lunedì 26 settembre 2022

Riflessioni sul supporto: le reti sociali

Lo studio delle reti sociali è importante perché queste definiscono abbastanza oggettivamente quanto uno è solo o quanto uno è supportato dagli altri. Gli utenti dell’Associazione Mediterraneo affrontano una riflessione sulla salute mentale e sulle reti sociali e di supporto su cui possono fare affidamento in caso di bisogno di un aiuto concreto.

 

Alessio: quando ho bisogno di un aiuto concreto, in particolare economico, mi rivolgo alla mia famiglia; se invece ho bisogno di parlare dei miei vissuti emotivi so di poter contare su alcuni amici di vecchia data, e anche 4 o 5 amici conosciuti all’Associazione Mediterraneo e all’Associazione Arlecchino.

 

Davide: per quanto riguarda i problemi di salute adesso affronto tutto da solo; prima, quando avevo la fidanzata, era tutto più facile perché facevamo le cose in due: lei ad esempio mi aiutava a misurare la pressione, mi accompagnava alle visite o al pronto soccorso in caso di bisogno.

Adesso se mi sento male chiamo il Frediani oppure il medico di base.

Nel tempo libero invece chiamo sempre una persona, Antonio, con cui esco ogni tanto.

Infine, se ho necessità di un aiuto economico mi rivolgo a mio padre.

 

Antonio: io non ho nessuno su cui far conto, solo su me stesso. Se ho bisogno di aiuto concreto, in particolare per questioni amministrative e burocratiche, mi rivolgo a Cristina, un’operatrice del Frediani; mi rivolgo a lei anche se ho qualcosa di cui parlare.

Per il resto mi sento molto solo. Il mio unico bisogno è trovare lavoro, ma non trovo niente, neanche con l’aiuto del servizio.

 

Francois: se ho bisogno di qualcosa di concreto mi rivolgo principalmente alla mia famiglia.

Quando invece sento la necessità di parlare con qualcuno mi rivolgo prevalentemente a Paolo Pini e agli altri operatori dell’Associazione; parlo molto delle mie cose anche con le persone qui che reputo miei amici: son sicuro che anche loro sarebbero in prima fila in caso di bisogno.

Con la parrocchia che frequento invece ho avuto delle delusioni e quindi non mi rivolgerei a loro in caso di bisogno, non ho neanche dei veri amici in quell’ambito.

 

Stefano: prima avevo una rete sociale molto ampia, ma adesso la famiglia non c’è più; purtroppo con il passare del tempo anche le mie vecchie amicizie si sono un po’ affievolite, ne son rimaste pochissime di persone che reputo veri amici: il mio tempo libero lo passo con loro.

In caso di bisogno per questioni mediche posso chiamare il Frediani.

Per le questioni materiali invece devo passare sempre dall’amministratore di sostegno.

Nonostante tutto ciò, in generale non mi sento solo; solo quando ci sono state le ferie e Marco (il mio coinquilino) non c’era mi son sentito un po’ solo, perché spesso vado fuori con lui all’aperto a leggere un libro o a fare un giro e non averlo intorno mi ha fatto provare questa spiacevole sensazione.

 

Mariangela: tempo fa tentai il suicidio sdraiandomi sui binari del treno; per fortuna un signore mi fece un fischio ed io, per paura di essere arrestata, scappai.

Ero depressa, ero passata dall’essere una ragazza eccellente a scuola e nello sport a vedere tutto questo distrutto a seguito dell’insorgenza della malattia.

 

Ho tentato il suicidio anche da Calignaia; scrissi alla mia sorella un messaggio di addio, e mi gettai da una sporgenza atterrando su delle piante; mia sorella mi localizzò e quindi mi sono salvata e mi ricoverarono. Da quell’evento i miei genitori mi hanno chiuso in casa per anni, per non farmi uscire da sola. Questa mia forte depressione mi portò a sviluppare un’anoressia.

 

Nel 2006 poi ho conosciuto il mio salvatore: ero in Baracchina rossa e chiesi ad un ragazzo l’accendino; facemmo amicizia e da quel giorno venne sempre a trovarmi a casa mia. Con il tempo instaurammo una relazione, diventò il mio fidanzato, e mi invitò a convivere a casa sua insieme ai suoi genitori. Questo ragazzo mi aiutò davvero concretamente in quel periodo veramente brutto. Quando iniziai a stare meglio mi fece anche lavorare insieme a sua sorella al bar; lì per la prima volta mi sentii utile e iniziai a stare meglio anche fisicamente, uscii anche dall’anoressia.

Tuttavia da quel momento iniziai ad attraversare anche una fase maniacale e ho subito diversi ricoveri, alcuni anche di 50 giorni. Per fortuna il dott. Lucarelli piano piano è riuscito a contenermi grazie ai farmaci e mi ha inserito al Blu Cammello, che è stata un’altra svolta positiva della mia vita.

 

Adesso mia madre è morta e la mia rete sociale di supporto è costituita soprattutto da mia sorella; purtroppo ultimamente lei ha sofferto molto questa situazione da un punto di vista psicologico, perché comunque riconosco che è veramente impegnativo sostituire mia madre nello star dietro a tutte le mie esigenze. Si è rivolta anche lei al dott. Lucarelli, che le ha fatto iniziare un percorso psicologico.

Per un lungo periodo si è presa cura di me a 360 gradi, anche dal punto di vista economico, perché io non avevo alcun tipo di reddito.

In quel periodo mi sono rivolta anche alla Caritas, che mi aiutava fornendomi pacchi alimentari e vestiti.

