha fatto molto piacere vedere animali di cui non conoscevo l’esistenza ed osservarne le molteplici varietà di specie e spero che in futuro vengano protette in modo adeguato e che non si estinguano.

Come devo fare?

Di Luana Baldacci

Come devo fare a scrivere qualcosa di positivo quando il mio cervello è accavallato su se stesso? Mi confonde le idee che si susseguono senza fermarsi mai un attimo da una parte, e lasciare me a partorire qualcosa di buono o interessante per me stessa e per quelli che stanno a sentire i miei sproloqui mentre vengono letti. Sto attraversando momenti sconcertanti e me ne sto accorgendo, ma non riesco a fermare una buona frase da buttare su uno di questi fogli. Questo mi fa arrabbiare molto. Cerco qualcosa, qualcuno che non c'è più da tanto, tanto tempo. È tutta la vita che inseguo questo sogno e ho cercato svariate volte, in modo sbagliato, di attuarlo. E intanto questa vita mi sfugge dalle dita senza una ragione, senza un perché! Il giorno si fa notte ed io sempre più sola e triste, cerco ancora qualcosa, qualcuno che non ho mai avuto e che forse c'è perché nemmeno nei miei sogni riesco a fermare la sua immagine che forse non c'è ma è soltanto dentro di me. E così piango in silenzio nella mia innata solitudine la sua mancanza che mi porterò dietro sino alla mia fine! Con la sua carezza mattutina che a volte aspetto restando sveglia che arriva puntuale di primo mattino.


A mia nonna e a mia madre

Di Letizia Lettori

Mi appare il fantasma della mia nonna

Tutte le sere mi appare il fantasma di mia nonna. Lei, dolcemente minuta e snella, mi parla e mi dice che dove vive ora sta bene e non solo è felice, ma ha anche ritrovato l’affetto di sua figlia che nella vita reale aveva perso. Lassù ora vivono serene, contente della reciproca compagnia, l’una accanto all’altra e sempre circondate da amici.











Pensiero sul pentimento


Il mio cuore porta un peso; esso è pieno di dolore perché pensa ad una persona cara a cui ha voluto bene con tutta l’anima ed il suo unico pentimento è non averle dimostrato quanto la amasse. 

lunedì 13 marzo 2017

Ricordi ed amori

Di Riccardo Favilla

Ricordi 

Ricordi di un passato che non ritorna.
Ricordi di quando ero bambino e andavo sulla spiaggia con mia madre.
Ricordi di una vita passata tra alti e bassi.
Ricordi di mille amori ormai passati trascorsi rovinandomi la vita.
Ricordi di quando con i miei amici andavo a ballare.
Ricordi, mille, cento ricordi.  

Credits to Comunità di Santo Stefano

















Amori

Amori fragili, amori indistruttibili, amori infiniti.
Amori per persone diverse che cercano un motivo per vivere.
Amori per i poveri che fanno la fila alla Caritas per un tozzo di pane.
Amori per gli immigrati che fuggono dalla povertà e dalla guerra.
Amori per i figli che sono in guerra nel mondo per cercare di riportare la pace.
Amori per i bambini soli che cercano un po' di amore in una nuova famiglia.


