Sono Noemi Mariani, e sono un Utente Esperto. Per far comprendere al meglio di cosa mi occupo parlerò della ma formazione che all'oggi mi ha portato ad esserlo.
L'inizio del mio percorso, ancora non chiamato Recovery, è avvenuto con l'Associazione Mediterraneo e una ricerca, basata su interviste anonime, che da anni viene svolta all'interno del reparto di psichiatria di Livorno. In quella lontana ma viva opportunità in situazione di degenza, mi si chiedeva di esplicitare liberamente il mio pensiero su quello che stavo in quel momento vivendo, cioè di poter parlare senza timori, paure di giudizio o di limiti di espressioni, come vivevo il mio eterno momento tra rabbia e silenzio in quel luogo.
In quel momento mi sentii immersa fra le onde sonore dell'ascolto.
La ricerca consiste nell'espressione del parare valutativo dell'utente, ricoverato, basato sulla sua esperienza che sta in quel momento vivendo, analizzando alcuni precisi concetti richiesti dalla stessa ricerca, al fine di comprendere al meglio la vivibilità, l'utilità e la risposta di bisogno al proprio malessere da parte del servizio di Salute Mentale.
Capii in seguito che ci mi prestava ascolto in quel momento difficile erano e sono tutt'ora, poiché questa tipologia di ricerca è tutt'oggi in atto, Utenti Esperti e, da quella esperienza, compresi pienamente la valenza dell'ascolto. Mi accostai sempre più alla Mediterraneo e ai suoi principi, di conseguenza maturava in me la fonte di crescita che mi avrebbe accompagnato e che mi accompagna tutt'oggi, verso il reciproco confronto che possiamo darci fra utente e utente, fra persone e persone portatrici di mondi feriti e mondi rinati. Le persone sono state la mia prima formazione, le loro storie, le loro emozioni oscure, i pensieri oltre la gioia e l'equilibrio di un giorno dopo l'altro... tutto sotto un forte calore empatico.
Ascoltando si impara ad ascoltarsi.
Un viaggio di crescita che mi allontanò da un mondo di forte carenza di reti sociali se non quelle legate alla salute mentale, una forte stigmatizzazione che incalzava dall'esterno e un forte senso di stigmatizzazione interno di inaccettazione mi trascinava in un isolamento incompreso, un isolamento malato.
Il mio miglioramento è avvenuto con gli anni, così il mio incremento di formazione in salute mentale; i viaggi basati sulla ricerca e il confronto tra culture differenti e i modi di intervenire e di pensare al concerto di guarigione in maniere e modalità diverse, hanno inciso fortemente sul mio grado di competenze.
L'esperienza norvegese, costruita negli anni, non è stata solo formazione personale ai fini di acquisizione di competenze, ho conosciuto persone che adesso sono degli amici, ho ascoltato storie diverse dalla mia realtà, ho visto pratiche all'approccio della Recovery che vorrei vedere qui in Italia e pratiche di servizio che la Norvegia prende dall'Italia. Tutto ciò mi ha fatto ricredere sulle possibilità che cambiare è possibile e che il cambiamento non è sempre detto che sia regresso.
Ho fatto di tute queste esperienze di vita e realtà il tesoro della mia formazione d'esperienza, ed oggi so come esprimerla portandola a divenire mezzo di supporto, e quindi comprenderla al meglio per poter avvicinarmi il più possibile alla comprensione d'animo che una persona davanti a me manifesta.
Ho fatto della mia vita il mio lavoro.
Attualmente sono dipendente di una cooperativa B "Cooperativa Cuore Liburnia" all'interno dell'Associazione Mediterraneo che si suddivide principalmente in due aree in cui si svolgono il ruolo di tutor: area "Proviamoci" dedicata principalmente a progetti di inclusione sociale e gestione del tempo libero, e l'area "Recovery".
L'area Recovery fa parte dell'associazione da qualche anno ed io, da tutor, gestisco insieme agli utenti che decidono di intraprendere questo percorso, i corsi di Reovery. Questo ruolo si è definito negli anni attraverso la padronanza di competenze quali: il sostegno attraverso un ascolto attivo e reciproco, cioè chi parla deve sentirsi ascoltato chi ascolta fa propria l'esperienza dell'altro, un ruolo che mi impegna nel confronto tra colleghi: psicologi, educatori, infermieri e medici, un ruolo che mi impegna nella parte più tecnica: gestione degli orari dei tirocinanti presenti in Recovery o la gestione del tempo libero come proiettare un film mangiando una crostata fatta dai tirocinanti, le riunioni settimanali di équipe per scambi reciproci di informazioni, sottolinenando che è uno scambio di informazioni viste ed analizzate sotto vari punti di vista, in quanto varie sono le provenienze di competenze all'interno (infermieri, psicologo, sociologo, tecnico della riabilitazione psichiatrica e utente esperto).