 

Le amiche non ce l’ho più dal 2012, perché si sono trasferite fuori Livorno e adesso hanno tutte una loro famiglia. Successivamente ho provato a fare altre amicizie ma non ci sono riuscita, ho difficoltà a socializzare. Anche qui all’Associazione mi trovo bene con tutti, ma non riesco ad avere un rapporto particolarmente stretto con nessuno, non riesco a confidarmi. Solo con Sara siamo uscite un paio di volte un po’ di tempo fa.

 

Solo con il mio ragazzo riesco a sfogarmi un po’ per quanto riguarda tutte le mie vicende private.

 

Mio padre mi aiuta ancora un po’ economicamente, ma si lamenta e me lo rinfaccia sempre, quindi per me non è facile parlare a lui delle mie necessità e chiedergli un aiuto concreto. Vorrei poter contribuire anche io economicamente per raggiungere a livello psicologico una sorta di riscatto personale, perché attualmente per quanto riguarda questo aspetto mi sento una fallita.

 

Come rete di supporto quindi adesso io sento di avere mia sorella, la Caritas, il mio psichiatra (anche se ultimamente è un po’ assente) e l’Associazione; qui mi sento utile perché ho piccoli compiti da svolgere che mi fanno sentire gratificata.

 

Francesco: io mi sento abbastanza autonomo, ma se ho bisogno di qualcosa di pratico ho uno zio su cui so di poter contare.

Quando invece ho la necessità di parlare con qualcuno mi rivolgo ad un mio amico di vecchia data oppure Simone…quindi un paio di amici ce li ho.

 

Meri: la mia rete di supporto è costituita dai miei fratelli e mio cognato, la famiglia che mi è rimasta.

Al Servizio cerco proprio di non rivolgermici, mi sento di averne meno bisogno.

Se sento di dover di parlare con qualcuno ho alcune persone a cui rivolgermi, in primis Noemi.

In passato è successo di essermi sentita sola e non avevo nessuno a cui poter chiedere aiuto. Tuttavia posso affermare di non sentirmi assolutamente sola in questo periodo.

 

Virginia: io posso contare sulla mia mamma; si bisticcia spesso, ma poi per me c’è sempre: mi accompagna alle visite mediche, qui in Associazione, a ginnastica, alla fisioterapia o mi fa compagnia nel tempo libero. Anche mia nonna, quando era ancora viva, mi voleva insegnare a fare un po’ di cose, ma purtroppo non ha fatto in tempo.

Quando voglio condividere qualcosa di personale ho una mia amica che vedo pochissimo, ma che si interessa molto a me. Ho anche un’altra amica che conosco dai tempi delle elementari, abita vicino a me e pure con lei mi trovo molto bene.

Il gruppo di auto aiuto non lo sento molto adatto a me; è utile a volte per sfogarmi quando non riesco a farlo con mia madre.

 

Alfredo: attualmente non c’è nessuno, a parte qualche eccezione, che possa darmi una mano. Qui in Associazione ci sono altre persone che come me hanno già determinati problemi e non mi va di condividere con loro anche i miei.

Dal Servizio mi sento trascurato: dal dott. Signori non mi sento realmente ascoltato, tutto quello che gli dico gli scivola addosso; mi trovavo molto meglio con il dott. Cherubini.

 

Prima avevo un unico vero amico, che però adesso purtroppo è morto diversi anni fa. Mi resta difficile quindi aprirmi con gli altri, un po’ per come sono io, un po’ per vari altri problemi; mi risulta molto difficile condividere certe cose, quindi preferisco non farlo.

 

Non vedo davanti a me soluzioni per il mio futuro perché mi manca la mia vecchia identità che ho perso; quando lavoravo avevo lo scopo di insegnare ai ragazzi ciò che sapevo, ed era una gratificazione. Adesso non sento più di avere la luce dentro gli occhi quando faccio il mio corso di disegno qui in Associazione, e non riesco più ad averla.

 

Per quanto riguarda la famiglia stendiamo un velo pietoso.

Ho solo una sorella: mi ha detto che il prossimo anno va in pensione, vorrebbe sistemare la casa e invitarmi ad abitare con lei; deciderò, ma ad ora non ne sono così convinto.

 

Con il coinquilino non posso parlarci di niente, non lo reputo assolutamente affidabile.

Anche con il parroco della chiesa che frequento mi capita di condividere alcune questioni personali, ma anche da lui non mi sento assolutamente gratificato.

 

In conclusione so di dover fare affidamento solo su me stesso. Non ho più sogni, non ho più speranza e ho perso anche la mia identità; non vedo spiragli di miglioramento.

 

 

Conclusione:


Le reti sociali sono uno strumento di supporto che l’individuo può ricercare nei momenti di bisogno; se una persona sente di non avere speranza potrebbe avere difficoltà nel sentirsi libero, perché è come se mancasse del motore principale della sua esistenza.

Spesso il disturbo mentale è associato ad un impoverimento della persona; se una persona, sicuramente a causa della propria fragilità dovuta alla malattia, inizia ad avere una serie di esperienze negative, entra in un circolo vizioso dal quale poi è difficile uscire.

 

L’impoverimento delle reti sociali non è un aspetto che viene sufficientemente ed efficacemente monitorato e su cui ci si focalizza nell’approccio al disagio psichico, al contrario dell’attenzione data agli indicatori specifici della malattia stessa.

La fragilità è data dalla malattia, ma spesso anche chi riesce a gestirla con un intervento o un trattamento, resta circondato da alcune difficoltà aggiuntive; l’attenzione dei Servizi e degli enti dovrebbe essere rivolta quindi ad azzerare, o almeno limitare, anche questi elementi di fragilità, perché spesso l’individuo da solo non riesce a fronteggiarli. Il disagio psichico è invece notevolmente associato anche all’impoverimento della rete sociale soggettiva e va quindi preso in considerazione quando si lavora all’interno dei servizi di salute mentale per garantire un approccio completo ed integrato all’utenza.