venerdì 10 marzo 2017

Mi presento sono Susanna

Di Susanna Nigiotti

Ciao, mi chiamo Susanna, ho cinquantacinque anni, un marito Franco e una figlia di nome Alice di trentadue anni. Sono bipolare da trent'anni. Ho avuto ricoveri e ho assunto tutti i farmaci in commercio ma ahimè rispondo poco ai farmaci. Comunque ero una persona attiva, guidavo, facevo la spesa, avevo amiche, portavo fuori la mia amata cagnolina (che è stata con me per diciassette anni), frequentavo anche la palestra dove ho fatto spinning ed ho lavorato in vari ristoranti come aiuto cuoca. Da qualche anno non riesco a fare più niente. Iniziò tutto un giorno che ero fuori in macchina: mi persi e non sapevo più dove fossi. Certe volte addirittura non riuscivo più a riconoscere Franco e Alice, ma sopratutto non riconoscevo più me stessa. Così la paura mi ha fatto chiudere in casa allontanandomi da tutti; non volevo vedere nessuno. Ormai esco solo con mio marito perché è la persona della quale mi fido di più, ma a dir la verità poco anche con lui perché proprio non ce la faccio. Il dolore che mi prende dentro è indescrivibile, non si può raccontare e per placarlo devo prendere dei farmaci che mi facciano dormire. L'unica cosa che mantengo attiva è la lettura eppure mi reputo fortunata perché ho un marito e una figlia meravigliosi sotto tutti i punti di vista. Per quanto riguarda la mia malattia e coloro che mi giudicano soltanto una poverina e una disgraziata, mi rendo conto che sia una malattia "difficile" ma come tante altre e che i poverini, in fin dei conti, sono gli altri. Quando sto un po' meglio anche bere un bicchier d'acqua mi sembra la cosa più bella del mondo e godo della semplicità delle cose. 


lunedì 6 marzo 2017

The Floating Piers

Di Youlia Andreeva

Vorrei raccontarvi di un’esperienza che ho avuto il piacere di provare a giugno del 2016. Si tratta di “The Floating Piers” del noto artista contemporaneo Christo. Questo progetto nasce negli anni ’60 quando era viva ancora sua moglie Jean Claude di origine francese che l’ha accompagnato in tutte le sue opere. Per questo progetto hanno chiesto a diversi stati di poter realizzare “The Floating Piers”, ma hanno sempre ricevuto risposte negative, fin quando nel 2014 fanno un sopralluogo a Sulzano sul lago di Iseo in provincia di Brescia, presentando al sindaco del paese il progetto. Il primo cittadino intuisce la genialità dell’idea e il grande indotto economico che potrebbe portare al territorio e accetta. Da lì Christo si rivolge a tutte le autorità per i vari permessi. A novembre del 2015 iniziano i lavori sul lago di Iseo dove un’equipe di ingegneri, progettisti e architetti sviluppano l’idea fino al minimo dettaglio. Dopo qualche mese arrivano dalla Bulgaria una squadra di ragazzi che frequentano l’Accademia dello sport a Sofia e cominciano il montaggio dei cubi di polietilene. In seguito ad un costante impegno da parte di tutti si arriva all’inaugurazione del 18 giugno 2016. L’istallazione rimarrà aperta per le due settimane seguenti e verrà calpestata da un milione e mezzo di visitatori. Anche io ho avuto la fortuna di camminare scalza sulla stoffa giallo-dalia cangiante che ricopriva i cubi di polietilene che costituivano l’istallazione. La sensazione che ho provato è stata come camminare su dei batuffoli di cotone e ancora più bello è stato il senso di camminare sull’acqua. Un’esperienza unica ed irripetibile ed è stato un grande successo mediatico che ha permesso al mondo di conoscere il lago di Iseo, il luogo dove io sono cresciuta.  

giovedì 2 marzo 2017

Il ricordo di mia madre

Di Meri Taccini

Ancora una notte senza dormire e ancora una volta guardo al passato che non è molto lontano. Il primo novembre del 1995 alle ore 21,45  mia mamma emanò l’ultimo respiro e fui io ad accorgermi che mia mamma non c’era più;  guardai i miei fratelli e dissi, fredda e impassibile: << Mamma ci ha lasciato>>. Loro scoppiarono in un  pianto dirotto mentre io non riuscii a versare neanche una  lacrima. Quando la mattina dopo andammo alla camera mortuaria le portammo i vestiti che le piacevano tanto ed entrando in quella stanza la vidi là immobile su quel marmo freddo. Riuscii soltanto a farle una carezza e poi, usciti, aspettammo che la conducessero in un’altra sala dove avremmo potuto iniziare la veglia. Ricordo che io, le mie sorelle e i miei fratelli stavamo lì con lei e sedute poco lontano c’erano due zie che io avrei voluto il più lontano possibile da noi. Ad un certo, durante la cerimonia, udii delle parole uscite dalle loro bocche, che mi fecero davvero arrabbiare così mi voltai e intimai loro di uscire. Entrambe sbigottite mi chiesero il motivo della mia reazione, ma questo non fece altro che alimentare la mia ira al punto da arrivare a cacciarle fuori dalla stanza. Il giorno dopo accompagnammo mia mamma  nel suo ultimo viaggio.  L’anno dopo non ho più resistito e sono scoppiata e dapprima ho iniziato con un forte esaurimento nervoso che mi ha portato ad  alternare forti stati depressivi e ansiosi a molti tentativi di suicidio. Solo dopo molti anni ho capito che con quei gesti avrei soltanto fatto stare male i miei fratelli e molto lentamente sono riuscita a tornare alla vita, ma portando sempre con me nel mio cuore la

