Di Luana Baldacci
Molti anni
fa, quando avevo undici anni, dopo aver finito la scuola, aver dato gli
esami di quinta e quello di ammissione
alle scuole medie, essere stata promossa per gli esami con la media del 9 su
10, mi preparavo felice alle mie meritate vacanze, contenta di prendere le
distanze dalle mie “care” ziette che non vedevano l‘ora di levarmi di torno. E
così pensavo felice che dal 25 di Giugno
sino al 10 di Ottobre sarei stata
mandata a Borgo a Buggiano, un borgo sulla strada del Brennero dove avrei rivisto la mia
cavalla preferita: Rosina! Io l‘avevo chiamata così perché il suo manto, di tenue
color beige, tendeva un po’ al rosa. Quando il pullman arrivò sul posto si fermò,
scesi di rincorsa portando con me la mia valigetta (un sacchetto di tela grigia)
con dentro la biancheria ( due/ tre vestiti per il cambio) e due paia di
pantaloncini. A me sarebbero serviti solo i pantaloni e i reggiseni perché
dall’ anno prima ero diventata, come era detto dire, ”signorina”: che palle!
Arrivata di corsa alla cascina della fattoria mi buttai di slancio tra le
braccia di nonno Berto, il padre di mio zio Marcello e suocero di mia zia
Libera. Lo strinsi più forte che potevo dalla contentezza di essere accolta in
casa loro, salutai frettolosamente tutti i cugini ed amici della mia età circa,
poi mi staccai da tutti loro e con voce alta e squillante chiamai: <Rosina,
Rosina dove sei ?> e Rosina mi rispose con un lungo nitrito. Rosina era poco
distante nel prato a brucare l’ erba verde. Le corsi incontro per abbracciarla
e baciarla sul suo bel muso e lei mi restituì i baci che le davo con una
linguata che lavò tutto il mio viso, poi mi staccai un poco da lei perché volevo
guardarla in tutta sua bellezza di cavalla
<Oddio Rosina, che ti sta succedendo? Hai
una pancia enorme!>
Nonno Berto, che mi era venuto dietro, appoggiò
le mani sulle mie spalle e mi disse sorridendo: <Calmati
Luana, Rosina sta benissimo di salute, sta solamente aspettando di far
nascere il suo piccolo perciò è semplicemente gravida!>
<Quanto
le manca di tempo nonno Berto ?>
<Pochissimo
tempo e tu lo vedrai appena nato, sarai la prima, te lo prometto. Adesso andiamo in casa che è l‘ora di cena!>
Rosina ci venne dietro ed entrò tranquilla nella grande
stalla con il pavimento coperto di paglia gialla freschissima che profumava l’intero
ambiente . Prima di andare a letto chiesi a nonno Berto se potevo andare a dare
la buonanotte a Rosina e al suo pancione. Fui accontentata con un bel sì e così
andai nella stalla a dare la buonanotte alla mia bella cavalla che stava per
diventare mamma. La trovai sdraiata sulla paglia, su di un fianco. La baciai
sul muso e le accarezzai il pancione e lei, guardandomi con i suoi occhioni,
fece un debole nitrito di saluto; poi reclinò la testa appoggiandola sopra la
paglia morbida. Le detti un altro bacio e accarezzandole la testa le augurai la
buonanotte dicendole: <Ciao Rosina, a domani mattina> Poi, io ed i miei
quattro cugini, fummo mandati a letto nella stanza superiore. Ma io ero nervosa
e non riuscivo a prendere sonno e mi giravo e rigiravo in quel letto pieno e
soffice fatto di foglie di granturco. I miei cugini dormivano tranquilli, io
invece no ed ero attenta ad ogni rumore che veniva dal basso, quando ad un
tratto sentii la porta della stanza aprirsi e il nitrito quasi disperato di
Rosina. Il mio cuore cominciò a battermi in gola e, piano piano quatta quatta
scesi dal saccone e uscii all’aria aperta per andare nella stalla. Nonno Berto
e mio zio, suo figlio, erano in ginocchio vicinissimi a Rosina che stava
iniziando a partorire il suo piccolo e si lamentava quasi sottovoce.
<Bisogna far presto, non c’è troppa dilatazione...>
diceva Berto a suo figlio.
<Babbo è la prima volta che ti do una mano in questo
caso, ho le mani più grandi delle tue e le sto facendo male sul serio>.