Sarebbe auspicabile quindi che lo Stato intervenisse formalmente con alcune misure concrete per riuscire a rendere libere le persone; infatti, se le reti sociali per un individuo sono assenti a causa del suo impoverimento generale, sarebbe necessario che venissero sostituite da reti formali che diano dei supporti concreti come ad esempio le pensioni e il lavoro.


La Redazione

24/09/2022: Una mattina alternativa alla Villa Puccini

Siamo partiti stranamente in orario, Nicola si vede ha messo due sveglie per alzarsi ed è arrivato solo con dieci minuti di ritardo. Siamo arrivati a Torre del Lago alle 10.40 alcuni, compresa io, siamo andati a fare una sosta in toilette, tirava un vento cane, dopo la toilette siamo andati diretti a Villa Puccini dove abbiamo visto dove abitava il "Grande" Giacomo Puccini, i suoi oggetti, le stanze da lui abitate e, per la prima volta nella mi vita, sono andata al piano superiore, la prima volta che venni con mia madre mi son fermata solo al piano terra. Per prima cosa abbiamo fatto la foto di gruppo, il nostro rito di "Sabatoamici", di fronte alla statua di Puccini sempre con un presente e forte vento "barbino", dopo per fortuna siamo entrati nella villa molto bella e interessante soprattutto le camere, gli studi, il vecchio pianoforte e la locandina appiccicata alla parete dell’opera di Madame Bovary. La segretaria della villa ci ha detto che il battello adiacente alla villa non si muoveva a causa del forte vento causa di una probabile mareggiata quindi era là ferma, immobile sul il lago di Massaciuccoli. Infine abbiamo mangiato nel parco della musica dove c’era una statua celeste a mezza faccia appoggiata sul prato con un’asta di ferro nero che la distingueva come una statua strana, un obelisco bianco ingiallito, un masso con tre scalini, forse più avanti ci sarà stato un’expo della musica.

Virginia Gasperini


venerdì 23 settembre 2022

1 Settembre 1991 (memories)

Amore, dietro questa parola ci sono altre mille parole e situazioni che viviamo quotidianamente e a seconda degli anni e dei momenti possono essere importanti e basilari oppure venire a mancare.

Non esiste per me un primo posto in assoluto, la cosiddetta medaglia d'oro 🥇ma esistono tutta una serie di parole-chiave o situazioni all'interno dello stesso significato Amore, che possono cambiare o restare immutate per lunghissimi anni che alla fine ti volti indietro e tutto quel tempo è passato come un soffio di vento perché sei stato bene.

Mentre lunghe e interminabili sono le stagioni in cui perdi qualcosa e che non riesci più a ritrovare e vaghi nella nebbia cercando più che una luce che ti guidi fuori da questo crepuscolo, qualcosa che si è smarrito dentro di te e che non sai più riconoscere.

Volti, persone, sorrisi e ambienti presenti o vicini a te fanno uscire fuori il tuo lato migliore quando doni Amore e lo ricevi  gratuitamente e non per obbligo.

Ti appaga le presenze che interagiscono con la tua voglia di essere, con la tua voglia di imparare, con la tua voglia di amare persone e cose intorno a te e del quale tu ne sei parte integrante.

E crei, ogni giorno crei Amore, tiri fuori da te qualcosa di inesauribile e ti senti grato alla vita anche solo per un sorriso ricevuto, una carezza ricevuta, un abbraccio che squarcia il tempo e va oltre lo spazio stesso.

E ti piace come sei perché senti la tua anima far parte di un tutto più grande di te, e hai la consapevolezza di essere una tessera di questo per sempre intorno e dentro di te.

Quando hai tutto questo sei Re e servo nello stesso momento, perché non ti senti superiore a nessuno e nello stesso momento sei umile.

Quando hai tutto questo o parte di questo i tuoi occhi sorridono di una luce che hai dentro.

Ed ero anch'io così.

Ma da diversi anni ho smarrito me stesso e le cose o le persone in cui credevo.

E non so più ritrovare la Speranza, i miei Sogni, la mia Identità, quella luce che sprigionava dai miei occhi e cammino pericolosamente su un filo che separa la realtà dalla follia.

Alfredo

giovedì 22 settembre 2022

Pensiero malinconico

Stamattina la redazione mi è piaciuta molto... il nostro capo, Paolo, ha letto un articolo scritto dalla Redazione di Mediterraneo creando intorno a sé un silenzio mai sentito prima, la lettura in ascolto ci coinvolgeva, la storia narrata parlava di un amico, Pietro, persona amica di alcuni di noi e a cui sono molto affezionata. Durante l'ascolto ho rivisto mentalmente Pietro e Giovanni, inseparabili amici di una vita, e di quando vivevano in una casa popolare, una casa modesta ma sopratutto casa loro, come un giorno sogno di avere con una amica. In questo ascolto nel silenzio all'interno della stanza mi veniva da piangere, l'emozione era molta, ma per fortuna ho resistito, malgrado accanto a me c'era un ragazzo che disturbava. Gli scritti che leggiamo durante il momento della "Redazione", il lunedì e il mercoledì mattina, vengono letti e discussi insieme, in cerchio, preferibilmente con l'autore presente e con la possibilità di parlarne, di discuterne rispettando i punti di vista di ciascuno di noi. Ritornando alla lettura in quella occasione Giovanni, scomparso qualche anno fa', era per Pietro un grande amico e dispiace molto vedere Pietro rinchiuso al Pascoli, emarginato, in parte a causa della perdita di  Giovanni, costretto ad non avere la sua libertà, la libertà di uomo come lo era prima perdendo in questo "furto di vita e di identità" i suoi preziosi dischi, le sue canzoni i suoi festival la sua vita lunga ed intensa persa in cosi poco tempo come quando ti strappano via un oggetto caro, o peggio la vita di una persona cara... o almeno è quello che provo io.