Sono cresciuta molto con la Mediterraneo e anche la Mediterraneo cresce e sta crescendo, un corso che si sta sviluppando è il corso di Biblioteca; da molti anni gestiamo il prestito di libri come servizio per i degenti all'interno del presidio ospedaliero di Livorno, grazie alla donazione della biblioteca clinica da parte del Dott. Mario Serrano e la collaborazione di un famigliare volontario bibliotecario, è stato possibile entrare ed essere riconosciuti come biblioteca nelle biblioteche nazionali d?Italia e far nascere, con prestigio, una sezione a parte dedicata al "Fondo Serrano" oltre alla gestione del servizio di prestito.
Con il mio percorso è nata la mia ripresa. Una ripresa che sfocia nell'arte del volontariato.
Ho sempre amato il mare, precisamene stare in mezzo al mare, forse perché mio padre mi ci ha cresciuta, ed ho scoperto la vela grazie a Paolo e i ragazzi di molte associazioni diverse che intraprendevano viaggi in barca a vela alla scoperta di un esperienza tra riflessioni e coraggio; ho conosciuto molte persone che adesso sono dei miei grandi amici, il clima di complicità che si fonde nello sito di sopravvivenza è unico all'interno della barca, le onde del mare che si infrangono sullo scafo di note accompagnato dal suono delle drizze contro l'albero, e nient'altro. E' la mia forma di libertà, libertà svolta nel mio tempo libero e che dedico a questi progetti. Il mare, la riflessione, il vento e la complicità mi hanno portato a coltivare una passione, scoperta con degli amici e che adesso coltivo anche in privato. Ho conseguito la patente nautica per possedere maggior competenze e sicurezza in mare e per dare uno sfogo a questa passione.
Questa è una piccola parte che raccoglie molto e purtroppo non riesco a dire tutto, concludendo, la mia formazione è stata la mia Recovery, e tutt'ora prosegue. La mia continua ricerca di stabilità è la forza della mia ripresa, poiché provo ancora malessere, una parte di me ancora sanguina ed è viva a volte dilaniante, trovandomi a lottare con mostri che ancora dominano parte del io vivere, quindi calzo il ruolo da Utente Esperto rimanendo anche utente, sono una persona che ascolta ma che ha ancora bisogno di essere ascoltata, che si muove verso il suo concetto di stabilità e di guarigione.
L'empatia, l'ascolto e la presa di coscienza adoperando come mezzo il confronto sono le basi legate alla speranza di totale padronanza del mio equilibrio, del mio raggiungimento di benessere e del mio essere Utente Esperto.
mercoledì 20 novembre 2019
Dal mio "Silenzio Malato" all'esperienza di Presidente dell'Associazione Mediterraneo
Mi chiamo Meri, ho 63 anni, abito a Livorno e sono con orgoglio il presidente dell'associazione Mediterraneo. Mediterraneo è un'associazione che mette al centro le persone che soffrono o hanno sofferto di un disagio mentale. I parenti delle persone sofferenti interessati a fare del volontariato si associano ad un'altra associazione sempre presente a Livorno, A.FO.FA.SAM.
Siamo convinti che il punto di vista di chi è portatore di disagio o di chi pensa di poterlo diventare sia diverso dal punto di vista dei famigliari che comunque stimiamo e comprendiamo. Chi è portatore di un disagio spesso ha difficoltà ad esprimersi e, quando ci riesce, ha difficoltà a farsi ascoltare e spesso ad essere creduto.
Chi è portatore di un disagio è direttamente interessato a riprendersi la propria vita in mano.