A quel punto mi feci
coraggio e tremando un po’ entrai dritta nella stalla dicendo ad alta voce: <Io
ho le mani piccole e le braccia lunghe, voglio dare aiuto a Rosina e a voi due,
vi prego!> Si girarono tutti e due e mi guardarono sbalorditi
<Luana> disse nonno Berto <e tu saresti capace di
fare cosa stai dicendo?>
<Sì> risposi io caparbia <io voglio bene a Rosina
e voglio aiutarla per non farla soffrire
troppo, sono pronta a farlo e non ho paura del sangue. A me non fa schifo
niente e sono pronta a darvi tutte e due le mani che sono piccole e farò del
mio meglio per non far soffrire la mia amica Rosina>
Un altro nitrito di dolore ed io, scansando mio zio, mi
inginocchiai dietro le zampe della cavalla e, come lo avessi sempre fatto,
infilai una per volta le mie mani allargando le braccia finché, mentre mio zio
pigiava con forza gentile la pancia di Rosina, riuscii a sentire le zampette
del cavallino che afferrai assieme a nonno Berto tirandole con forza e sudando
come una fontana per la paura di non riuscire a tenere strette le zampette del
piccolo. Finalmente due zampette coperte di sangue uscirono fuori, tenute tutte
e due da Berto mentre le mie mani e le mie braccia erano ben infilate dentro
Rosina che via via nitriva.
<Tira più forte nonno, io ho tutto il corpo del cavallino
sotto le mie mani e lo sto spingendo verso l’uscita>
Per me quelli erano
momenti di terrore perché avevo una paura folle di non farcela più a spingere
quel corpicino e cominciavo a sentirmi stanca.
<Pigia più forte sulla pacia!> dissi urlando a mio zio
e piano piano le zampe uscirono del tutto fuori.
<Stai attenta bimba> mi disse Nonno Berto <Bisogna
che venga fuori con tutta la placenta intera, hai capito?>
Io dissi di sì muovendo la testa ed un filo di voce mentre
le mie mani pigiavano il corpo viscido e bagnato di sangue mi posi una domanda
alla quale non sapevo dare una risposta: ma che cos’è la placenta? Boh? Non lo
so, speriamo bene. Ero nervosa ed emozionata per quanto stavo facendo ed avevo
un’enorme paura. Alla fine, non so quanto fosse passato da quando avevo
infilato le mie mani dentro il corpo di Rosina, che smaniava con la testa e
nitriva sempre più spesso e più forte. Il corpo del cavallino uscì del tutto
fuori ed io allora, pensando a quella placenta, arrivai a prendere con tutte e
due le mani la testa del cavallino nascituro e con delicatezza, ma fermamente,
riuscii, aiutata da Berto e dallo zio a fare uscire all’esterno la testa del
cavallino dal corpo della madre che emise un forte e lungo nitrito che a me
sembrò di gioia. Lo zio tolse la famosa placenta intatta dalla testa del
cavallino, poi disse con voce contenta che ero stata veramente brava e
coraggiosa per quello che avevo fatto con le mie braccia di ragazzina, poi mi
baciò sulla testa bagnata dal sangue e dal sudore e guardandomi disse: <è
una femmina, che nome le vuoi mettere Luana?> Io guardai la cavallina sul
musetto e mentre Rosina la puliva con la sua grossa lingua, notai nel mezzo della
fronte, un ciuffetto di pelo scuro e
spontaneamente dissi: <sul capo ha la forma di una stella perciò lei è la
mia Stellina>. Rimanemmo lì in attesa che Stellina riuscisse, dopo molti
tentativi, a mettersi in piedi con le zampette vacillanti. Alla fine ci riuscì
e si attaccò con avidità alle mammelle della madre per succhiare il latte che
l’avrebbe fatta crescere bella e sana. Nel frattempo lo zio Marcello stava
ripulendo la stalla dal sangue del parto andato a buon fine e guardandomi negli
occhi mi disse compiaciuto: <Guarda, questa è la placenta tutta intera, sei
stata veramente brava e capace>. Ed intanto era arrivata l’alba ed io stanca
ma felice mi buttai sulla paglia asciutta e pulita e dissi con un filo di voce:
<Nonno, zio io ora dormo qui con loro!> E fu così che la cavallina
diventò mia e non si faceva toccare da nessuno che non fossi io e me la godetti
dal 25 di giugno fino al 10 di ottobre. Lei si inginocchiava per farmi salire
sul suo dorso macchiato di beige e di bianco e ce ne andavamo a passo lento a
fare passeggiate sulla riva del Serchio, sempre più lunghe e svelte.