Vorrei, un giorno, fare una gita, con i miei amici di Mediterraneo, ipotizzando nei miei sogni l'Inghilterra, grazie al corso di Inglese che si svolge a Mediterraneo a cui dedico molto del mio tempo, una idea allettante e, forse almeno nei sogni, realizzabile cercando di creare dentro di me dei bellissimi ricordi che nessuno mi possa portare mai via. 

Virgina Gasperini


martedì 20 settembre 2022

Pietro: tra chiusure e nuove speranze

Pietro è un socio storico dell’Associazione Mediterraneo: ha trascorso molti anni insieme a noi ed ha partecipato a molteplici attività, viaggi ed esperienze. Fino a pochi anni fa era quotidianamente presente in Associazione e spesso dava il suo contributo attivo in alcuni compiti utili. 

Da circa un anno e mezzo è stato inserito nell’RSA Pascoli di Livorno, dove tutt’ora risiede. Ha trascorso all’interno di questa struttura una buona parte del periodo covid e, a causa di questa emergenza, più volte è dovuto rimanere chiuso in stanza per svariati giorni consecutivi in isolamento.

 

A causa di questo cambiamento abitativo purtroppo Pietro non ha la possibilità di potersi recare in Associazione con la stessa frequenza e assiduità di prima.

 

In questa intervista ci racconta come è cambiata la sua condizione abitativa, la sua esperienza in questo periodo, la sua nuova quotidianità, gli aspetti positivi e quelli negativi della sua nuova vita, le delusioni vissute, i suoi sogni e i suoi desideri.

 

Pietro inizia il racconto parlandoci di un’attività, da lui molto gradita, a cui partecipa all’interno della nuova struttura.

 

Pietro: durante l’attività musicale ognuno di noi propone delle canzoni da ascoltare legate a determinati ricordi della nostra gioventù.

Qualche giorno fa ho proposto di ascoltare una canzone dal titolo “Serena” del 1973 con lo scopo di ridestare dei ricordi piacevoli di quel periodo; però mi sono arrabbiato perché gli altri ospiti dell’RSA mi hanno detto che era brutta.

Ascoltiamo le canzoni con il cellulare di un’animatrice abbinato ad una piccola cassa. Questa attività dovrebbe tenersi ogni mattina, anche se in realtà purtroppo spesso salta per la mancanza dell’animatrice, che può essere assente per vari motivi.

 

Una volta ho proposto anche una canzone di Mino Reitano, il titolo era “Aveva un cuore che ti amava tanto”

 

Solitamente partecipiamo in 5 o 6 a questa attività.

Proponiamo tantissime canzoni anni ’60 e anni ’70; solo canzoni italiane, perché le straniere non le capisce nessuno.

 

Paolo: mentre venivamo all’Associazione, mi stavi raccontando che a te questo breve tratto sembrava enorme perché non ti capita mai di passeggiare, spesso sei chiuso…

 

Pietro: sì non sono più abituato a camminare e quindi anche facendo un piccolo tratto a piedi mi stanco parecchio.

 

Paolo: inoltre mi raccontavi che hai anche scritto una poesia che si intitola “Delusione – Il Boia”

 

Pietro: ne ho scritta soltanto un pezzettino, la devo ancora completare. L’inizio fa:

“Delusione, delusione,

sei il boia della illusione…”

pressappoco è così

 

Federico: quando parli di delusione e di illusione ti riferisci a qualcosa di specifico? Qualcosa che hai vissuto in prima persona?

 

Pietro: io ad esempio ho un hard disk in cui ho radunato i dischi di ben 70 festival di Sanremo; li ho quasi tutti, me ne mancano soltanto 2. Io ci sono nato con il festival: sono del ’50 e il Festival è iniziato l’anno successivo.

Questo hard disk si trova nel mio vecchio appartamento e non riesco più ad averlo; ci terrei tanto a poterlo ascoltare durante le mie giornate al Pascoli.

 

Paolo: sai dove si trova questo hard disk?

 

Pietro: Prima del Pascoli abitavo in Via Giordano Bruno, poi sono stato a Villa Tirrena dopo di che mi hanno ricoverato al Pascoli.

Questo hard disk è rimasto nel mio appartamento in via Giordano Bruno; però adesso devono abbattere quelle case e dovranno spostare tutto da qualche altra parte.

 

Paolo: ma perché non te lo hanno portato al Pascoli il tuo computer e il tuo hard disk? Hai capito il motivo?

 

Pietro: io ho chiesto più volte, ormai da due anni, ma non sono riuscito ad ottenere niente.

 

Paolo: ma hai capito perché non te li hanno dati?

 

Pietro: No, non lo so. Dovrei chiedere all’assistente sociale, ma purtroppo non la sento da mesi. L’ultima volta che l’ho vista, insieme alla dottoressa Bemi, è stato quando sono venuti a comunicarmi che il mio appartamento sarebbe stato abbattuto e che quindi sarebbe stata scelta la roba da portare via.

 

Paolo: Ma la scelta dei tuoi effetti personali da portare via la faranno loro oppure te?

 

Pietro: Vorrei farla io.

 

Paolo: Glielo hai comunicato che vorresti farla te?

 

Pietro: Sì, ma ora vorrei stare al Pascoli.

 

Paolo: preferiresti stare al Pascoli piuttosto che in un appartamento?

 

Pietro: forse in questo momento sì, perché lì c’è chi mi aiuta.

 

Paolo: vorresti essere aiutato per fare cosa?

 

Pietro: niente di particolare; al Pascoli mi aiutano nella quotidianità, nell’igiene… e poi adesso mi sono fatto degli amici.