MIA dolce e buona mamma


Un sogno fiorito

Di Virginia Gasperini

Mi trovavo in una città fantastica con fiori e piante e nel bel mezzo di un prato fiorito c’era una barca. Non so bene cosa ci facesse là, ricordo solo che a bordo c’eravamo io e le mie due amiche più importanti; ad un certo un’ondata troppo forte colpì la nostra imbarcazione e le mie amiche, che si trovavano sul bordo, rischiarono seriamente di scivolare via. Io, non avendo equilibrio, mi gettai verso di loro per salvarle ma, facendo così, fui io a scivolare. Improvvisamente arrivò come un angelo che mi disse: << Arreggiti alla barca e vedrai che ce la farai>>. Le mie amiche, rimaste nella barca, provarono a farmi salire tirandomi su con entrambe le mani, ma nonostante il loro aiuto io continuavo a cadere in mare. D’un tratto però sentii una spinta da dietro, come se qualcuno alle mie spalle mi stesse aiutando a salire e alla fine riuscii nella mia impresa. Sebbene fossimo su di una barca, non dimentichiamoci che ci trovavamo in mezzo ad un prato... Qui scorgemmo un cervo che ci parlò e ci disse: << Dove siete dirette?>> ed io e le mie amiche rispondemmo: <<  Verso la terra ferma, che era un isola>> e dopo Egli disse: << Vi ci porto io con una corda se a voi va bene>>  così noi acconsentimmo e il cervo, mettendosi la corda in bocca, la legò alla barca a motore e ci trainò fino ad un'isola senza guerra. Anzi, gli abitanti che incontrammo, dei veri e propri animali parlanti, ci regalarono bellissime e colorate ghirlande di fiori come dono per il nostro arrivo perché in quella terra non c'era mai entrato nessuno.

Ancora

Di Luana Baldacci

Ancora il tempo
continuerà a scivolarmi
come sabbia dalle dita...
E vedrò, forse, sorgere mille albe
addormentarsi mille tramonti...

Così dal mio viso sarà svanito il giovane sorriso
e il tempo avrà scavato rughe e indebolito le membra.
Ma i ricordi non invecchieranno,
non saranno polvere soffiata dal vento... 
Ed ogni volta, quando mi regaleranno
un sorriso
quando si scioglieranno in pianto.

Oggi però voglio dire che...
Un solo volto vedrà
una sola voce echeggerà per me nell’aria...
Due bellissimi occhi soltanto attraverseranno i miei fino a raggiungere insieme...

L’ETERNITÀ




La malinconia

Di Letizia Lettori

Oggi 25 febbraio 2017 mio padre avrebbe compiuto gli anni e in un giorno come questo è inevitabile non tuffarsi nei ricordi e immergersi in un profondo stato di malinconia. Questa emozione non solo genera amarezza nel nostro cuore, ma ci fa sentire tristi e lontani dal mondo: soli. Troviamo dunque la forza di combattere la malinconia, la tristezza e la solitudine con l’amore delle persone a noi vicine. Ringrazio Rita, Vittoria, Pamela, Debora, Ines ed infine il nostro amico Edo.