mercoledì 4 aprile 2018

Discriminazione



La Redazione

Tra discussioni, spunti e contrasti produttivi le menti, i cuori e gli individui della Redazione dell’Associazione Mediterraneo hanno dato vita ad un’unione di pensieri qui sotto riportati.


Ci troviamo in un’epoca in cui nessuno di noi può essere estraneo a concetti come la lotta al razzismo, al sessismo e i diritti alle pari opportunità. Tuttavia, nonostante il senso comune mondiale stia procedendo con grande sforzo verso una piena consapevolezza del valore della diversità, in questa lotta perenne una categoria si trova a faticare più delle altre e a rimanere vittima delle continue discriminazioni: quella dei malati mentali.
Che si tratti di disturbi legati al fisico o alla mente, essere malati significa provare una sensazione di malessere logorante. Dunque, sebbene i disagi fisici possano essere accomunati a quelli mentali, tenuto conto delle rispettive gravità, è indubbio come il malessere mentale sia responsabile della genesi di un ulteriore ostacolo sul sentiero dell’equilibrio dei rapporti sociali. Paura, pregiudizio e disinformazione infatti sono temi datati, ma tuttavia non ancora superati, che continuano a ruotare minacciosamente attorno al concetto di malattia mentale.
Purtroppo, si tratta di una conseguenza fisiologica legata al contesto in cui nasciamo e cresciamo; viviamo infatti in società in cui si dà valore a ciò che appare e la prima cosa che vediamo in qualcuno che soffre non è la sua persona, bensì la sua malattia.

Riuscire a vedere oltre, forse, per quanto auspicabile potrebbe però non rappresentare la soluzione più adatta nel fronteggiamento di comportamenti discriminanti. Il “diverso” spaventa perché imprevedibile, perché strano e potenzialmente pericoloso, una percezione questa che porterà gli altri ad allontanarsi dalla persona e che condurrà la persona stessa ad alimentare il vuoto sociale attorno a sé. Si tratta della cosiddetta discriminazione negativa, ovvero quell’atteggiamento di separazione diretto a sfavorire coloro che non appartengono a gruppi sociali ritenuti ordinari. D’altro canto tuttavia possiamo osservare come essa presenti una controparte positiva. La discriminazione positiva è un atteggiamento di disparità nei confronti di chi è più debole e parte con uno svantaggio, come stranieri o disabili, volta a dar loro gli stessi diritti e opportunità degli altri. Nonostante essa possa esser mossa dai più nobili principi anche a livello normativo, a nostro avviso, la discriminazione positiva rischia di degenerare e sfociare, in special modo sul piano sociale, in un atteggiamento di compassione paternalistica.
Questo modo di agire rischia di privare la persona della sua identità riducendola ad un essere bisognoso e passivo. Queste e molte altre sfumature del fare discriminatorio non fanno altro che ampliare il distacco tra chi soffre e gli altri provocando nella persona una serie di pensieri e riflessioni che potranno condurla ad una distorsione della realtà e che gli renderà ancora più difficoltoso vivere la quotidianità. La discriminazione in sostanza assume molteplici facce e forme ma il fondamento su cui si basa, ovvero che la diversità finisca per esser trattata come un handicap, rimane invariato. Un concreto e possibile supporto alla soluzione di questo problema potrebbe essere un piano di lotta alla disinformazione condotto nelle scuole e magari promosso con più decisione e convinzione dagli enti del territorio. La disinformazione non deve essere affatto sottovalutata, poiché rappresenta il punto di partenza del processo di stigmatizzazione dell’individuo come “malato”. La società odierna infatti nutre pensieri basati sull’ignoranza e sul pregiudizio di conseguenza non si dimostra capace di comprendere e trattare in maniera adeguata i problemi che possono affliggere una persona, ne limitano le possibilità e la rendono soggetta ad un trattamento discriminatorio e alienante che finirà per aggravare ulteriormente il suo stato di disagio. La malattia mentale non deve più rappresentare qualcosa di spaventoso e da evitare, ma deve rivelarsi un’opportunità per comprendere chi è diverso da noi. Come ultimo passo nella lotta alla discriminazione sarebbe bello poi poter pensare ad un futuro in cui coloro che hanno vissuto un grave periodo di malessere, attraverso percorsi graduali di reinserimento, possano “tornare” alla normalità e alla vita di tutti i giorni, non giudicati o emarginati. Noi speriamo e ci crediamo. E tu?