 

Paolo: riprendendo il discorso principale, ci interessava capire qual è la tua speranza e qual è la tua delusione…

 

Pietro: io a casa mia ho radunati 50 anni di cultura: dal ’71 ho radunato libri, video, fotografie e moltissime canzoni (cd, cassette, dischi). Adesso che non ho più tutte queste cose, è come se mi togliessero la mia storia, i miei ricordi. È un po’ come perdere il mio mondo.

 

Paolo: dal momento che sei in salute, è probabile che tu abbia ancora tanti anni davanti; come vorresti passare il tempo che ti rimane? Cosa ti piacerebbe fare nei prossimi anni?

 

Pietro: ho fatto tante esperienze, adesso non so più cosa fare. A volte mi va soltanto di riposarmi tutto il giorno. Spesso la notte faccio tanti sogni talmente belli che non mi va di svegliarmi, vorrei stare a letto senza alzarmi.

 

A volte quando provo a comunicare con gli altri mi dicono che non parlo tanto; questo mi fa rimanere male, perché le parole lì dentro “rimbombano e rimbalzano”… c’è poco da raccontarsi lì, solo le piccole cose quotidiane: se hai fatto una giratina, se hai partecipato ad un’attività...

si parla soltanto di vecchi ricordi.

 

Federico: hai detto che spesso vorresti restare a letto perché fai dei bei sogni… sogni cose che vorresti fare o bei ricordi passati?

 

Pietro: sogno sempre mia madre, le mie sorelle… ne avevo 3 di sorelle, ma adesso me ne rimane soltanto una con cui parliamo sporadicamente per telefono. Questo rapporto non mi soddisfa, perché ci sentiamo veramente pochi minuti ogni tanto; anche i miei nipoti sono troppo impegnati con il lavoro e non sono mai venuti a trovarmi.

Invece ho un amico che si chiama Alberto che mi telefona spesso.

 

Federico: al Pascoli ti sei fatto degli amici?

 

Pietro: ho fatto amicizia soprattutto con due persone, Manrico e Marisa; quest’ultima mi dice sempre che vorrebbe andarsene dal Pascoli con me, ma io le dico sempre: “dove vuoi andare? Stiamo qui!”. Stiamo sempre assieme, mangiamo insieme allo stesso tavolo; lei è una gran chiacchierona, io cerco di interagire con lei, ma dopo un po’ non so più cosa dire.

 

Paolo: ti piacerebbe vivere in una struttura come il Pascoli, ma dove puoi uscire e rientrare quando vuoi? In una struttura dove c’è un livello di assistenza alto, ma dove puoi uscire a piacimento…perché la cosa che colpisce è che tu non puoi uscire e rientrare liberamente al Pascoli…

 

Pietro: certo, mi piacerebbe vivere in una struttura del genere.

 

Paolo: ne hai provato a discutere con l’assistente sociale o con la dottoressa?

 

Pietro: no, bisognerebbe che lo facessi, ma sono oltre 3 mesi che non sento l’assistente sociale. Ho provato a chiamarla più volte in questo periodo, ma non mi ha mai risposto.

 

Paolo: e invece tornare in una casa nuova che sia tua? Magari insieme ad un’altra persona… te la sentiresti di fare un’esperienza di vita in autonomia o ti spaventa?

 

Pietro: mi interesserebbe anche questa soluzione.

 

Paolo: se tu potessi decidere sul tuo futuro cosa preferiresti? Una struttura come il Pascoli ma dove poter avere più libertà, un nuovo appartamento in condivisione con qualcuno…?

 

Pietro: rispondere è difficile; forse preferirei vivere in una struttura perché mi sentirei più supportato.

 

Paolo: non possiamo dimenticarci che tu sei stato isolato più volte durante questo ricovero al Pascoli, perché è avvenuto proprio in pieno periodo covid…

 

Pietro: sì a causa di alcuni contagi a agosto scorso e a febbraio di quest’anno siamo rimasti chiusi isolati dentro le nostre stanze per 12 giorni.

 

Paolo: te sei in camera da solo o con altre persone?

 

Pietro: ci sono altri 2 anziani con me; uno spesso delira e grida bestemmie, trasforma quella camera in un inferno.

 

Paolo: nella tua camera, hai uno spazio tuo privato in cui puoi tenere chiusa la tua roba?

 

Pietro: no, non esistono posti chiusi a chiave, ho solo una borsa di colore rosa dove tengo le mie cose.

 

Paolo: e il bagno lo potete chiudere a chiave oppure non c’è?

 

Pietro: no, non c’è la chiave in bagno.

 

Paolo: ce la fai ad andare in bagno con la porta aperta?

 

Pietro: sì, riesco; e quando invece non riesco ci fanno il clistere. Ogni giorno ci chiedono se siamo stati in bagno e se rispondiamo di no, ci fanno il clistere. A me questa domanda mette sempre in imbarazzo, però non dico mai le bugie perché ho paura poi di stare male se non vado in bagno.

 

Paolo: ci sono altre cose che vuoi raccontarci?

 

Pietro: una cosa che mi ha fatto rimanere male è che prima mangiavo sempre insieme al mio amico Manrico ma le infermiere mi hanno fatto cambiare tavolo perché eravamo in 5 e non volevano che fossimo più di 4 per ogni tavolo; ci sono rimasto male perché si parlava tanto e mi trovavo bene.

Ora mangio assieme alla mia amica Marisa, e anche con lei parlo tanto; ma Marisa è sempre arrabbiata con un’altra signora, Patrizia, che vuole sempre andare a guardare l’orologio e spesso la sgrida e le urla contro. Io la supplico di smettere con questi atteggiamenti verso Patrizia perché temo che per questo motivo spostino di posto pure lei.

