La Redazione
Tra discussioni, spunti e contrasti
produttivi le menti, i cuori e gli individui della Redazione dell’Associazione
Mediterraneo hanno dato vita ad un’unione di pensieri qui sotto riportati.
Astratto e ineluttabile, esiste qualcosa
di più inafferrabile del tempo?
Per quanto possiamo essere abituati a
pensare ad esso come ad una lunga linea retta che percorre ogni momento della
storia, basta un attimo per rendersi conto di quanto questa nostra concezione
sia limitante e circoscritta alla nostra epoca e cultura.
Sono infatti i bisogni, le stagioni e le
relazioni tra gli uomini che ne determinano l’essenza, la natura e ne
scandiscono i ritmi. La percezione del tempo però non varia soltanto da
contesto a contesto, ma come ben sapremo anche da individuo a individuo e nello
specifico sono le emozioni e le nostre condizioni psicofisiche ad influenzarla;
è per questa ragione che talvolta il ticchettio dell’orologio passa dal
sembrarci sfuggente a qualcosa di interminabile o persino immobile.
Secondo quella che è la nostra
esperienza, il tempo è un’occasione e spetta a noi trarne o meno beneficio.
Se riusciamo a ritagliare del tempo per
noi stessi, ogni singolo istante di quel magico momento che viene privato di
qualsiasi frenesia o aspettativa, può divenire un’opportunità per soddisfare un
nostro bisogno. D’altro canto, se soccombiamo ad un’immobilità, magari generata
da un’attesa o dall’apatia, rischiamo di rimanere incatenati a noi stessi
rendendo il nostro spazio circostante vuoto e buio.
Se dunque ci ritroviamo schiavi di un
tempo statico ed inesorabile, esso finirà per divenire il protagonista
effettivo della nostra quotidianità o peggio, della nostra intera vita.
Tutto intorno a noi, da ciò che ci è
vicino alle realtà più lontane, percorre frenetico un sentiero che spesso ci
sembra irraggiungibile; è difficile stare al passo con la realtà e più
difficile ancora è non soccombere ai convulsi stimoli che essa quotidianamente
ci offre. Che fare dunque, arrendersi all’ineluttabile o abbandonare se stessi
ad una continua ricerca del nuovo o di felicità fittizie? Niente di tutto ciò.
La felicità non è fatta di sfizi e passioni travolgenti, anzi, la vera felicità
significa equilibrio e benessere. Di fronte all’impetuoso ciclone di eventi ed
emozioni che ci ruotano attorno, fermiamoci ad apprezzare i piccoli istanti di
felicità; la gioia degli amici, di far del bene, l’ascolto di una canzone e la
calma e la semplicità di rimanere fermi di fronte al tempo, così, quasi per il
gusto di non tenerne conto, come se vivessimo al di là del tempo stesso. Per
sfortuna fin troppo frequentemente ansia e angoscia possono farci sentire tutto
il loro peso e a conseguenza di ciò le ore, i giorni, i mesi e gli anni
finiscono per dilatarsi e sembrarci eterni. Questo accade in condizioni di
sofferenza emotiva o a causa di una malattia, ma parlare dei nostri affanni può
farci riflettere su quanto il trascorrere del tempo possa mutare i nostri
contesti emotivi, individuali e nelle relazioni con gli altri. Si pensi al
rapporto medico-paziente; nonostante le attese infinite e le speranze spesso
disilluse, è fondamentale che in cuor nostro rimanga stabile un sentimento di
fiducia nel nostro curatore, il quale ci aiuterà sempre a vivere nel miglior
modo possibile il nostro tempo.
Questo “atto di fede” nei confronti di
chi ci cura è uno dei motori che sospinge la nostra volontà verso un
miglioramento e verso lo stare meglio con se stessi e con gli altri. Aprirsi
sinceramente e confidarsi significa accettare il proprio malessere, compiere i
primi passi verso l’equilibrio ed una convivenza costruttiva con la propria
malattia. Negare il disagio non fa altro che alimentare la nostra prigione
trasparente, una prigione all’interno della quale si ha la sensazione di essere
padroni del nostro tempo, ma che solo dopo molto ci farà capire di aver
realmente perso quei giorni e quegli anni che non torneranno più. Sono le
catene della malattia che ci rendono ostinati e che non ci lasciano essere
consapevoli del nostro malessere.
La guarigione non è la fine del nostro
stato di malessere, ma l’inizio di un percorso dove la malattia passa da essere
causa delle nostre sofferenze a mezzo di azione nutrito da un’esperienza
costruttiva. Se impariamo a conoscerla possiamo sfruttarla e controllarla per
vivere dignitosamente i nostri spazi e il nostro tempo, dando così scopo ai
nostri giorni.
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