Mi chiamo Meri, ho 63 anni, abito a Livorno e sono con orgoglio il presidente dell'associazione Mediterraneo. Mediterraneo è un'associazione che mette al centro le persone che soffrono o hanno sofferto di un disagio mentale. I parenti delle persone sofferenti interessati a fare del volontariato si associano ad un'altra associazione sempre presente a Livorno, A.FO.FA.SAM.
Siamo convinti che il punto di vista di chi è portatore di disagio o di chi pensa di poterlo diventare sia diverso dal punto di vista dei famigliari che comunque stimiamo e comprendiamo. Chi è portatore di un disagio spesso ha difficoltà ad esprimersi e, quando ci riesce, ha difficoltà a farsi ascoltare e spesso ad essere creduto.
Chi è portatore di un disagio è direttamente interessato a riprendersi la propria vita in mano.
La mia sofferenza inizia nel 1973, avevo 17 anni. Ho subito un grave abuso da parte di un conoscente. Avevo paura di chiedere aiuto, non lo denunciai, non dissi niente a nessuno. Continuai a fare la mia vita in famiglia e a lavoro ma dentro di me cresceva una grande rabbia. La rabbia contro quell'uomo che spesso mi ricapitava di vedere e la rabbia verso me stessa che non riuscivo a tirare fuori quello che avevo dentro. Avevo paura di parlare, avevo paura di passare per quella che aveva torto o che aveva provocato quell'uomo più grande di me. Mio padre era severo, in famiglia non era facile parlare. Dopo circa un mese tentai per la prima volta il suicidio. Mi procurai dell'optalidon e mi nascosi nel magazzino dove lavoravo, per avvelenarmi. Mi hanno trovato per puro caso, sono stata 48 ore in coma. Al mio risveglio trovai i medici e i famigliari. Tutti erano molto preoccupati ma nessuno mi chiese perché avevo tentato di uccidermi. ripresi la mia vita ma con essa anche la rabbia che continuava a crescere in me. Non riuscivo a parlare con nessuno di quello che mi era successo.
Solo dopo molti anni, ormai adulta, riuscii a confidarmi con mia madre e mia sorella. Fu molto importante per me: avevo qualcuno con cui condividere il mio segreto e anche la mia rabbia. Mia madre e mia sorella, però, non erano forti. Potevano solo accogliere i miei silenzi e la mia infelicità. Non riuscivo a farmi molti amici e nemmeno ad instaurare una relazione sentimentale. Comunque, soffrendo, andavo avanti col mio lavoro umile e vivendo insieme ai miei.
Il mio dolore mentale è stato insopportabile per la seconda volta quando morì mia madre, la mia confidente. Mi sentivo molto sola e tentai nuovamente il suicidio nel 1997. Ho conosciuto la psichiatria dura, sono stata legata al letto e ancora peggio ho vissuto sulla mia pelle l'esperienza si non essere creduta per quello che dicevo. Dal 1997 sono diventata a tutti gli effetti malata, una paziente psichiatrica. Per lenire la mia rabbia, oltre gli psicofarmaci, iniziai ad usare alcol. Mi ricordo i primi gruppi di auto aiuto, la vicinanza degli altri e la pressoché totale perdita di controllo della mia vita. Spesso cercavo di farmi male e spesso finivo ricoverata in reparto.
Era difficile aiutarmi, non trovavo la strada della guarigione. Dovevo essere gestita nel lungo periodo e mi ricoverarono in una struttura residenziale gestita dalle suore. Non ero e non sono credente. Con le suore di Quercianella (una frazione di Livorno) ho passato 8 anni della mia vita. Non avevo alternative perché non ero in grado di vivere da sola ma nemmeno potevo appoggiarmi alla mia famiglia.
La vita è ritornata mia quando mio fratello più piccolo è stato in grado di trovarmi una soluzione abitativa alternativa. Facevo la badante alla sua suocera. Questo impegno è stata la mia nuova partenza. Grazie alla rinnovata energia ricercai l'Associazione Mediterraneo che nel frattempo era molto cresciuta da quei primi gruppi di auto aiuto a cui avevo partecipato alla fine degli anni '90.
Prima nei mesi e poi negli anni l'associazione è diventata il luogo dove mi sono sentita riconosciuta come persona, dove sono stata ascoltata e dove ho auto modo di essere di aiuto a tante altre persone che come me hanno difficoltà a parlare e a condividere le loro storie.
Ho capito sulla mia pelle che il silenzio crea sofferenza, ho capito che la grande sofferenza può trasformarsi in malattia, ho capito che tutti i malati di mente corrono il rischio di non guarire mai e di non essere creduti. A Mediterraneo tutte le persone vengono ascoltate e trattate come adulti. Non si giudica e non si interpreta. Spesso capita che alcune persone riescano a trovare le parole giuste per raccontare la loro esperienza ed imparare ad ascoltare le storie degli altri. Scambiare le sofferenze è utile per riprendere il controllo delle nostre vite ma quasi sempre gioiamo del piacere di passare tempo insieme facendo cose belle per noi e per chi con noi è disposto a partecipare ad un pezzo del nostro viaggio.
Meri Taccini
Nessun commento:
Posta un commento