 

Paolo: Pietro, ci sono cose che puoi decidere solo te al Pascoli? Anche piccole cose: comprarti un libro, andare al bar, comprarti una merendina alla macchinetta automatica…

 

Pietro: posso guardarmi il tablet quando voglio, solitamente la sera. Ad esempio qualche sera fa mi sono visto tutta la partita di pallavolo dell’Italia quando abbiamo vinto il titolo di campioni del mondo.

 

Riccardo: avete la televisione in stanza?

 

Pietro: sì, ma c’è sempre quel mio compagno di stanza di cui vi parlavo prima che la monopolizza.

 

Paolo: invece sui vestiti hai libertà di scelta oppure li sceglie qualcuno per te?

 

Pietro: avrei la libertà di sceglierli, ma lascio che me li forniscano sempre loro. Ci danno molti vestiti: alcuni sono miei, gli indumenti che mi sono rimasti dal Poggiali, altri sono vestiti che hanno al Pascoli e che distribuiscono a noi che stiamo in struttura. Però ad esempio qualche giorno fa mi hanno dato dei pantaloni che mi stavano grandi e io ho deciso di cambiarmi. Una volta mi hanno anche accompagnato a comprare alcune magliette.

 

Paolo: e se tu volessi farti una doccia, sei libero di farla quando vuoi?

 

Pietro: la doccia me la fanno loro ogni mercoledì, per il resto mi lavo per conto mio.

 

Paolo: ma se tu volessi, la potresti fare sempre da solo oppure la devi fare forzatamente con l’operatore?

 

Pietro: no, sono obbligato a farla con loro.

 

Paolo: e non ti vergogni? Mi ricordo che tu sei sempre stato un tipo pudico e riservato.

 

Pietro: cerco di chiudere gli occhi perché mi vergogno, anche perché spesso mi lavano le donne.

 

Federico: a parte il periodo covid in cui sei stato forzatamente chiuso, ti capita adesso di fare uscite in giardino, passeggiate…?

 

Pietro: in giardino andiamo quando facciamo il gruppo per ascoltare la musica; in più a volte si esce un pochino per prendere fresco. Siamo un gruppetto: io, Manrico, Bruno e altri che a volte decidiamo di andare a parlare un po’ in giardino.

 

Paolo: ti faccio altre due domande; l’amministratore di sostegno lo sai che ce l’hai, vero? Lo cerchi ogni tanto?

 

Pietro: sì, ma è tanto che non lo vedo e che non lo sento; vorrei cercarlo ma non ho un numero.

 

Paolo: ma hai chiesto a qualcuno un numero o un indirizzo mail per parlarci?

 

Pietro: vorrei chiedere a qualcuno, ma poi tanto ho paura che non mi risponda. Vorrei parlargli del medico, che non lo vediamo mai, e della situazione psichica che mi si è creata: mi sento sempre malinconico, tutto quello che vedo intorno a me mi sembra antico.

 

Paolo: quando ti interessa veramente parlarci, chiedi a me o a Marco Stilo il numero o l’indirizzo mail dell’amministratore di sostegno e ti verrà subito dato. È una richiesta che deve partire da te, perché se non hai questo desiderio significa che vuoi stare dove sei adesso, al Pascoli. Devi poter scegliere il tuo futuro e vedrai che una volta scelto tutti ti aiuteranno a realizzarlo.

 

Alfredo: come si mangia al Pascoli? La qualità è buona? I pasti sono abbondanti?

 

Pietro: fa onco; io sono vegetariano e loro propongono quasi sempre piatti di carne e io non posso scegliere sempre formaggio o frittata. Mi è passata la voglia di mangiare: mi sforzo per mangiare quello che propongono, ma potessi non mangerei. Spesso servono il semolino e tutte le sere poi danno la mela cotta che a me non piace per niente.

 

Paolo: per finire, ti faccio una domanda molto difficile: te, Pietro, riflettendoci, dove o quando ti senti veramente libero e veramente te stesso?

 

Pietro: qui all’associazione mi sento più libero, mi sento libero di comunicare. Al Pascoli mi riesce difficile comunicare con gli altri; là è come se la mente fosse vuota, non riesco a esprimere le mie opinioni, i punti di vista… le parole rimbalzano qua e là, non c’è niente di cui parlare realmente in quel posto.

 

Federico: questo concetto delle parole che rimbalzano lo hai riportato più volte… la mancanza di comunicazione è la cosa che più ti manca là dentro? O ci sono altre cose che prima avevi o potevi fare e adesso non più?

 

Pietro: mi manca Giovanni, ogni volta che ci penso mi manca. È un mio amico morto improvvisamente, mi manca davvero tanto.

 

 

Pietro Di Vita nasce a Correto Monforte il 7/6/1950.

Da giovane inizia ad effettuare studi classici, poi entra in seminario senza concludere il percorso.

Dopo il seminario entra per la prima volta in contatto con la psichiatria e a 19 anni subisce il suo primo ciclo di elettroshock (vedi qui sotto il video sulla storia di Pietro)




 

Più tardi ha avuto una lunga esperienza lavorativa come badante ad una signora cieca dal 1982 al 1989 e poi con vari intervalli fino al 1997.

 

Nei primi anni del 2000 ha iniziato a frequentare l’Associazione Mediterraneo; ne è diventato presidente dal 2004 al 2008. Ha continuato a frequentare attivamente l’Associazione come volontario fino al 2019.