La mia sofferenza inizia nel 1973, avevo 17 anni. Ho subito un grave abuso da parte di un conoscente. Avevo paura di chiedere aiuto, non lo denunciai, non dissi niente a nessuno. Continuai a fare la mia vita in famiglia e a lavoro ma dentro di me cresceva una grande rabbia. La rabbia contro quell'uomo che spesso mi ricapitava di vedere e la rabbia verso me stessa che non riuscivo a tirare fuori quello che avevo dentro. Avevo paura di parlare, avevo paura di passare per quella che aveva torto o che aveva provocato quell'uomo più grande di me. Mio padre era severo, in famiglia non era facile parlare. Dopo circa un mese tentai per la prima volta il suicidio. Mi procurai dell'optalidon e mi nascosi nel magazzino dove lavoravo, per avvelenarmi. Mi hanno trovato per puro caso, sono stata 48 ore in coma. Al mio risveglio trovai i medici e i famigliari. Tutti erano molto preoccupati ma nessuno mi chiese perché avevo tentato di uccidermi. ripresi la mia vita ma con essa anche la rabbia che continuava a crescere in me. Non riuscivo a parlare con nessuno di quello che mi era successo.
Solo dopo molti anni, ormai adulta, riuscii a confidarmi con mia madre e mia sorella. Fu molto importante per me: avevo qualcuno con cui condividere il mio segreto e anche la mia rabbia. Mia madre e mia sorella, però, non erano forti. Potevano solo accogliere i miei silenzi e la mia infelicità. Non riuscivo a farmi molti amici e nemmeno ad instaurare una relazione sentimentale. Comunque, soffrendo, andavo avanti col mio lavoro umile e vivendo insieme ai miei.
Il mio dolore mentale è stato insopportabile per la seconda volta quando morì mia madre, la mia confidente. Mi sentivo molto sola e tentai nuovamente il suicidio nel 1997. Ho conosciuto la psichiatria dura, sono stata legata al letto e ancora peggio ho vissuto sulla mia pelle l'esperienza si non essere creduta per quello che dicevo. Dal 1997 sono diventata a tutti gli effetti malata, una paziente psichiatrica. Per lenire la mia rabbia, oltre gli psicofarmaci, iniziai ad usare alcol. Mi ricordo i primi gruppi di auto aiuto, la vicinanza degli altri e la pressoché totale perdita di controllo della mia vita. Spesso cercavo di farmi male e spesso finivo ricoverata in reparto.
Era difficile aiutarmi, non trovavo la strada della guarigione. Dovevo essere gestita nel lungo periodo e mi ricoverarono in una struttura residenziale gestita dalle suore. Non ero e non sono credente. Con le suore di Quercianella (una frazione di Livorno) ho passato 8 anni della mia vita. Non avevo alternative perché non ero in grado di vivere da sola ma nemmeno potevo appoggiarmi alla mia famiglia.
La vita è ritornata mia quando mio fratello più piccolo è stato in grado di trovarmi una soluzione abitativa alternativa. Facevo la badante alla sua suocera. Questo impegno è stata la mia nuova partenza. Grazie alla rinnovata energia ricercai l'Associazione Mediterraneo che nel frattempo era molto cresciuta da quei primi gruppi di auto aiuto a cui avevo partecipato alla fine degli anni '90.
Prima nei mesi e poi negli anni l'associazione è diventata il luogo dove mi sono sentita riconosciuta come persona, dove sono stata ascoltata e dove ho auto modo di essere di aiuto a tante altre persone che come me hanno difficoltà a parlare e a condividere le loro storie.
Ho capito sulla mia pelle che il silenzio crea sofferenza, ho capito che la grande sofferenza può trasformarsi in malattia, ho capito che tutti i malati di mente corrono il rischio di non guarire mai e di non essere creduti. A Mediterraneo tutte le persone vengono ascoltate e trattate come adulti. Non si giudica e non si interpreta. Spesso capita che alcune persone riescano a trovare le parole giuste per raccontare la loro esperienza ed imparare ad ascoltare le storie degli altri. Scambiare le sofferenze è utile per riprendere il controllo delle nostre vite ma quasi sempre gioiamo del piacere di passare tempo insieme facendo cose belle per noi e per chi con noi è disposto a partecipare ad un pezzo del nostro viaggio.
Meri Taccini
Siamo convinti che il punto di vista di chi è portatore di disagio o di chi pensa di poterlo diventare sia diverso dal punto di vista dei famigliari che comunque stimiamo e comprendiamo. Chi è portatore di un disagio spesso ha difficoltà ad esprimersi e, quando ci riesce, ha difficoltà a farsi ascoltare e spesso ad essere creduto.
