Siamo convinti che il punto di vista di chi è portatore di disagio o di chi pensa di poterlo diventare sia diverso dal punto di vista dei famigliari che comunque stimiamo e comprendiamo. Chi è portatore di un disagio spesso ha difficoltà ad esprimersi e, quando ci riesce, ha difficoltà a farsi ascoltare e spesso ad essere creduto.
Chi è portatore di un disagio è direttamente interessato a riprendersi la propria vita in mano.

Solo dopo molti anni, ormai adulta, riuscii a confidarmi con mia madre e mia sorella. Fu molto importante per me: avevo qualcuno con cui condividere il mio segreto e anche la mia rabbia. Mia madre e mia sorella, però, non erano forti. Potevano solo accogliere i miei silenzi e la mia infelicità. Non riuscivo a farmi molti amici e nemmeno ad instaurare una relazione sentimentale. Comunque, soffrendo, andavo avanti col mio lavoro umile e vivendo insieme ai miei.
Il mio dolore mentale è stato insopportabile per la seconda volta quando morì mia madre, la mia confidente. Mi sentivo molto sola e tentai nuovamente il suicidio nel 1997. Ho conosciuto la psichiatria dura, sono stata legata al letto e ancora peggio ho vissuto sulla mia pelle l'esperienza si non essere creduta per quello che dicevo. Dal 1997 sono diventata a tutti gli effetti malata, una paziente psichiatrica. Per lenire la mia rabbia, oltre gli psicofarmaci, iniziai ad usare alcol. Mi ricordo i primi gruppi di auto aiuto, la vicinanza degli altri e la pressoché totale perdita di controllo della mia vita. Spesso cercavo di farmi male e spesso finivo ricoverata in reparto.
Era difficile aiutarmi, non trovavo la strada della guarigione. Dovevo essere gestita nel lungo periodo e mi ricoverarono in una struttura residenziale gestita dalle suore. Non ero e non sono credente. Con le suore di Quercianella (una frazione di Livorno) ho passato 8 anni della mia vita. Non avevo alternative perché non ero in grado di vivere da sola ma nemmeno potevo appoggiarmi alla mia famiglia.
La vita è ritornata mia quando mio fratello più piccolo è stato in grado di trovarmi una soluzione abitativa alternativa. Facevo la badante alla sua suocera. Questo impegno è stata la mia nuova partenza. Grazie alla rinnovata energia ricercai l'Associazione Mediterraneo che nel frattempo era molto cresciuta da quei primi gruppi di auto aiuto a cui avevo partecipato alla fine degli anni '90.
Prima nei mesi e poi negli anni l'associazione è diventata il luogo dove mi sono sentita riconosciuta come persona, dove sono stata ascoltata e dove ho auto modo di essere di aiuto a tante altre persone che come me hanno difficoltà a parlare e a condividere le loro storie.
Ho capito sulla mia pelle che il silenzio crea sofferenza, ho capito che la grande sofferenza può trasformarsi in malattia, ho capito che tutti i malati di mente corrono il rischio di non guarire mai e di non essere creduti. A Mediterraneo tutte le persone vengono ascoltate e trattate come adulti. Non si giudica e non si interpreta. Spesso capita che alcune persone riescano a trovare le parole giuste per raccontare la loro esperienza ed imparare ad ascoltare le storie degli altri. Scambiare le sofferenze è utile per riprendere il controllo delle nostre vite ma quasi sempre gioiamo del piacere di passare tempo insieme facendo cose belle per noi e per chi con noi è disposto a partecipare ad un pezzo del nostro viaggio.
Meri Taccini
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