(Pietro Di Vita)
La Redazione

lunedì 19 settembre 2022

HANGAR CREATIVI: Diario di una giornata speciale

Giovedì 15 settembre 2022, un giorno che rimarrà impresso nella mia mente.
Qualche giorno fa ho trovato nella mail dell'associazione l'invito ad Hangar creativi e ho deciso di proporre al Presidente la partecipazione.
Non vi nego una certa emozione quando mi è stato proposto di partecipare in rappresentanza dell'Associazione, ed ho accettato con entusiasmo perché ho avuto la possibilità di ritrovare la vera me e le mie passioni.
Ho potuto infatti rivivere l'emozione di partecipare ad un convegno pubblico, tornare a scrivere, fare public relation, da sempre le mie passioni insieme a recitazione e spettacolo (in settimana ho avuto anche la possibilità di partecipare ad un provino per una serie diretta dal più volte premio Oscar Albert Cuaron).
Vi lascio immaginare quanto sono stata felice di ritrovare nell'armadio quel vestito elegante che non indossavo da quando, all'insorgere delle mie patologie, arrendendomi ai dolori, decisi di nascondermi quasi vergognandomi di mostrarmi sofferente.
Mi sono poi recata al luogo del convegno, un'ex stazione di autobus che era divenuto luogo di degrado e su cui è stato fatto un lavoro di recupero per restituirlo alla città come spazio espositivo; qui sono subito stata accolta calorosamente e accompagnata al posto riservatomi, cosa che mi ha fatto sentire importante e qui ho avuto modo di conoscere i presidenti di varie associazioni della città e di parlare della nostra associazione.

Successivamente ho ricevuto anche un caloroso saluto dal sindaco Salvetti che si ricordava di me ai tempi delle mie piccole collaborazioni con Tele Granducato e come allieva al suo corso di giornalismo; ho avuto così modo di raccontargli della nostra associazione, delle finalità di reinserimento dei nostri utenti anche attraverso lo sport e l'attività fisica ricevendo l'interessamento e la disponibilità dell'amministrazione a collaborazioni. E quindi ancora tanta emozione.
Poi il momento del taglio del nastro per l'inaugurazione dello spazio espositivo dedicato per l'occasione a STRABILIANTI, una collezione di scatti fotografici che ritraggono le storie appunto strabilianti di eccezionali sportivi paralimpici (Livorno è anche la città che ha "prodotto" più atleti medagliati alle paralimpici).
Scatti, immagini, storie di forza, determinazione, inclusione, riscatto, successo in risposta ai problemi che la vita può presentarti. Storie che motivano e rincuorano,
storie che mi hanno permesso di tornare a casa stanca, ma felice e soprattutto con la consapevolezza di poter essere di nuovo la vera me.

Mariangela Ghelli

Perdonare

Perdonare qualcuno non significa condonare il suo comportamento, non significa nemmeno dimenticare il modo con cui ti ha ferito e neppure concedergli di farti ancora del male.

Perdonare significa fare pace con ciò che è successo, significa riconoscere la tua ferita dandoti il permesso di sentire il dolore e di comprendere che quel dolore non ti serve più.

Significa lasciar andare il dolore e il risentimento per guarire ed andare avanti.

Il perdono è un dono a te stesso.

Ti libera dal passato e ti consente di vivere nel tempo presente, perché quando perdoni te stesso e gli altri sei veramente libero.

Perdonare significa liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu.

Alfredo

Pensierino dopo la mostra

Note positive... uhmmm, essere dentro i locali ci ha salvato da una sburrianata d'acqua.

La guida ha cercato di fare quello che poteva, ma si vedeva, almeno io, che non era molto preparata. Una delle sue prime perle è stato quando ha parlato dell'albero maggiore della Vespucci chiamandolo principale, al che l'ho corretta dicendo che si chiama in realtà albero maestro. Poi ha fatto tutta una prosopopea su foto assolutamente inutili di mezzi busti dei cadetti e marinai presenti sulla nave, con il loro abito bagnato dalla pioggia o dalle onde. Non mi son potuto trattenere che in realtà queste foto sono fatte ad arte e in studio perché quando mai si è visto una cadetta con la divisa fradicia ma il volto assolutamente asciutto e truccatissima??? A questo punto ha ammesso con evidente imbarazzo che in realtà era così. Infine alla spiegazione della frase "siete la nave più bella del mondo" ha riportato pari pari la scritta, con lampi luminosi che penso nessuno abbia capito il significato, quindi solito intervento del rompicoglione di turno, ossia io, che precisavo che il sistema di segnalazione a lampi luminosi viene fatta in codice Morse. A quel punto credo che mi avrebbe asfaltato volentieri... Tralascio altre cose. 

Morale della favola; mostra con foto non eccezionalmente belle, troppo grandi e quindi si notava, almeno io, che diverse di queste sgranavano parecchio. Assolutamente inutili le foto taroccate ed erano più della metà, dei marinai e cadetti. 
Voto 5.

Alfredo

giovedì 15 settembre 2022

Come il mare la mia vita

Dal diario di bordo:


Meritavo qualcosa di più. La dove la terra si fonde con il cielo,

dove l'amore vince sul male,

in un abbraccio vi stringo tutti forte a me,

voi che siete fatti del mio stesso sangue

e della mia stessa carne.


Prima di giudicare,

guardiamoci nel riflesso di una pozzanghera,

e allontaniamo da noi i cattivi e malsani pensieri,

perché vi amo,

ovunque vadano i vostri stessi pensieri...


Filippo Purromuto

giovedì 8 settembre 2022

Volontariato: esperienze e motivazioni personali


Paolo: Marx sosteneva che l’uomo è tale perché lavora. L’uomo è quello che riesce a fare. E’ capace di trasformare la natura in oggetti e servizi utili a se stesso e agli altri. Questa accezione di lavoro non esclude il lavoro volontario. Lo scorso sabato, visitando la realtà del Circolo di San Cipriano gestito dalla polisportiva Rugiada e la struttura di Palazzo della Vigna gestita da Ania, abbiamo conosciuto degli esempi di lavoro volontario in associazioni legate alla salute mentale. Ci sono persone che da moltissimi anni si impegnano quotidianamente senza compenso per la realizzazione dei progetti legati alle associazioni di volontariato. Colpisce che all’interno di queste organizzazioni ci siano pure degli ex operatori della salute mentale in pensione che hanno deciso di continuare la loro opera di supporto verso le persone fragili come volontari.