Chi è portatore di un disagio è direttamente interessato a riprendersi la propria vita in mano.
La mia sofferenza inizia nel 1973, avevo 17 anni. Ho subito un grave abuso da parte di un conoscente. Avevo paura di chiedere aiuto, non lo denunciai, non dissi niente a nessuno. Continuai a fare la mia vita in famiglia e a lavoro ma dentro di me cresceva una grande rabbia. La rabbia contro quell'uomo che spesso mi ricapitava di vedere e la rabbia verso me stessa che non riuscivo a tirare fuori quello che avevo dentro. Avevo paura di parlare, avevo paura di passare per quella che aveva torto o che aveva provocato quell'uomo più grande di me. Mio padre era severo, in famiglia non era facile parlare. Dopo circa un mese tentai per la prima volta il suicidio. Mi procurai dell'optalidon e mi nascosi nel magazzino dove lavoravo, per avvelenarmi. Mi hanno trovato per puro caso, sono stata 48 ore in coma. Al mio risveglio trovai i medici e i famigliari. Tutti erano molto preoccupati ma nessuno mi chiese perché avevo tentato di uccidermi. ripresi la mia vita ma con essa anche la rabbia che continuava a crescere in me. Non riuscivo a parlare con nessuno di quello che mi era successo.
Solo dopo molti anni, ormai adulta, riuscii a confidarmi con mia madre e mia sorella. Fu molto importante per me: avevo qualcuno con cui condividere il mio segreto e anche la mia rabbia. Mia madre e mia sorella, però, non erano forti. Potevano solo accogliere i miei silenzi e la mia infelicità. Non riuscivo a farmi molti amici e nemmeno ad instaurare una relazione sentimentale. Comunque, soffrendo, andavo avanti col mio lavoro umile e vivendo insieme ai miei.
Il mio dolore mentale è stato insopportabile per la seconda volta quando morì mia madre, la mia confidente. Mi sentivo molto sola e tentai nuovamente il suicidio nel 1997. Ho conosciuto la psichiatria dura, sono stata legata al letto e ancora peggio ho vissuto sulla mia pelle l'esperienza si non essere creduta per quello che dicevo. Dal 1997 sono diventata a tutti gli effetti malata, una paziente psichiatrica. Per lenire la mia rabbia, oltre gli psicofarmaci, iniziai ad usare alcol. Mi ricordo i primi gruppi di auto aiuto, la vicinanza degli altri e la pressoché totale perdita di controllo della mia vita. Spesso cercavo di farmi male e spesso finivo ricoverata in reparto.
Era difficile aiutarmi, non trovavo la strada della guarigione. Dovevo essere gestita nel lungo periodo e mi ricoverarono in una struttura residenziale gestita dalle suore. Non ero e non sono credente. Con le suore di Quercianella (una frazione di Livorno) ho passato 8 anni della mia vita. Non avevo alternative perché non ero in grado di vivere da sola ma nemmeno potevo appoggiarmi alla mia famiglia.
La vita è ritornata mia quando mio fratello più piccolo è stato in grado di trovarmi una soluzione abitativa alternativa. Facevo la badante alla sua suocera. Questo impegno è stata la mia nuova partenza. Grazie alla rinnovata energia ricercai l'Associazione Mediterraneo che nel frattempo era molto cresciuta da quei primi gruppi di auto aiuto a cui avevo partecipato alla fine degli anni '90.
Prima nei mesi e poi negli anni l'associazione è diventata il luogo dove mi sono sentita riconosciuta come persona, dove sono stata ascoltata e dove ho auto modo di essere di aiuto a tante altre persone che come me hanno difficoltà a parlare e a condividere le loro storie.
Ho capito sulla mia pelle che il silenzio crea sofferenza, ho capito che la grande sofferenza può trasformarsi in malattia, ho capito che tutti i malati di mente corrono il rischio di non guarire mai e di non essere creduti. A Mediterraneo tutte le persone vengono ascoltate e trattate come adulti. Non si giudica e non si interpreta. Spesso capita che alcune persone riescano a trovare le parole giuste per raccontare la loro esperienza ed imparare ad ascoltare le storie degli altri. Scambiare le sofferenze è utile per riprendere il controllo delle nostre vite ma quasi sempre gioiamo del piacere di passare tempo insieme facendo cose belle per noi e per chi con noi è disposto a partecipare ad un pezzo del nostro viaggio.
Meri Taccini
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