lunedì 21 maggio 2018

La riconquista del tempo


La Redazione

Tra discussioni, spunti e contrasti produttivi le menti, i cuori e gli individui della Redazione dell’Associazione Mediterraneo hanno dato vita ad un’unione di pensieri qui sotto riportati.


Astratto e ineluttabile, esiste qualcosa di più inafferrabile del tempo?
Per quanto possiamo essere abituati a pensare ad esso come ad una lunga linea retta che percorre ogni momento della storia, basta un attimo per rendersi conto di quanto questa nostra concezione sia limitante e circoscritta alla nostra epoca e cultura.
Sono infatti i bisogni, le stagioni e le relazioni tra gli uomini che ne determinano l’essenza, la natura e ne scandiscono i ritmi. La percezione del tempo però non varia soltanto da contesto a contesto, ma come ben sapremo anche da individuo a individuo e nello specifico sono le emozioni e le nostre condizioni psicofisiche ad influenzarla; è per questa ragione che talvolta il ticchettio dell’orologio passa dal sembrarci sfuggente a qualcosa di interminabile o persino immobile.
Secondo quella che è la nostra esperienza, il tempo è un’occasione e spetta a noi trarne o meno beneficio. 
Se riusciamo a ritagliare del tempo per noi stessi, ogni singolo istante di quel magico momento che viene privato di qualsiasi frenesia o aspettativa, può divenire un’opportunità per soddisfare un nostro bisogno. D’altro canto, se soccombiamo ad un’immobilità, magari generata da un’attesa o dall’apatia, rischiamo di rimanere incatenati a noi stessi rendendo il nostro spazio circostante vuoto e buio.
Se dunque ci ritroviamo schiavi di un tempo statico ed inesorabile, esso finirà per divenire il protagonista effettivo della nostra quotidianità o peggio, della nostra intera vita.
Tutto intorno a noi, da ciò che ci è vicino alle realtà più lontane, percorre frenetico un sentiero che spesso ci sembra irraggiungibile; è difficile stare al passo con la realtà e più difficile ancora è non soccombere ai convulsi stimoli che essa quotidianamente ci offre. Che fare dunque, arrendersi all’ineluttabile o abbandonare se stessi ad una continua ricerca del nuovo o di felicità fittizie? Niente di tutto ciò. La felicità non è fatta di sfizi e passioni travolgenti, anzi, la vera felicità significa equilibrio e benessere. Di fronte all’impetuoso ciclone di eventi ed emozioni che ci ruotano attorno, fermiamoci ad apprezzare i piccoli istanti di felicità; la gioia degli amici, di far del bene, l’ascolto di una canzone e la calma e la semplicità di rimanere fermi di fronte al tempo, così, quasi per il gusto di non tenerne conto, come se vivessimo al di là del tempo stesso. Per sfortuna fin troppo frequentemente ansia e angoscia possono farci sentire tutto il loro peso e a conseguenza di ciò le ore, i giorni, i mesi e gli anni finiscono per dilatarsi e sembrarci eterni. Questo accade in condizioni di sofferenza emotiva o a causa di una malattia, ma parlare dei nostri affanni può farci riflettere su quanto il trascorrere del tempo possa mutare i nostri contesti emotivi, individuali e nelle relazioni con gli altri. Si pensi al rapporto medico-paziente; nonostante le attese infinite e le speranze spesso disilluse, è fondamentale che in cuor nostro rimanga stabile un sentimento di fiducia nel nostro curatore, il quale ci aiuterà sempre a vivere nel miglior modo possibile il nostro tempo.
Questo “atto di fede” nei confronti di chi ci cura è uno dei motori che sospinge la nostra volontà verso un miglioramento e verso lo stare meglio con se stessi e con gli altri. Aprirsi sinceramente e confidarsi significa accettare il proprio malessere, compiere i primi passi verso l’equilibrio ed una convivenza costruttiva con la propria malattia. Negare il disagio non fa altro che alimentare la nostra prigione trasparente, una prigione all’interno della quale si ha la sensazione di essere padroni del nostro tempo, ma che solo dopo molto ci farà capire di aver realmente perso quei giorni e quegli anni che non torneranno più. Sono le catene della malattia che ci rendono ostinati e che non ci lasciano essere consapevoli del nostro malessere.
La guarigione non è la fine del nostro stato di malessere, ma l’inizio di un percorso dove la malattia passa da essere causa delle nostre sofferenze a mezzo di azione nutrito da un’esperienza costruttiva. Se impariamo a conoscerla possiamo sfruttarla e controllarla per vivere dignitosamente i nostri spazi e il nostro tempo, dando così scopo ai nostri giorni.

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