Proviamo a confrontarci sulle nostre esperienze personali di volontariato e sulle nostre motivazioni.


Davide: Ho fatto volontariato agli amici della Zizzi e alla chiesa in Banditella al servizio mensa. Lo facevo per passare il tempo. Sono stato poi volontario a Rifondazione Comunista. Mi identificavo nei valori e nella visione del mondo di quel partito.


Stefano: io sono consigliere dell’associazione Mediterraneo. Questa è la mia prestazione volontaria.


Alfredo: mi piace insegnare disegno. La prossima settimana come volontario inizierò un corso per le persone che gravitano intorno all’associazione Mediterraneo. Il disegno aiuta ogni persona a tirare fuori quelle capacità che pensava di non avere. Anche chi non sa disegnare si ritrova con disegni gradevoli. Mi piace far scoprire alle persone questo tipo di talento. Mi fa sentire “un crocerossino”, utile agli altri. Faccio pure volontariato alla Caritas. Mi da soddisfazione parlare con le persone che spesso hanno grossi problemi e che hanno bisogno di potersi sfogare con qualcuno. Non mi sento importante ma mi gratifica dare una mano senza chiedere niente in cambio. Non è “do ut des” ma un dare gratuitamente. secondo me l’azione volontaria si spiega come bisogno di compensare delle mancanze. A me per esempio mancava il padre… Da grande ho cercato di dare agli altri quello che non avevo avuto. Cercavo di colmare in altre maniere le mie carenze emotive facendo volontariato.

L’insegnante Alfredo (di spalle) inaugura la II edizione del corso di disegno. Tutti insieme intono ad un tavolo per scoprire le proprie potenzialità espressive insieme agli altri.

Mari : Sono volontaria nella casa famiglia. Mi piacciono i bambini. E’ bellissimo. Lo faccio perché mi fa star bene aiutare delle persone in difficoltà. Donare qualcosa che hai dentro di te. C’è uno scambio di emozioni. Impari qualcosa dagli altri. Faccio pure parte della banca del tempo. Vengono valorizzati i talenti di ogni uno e facilitato lo scambio.


Serena: ho fatto volontariato facendo ripetizioni gratuite al doposcuola della Chiesa. I bambini mi davano molta soddisfazione. Mi piaceva vedere che miglioravano a scuola. Lo trovavo appagante, i bambini mi raccontavano le loro emozioni e come vivevano. Realizzavo la mia visione del mondo cristiana.


Sara: ho fatto volontariato nella comunità di Sant’Egidio e poi ho partecipato all’azione cattolica. Sono stata attiva pure con gli anziani: portavo gli anziani dove avevano bisogno. Facevo loro compagnia o li aiutavo a fare concrete. Mi sono pure formata come volontaria col Cesvot. Non mi sentivo Crocerossina. Mi stimolava… Facevo volontariato non per dare senso alla mia vita ma per capirne quel significato. Era un lavoro di ricerca…. Mi aiutava a conoscermi meglio.


Riccardo: Ho seguito per molti anni un bambino che mi era stato presentato da un assistente sociale. Lo ho seguito dalle elementari in poi. Siamo sempre in contatto, lo vedo sui social e noto che ha una grande rete sociale. Ha tanti amici. Il mio è stato un lavoro volontario. Si è instaurato un rapporto affettivo. Quando sono stato male, questa persona ha tentato di intervenire. Poi ho fatto pure il catechista. Ero più un babbo che un catechista… E’ stato bello, i bambini sono diventati persone adulte.


Virginia: quando camminavo un po’ meglio ho fatto come volontaria la cameriera nelle feste che organizzava l’AVIS per raccogliere fondi. Ho fatto questo tipo di volontariato per sei o sette anni. Sono stata anche volontaria alla LIPU dove facevo la segretaria e aiutavo pure con le gabbiette.


Noemi: sento il volontariato come un’azione da svolgere insieme agli altri. Quando sono arrivata a Mediterraneo ho ricevuto l’azione volontaria di chi mi stava vicino. Per me è stato importante. Per me il volontariato è mutuo scambio, è un fare con gli altri e non un fare per gli altri. Gli altri sono miei pari e pure io stessa voglio essere considerata una pari al di là delle etichette che uno si porta addosso. Mi sono appassionata alla vela, prima ho soprattutto ricevuto il supporto degli altri:  le loro storie, la loro presenza, il loro aiuto, l’azione di soccorso nei miei confronti.  Poi sono stata capace di restituire presenza e supporto. Per sostenere le spese della barca dell’associazione ho fatto la volontaria nel progetto “Ragazzinsieme”. Per me il volontariato è un nobile ed importante scambio di umanità, esperienze e vissuti.

Durante il Covid l’associazione mi ha aiutato a sistemare la barca ed io l’ho messa gratuitamente a disposizione per una ventina di giorni. Facevamo, in piccoli gruppi, il giro dei fossi e gli altri ci seguivano da casa o dall’associazione via ZOOM. Uno scambio virtuoso che ha riempito di vita e contenuti il lungo periodo di distanziamento forzato a cui siamo stati tutti  costretti. 


YouTube, Giro dei fossi ZOOM: 


 


Paolo: Denso tutto quello che è stato detto e pure sorprendente. Molti di noi hanno avuto un’esperienza come volontari. Le motivazioni sono diverse: sentirsi utile, passare il tempo, cercare di realizzare una personale visione del mondo, aderire ad un sistema di valori che si condivide. Molto simile, invece, è il riconoscere il volontariato come un’esperienza che contribuisce molto alla costruzione delle personali identità.


La Redazione