mercoledì 23 dicembre 2015

Nostalgia

Di Alba

La nostalgia è un sentimento umano e profondo; esso significa provare un flusso di emozioni che provengono dal nostro passato, come il piacere, la tristezza, la speranza e la malinconia. La nostalgia, qualora ci faccia comprendere che il passato non ritorna, può essere visto come un sentimento positivo perché ci aiuterà a vivere con serenità sia il presente che il futuro. Purtroppo però se così non viene “vissuta” essa può sfociare in una patologia. Ho fatto questa premessa perché proprio la nostalgia è affiorata in me da svariati giorni; stavo facendo ordine nella mia libreria e mi sono soffermata a rileggere vecchie agende e un mio vecchio scritto. Ho riletto un mio scritto datato 1991 intitolato “La storia della mia vita, incredibile ma vera”. L’avevo scritto a mano dopo qualche anno trascorso tra esperienze di ricoveri e psicoterapie. La narrazione della mia prima esperienza “toccante” come volontaria C.R.I Mi ha totalmente riportata al passato. Era il 1971 quando, dopo aver frequentato un corso alla C.R.I., avevo iniziato a frequentare in ospedale il reparto di ergoterapia e successivamente quello di neurochirurgia. Qui erano ricoverati molti giovani paraplegici e semiparalitici  che provenivano perlopiù da altre regioni d’Italia, specialmente dal meridione. Restavano ricoverati per diversi mesi quasi sempre da soli, senza parenti o amici ad assisterli e il mio compito consisteva nel far loro compagnia e svolgere per loro alcune commissioni che da soli non avrebbero potuto fare. I “casi” da seguire venivano presentati con un accenno alla situazione clinica dalla suora caposala di reparto, Suor Graziana e il primo caso in cui mi imbattei fu molto particolare: si trattava di un ragazzo di ventisei anni, Riccardo ed era un ragioniere di Prato che purtroppo era rimasto paralizzato dalla vita in giù a seguito di un errore durante un intervento chirurgico. Riccardo era consapevole del motivo della sua paralisi e così aveva sviluppato un tale odio nei confronti di medici e paramedici che spesso, al loro ingresso in camera, lanciava loro tutto ciò che gli capitava sotto mano, libri, bicchieri, bottiglie… era un paziente non paziente: comprensibile!
Con gli occhi di adesso mi rendo conto di come oggi potrei riuscire a comprendere meglio il suo profondo disagio dato che anche io, per qualche anno, mi sono trovata a vivere un’esperienza di semiparesi.
Consapevole dell’astio di Riccardo nei confronti dei dottori, mi presentai a lui informandolo subito del fatto che non fossi né un medico né un paramedico, ma un’insegnate di scuola materna che occasionalmente faceva la volontaria e che il motivo per il quale indossavo il camice era l'obbligo impostomi dall’ospedale. Durante i nostri incontri io parlavo di me, del lavoro che facevo, dei miei problemi familiari ed esistenziali, parlavo di ciò che avveniva fuori dell’ospedale, ma di fronte a me trovavo un interlocutore muto ed impassibile; non una parola, non uno sguardo, non mi degnava minimamente della sua attenzione! Quante giornate, settimane, mesi trascorsi a parlare, a monologare con un “muro”! Ricordo come a casa la sera a letto mi ritrovassi a piangere e a pensare a come poter istaurare un qualsiasi tipo di dialogo con lui. Ero certa di fare del bene, anche perché tutti gli altri volontari prima di me si erano arresi dopo solo pochi tentativi. Io volevo farcela a tutti i costi, mi dispiaceva troppo vederlo sempre triste, solitario e chiuso nelle sue letture. Pianti, sofferenze, sudate, sforzi per arrivare a scalfire quell’iceberg che mi trovavo d’innanzi; cosa potevo fare? I comportamenti degli altri che avevano fallito prima di me erano stati caratterizzati da una vena pietismo, ma la mia “tattica” per quanto diversa non raccolse il successo che mi ero aspettata. Per quanto il cuore mi si stringesse ogni volta non ho mai accennato alla sua infermità, lo trattavo come un ragazzo qualunque, senza menomazioni e come tale lo informavo di ciò che succedeva fuori da lì; gli raccontavo anche episodi ridicoli di come riuscissi a saltare gli ostacoli “senza cavallo” atterrando in vaste pozze fangose… ma niente, nessuna risata, nessun accenno di voler istaurare un dialogo!
Finalmente un giorno la mia caparbietà fu premiata perché riuscii a scovare quella scintilla che mi permise di “scongelare il ghiacciolo”: il calcio. Riccardo leggeva sempre giornali sportivi e la domenica non staccava il suo orecchio dalla radiolina. “Mi puoi spiegare come funziona il calcio? Non ci capisco niente” Sguardo bieco, un abbozzo di sorriso, uno sguardo dal basso verso l’alto ed era fatta! Cominciò a spiegarmi le regole, ma molto presto si accorse che per il calcio ero negata e che in effetti mi importava ben poco di conoscerlo. Lo capì molto presto, era molto sensibile ed intelligente e così i miei lunghi monologhi divennero argomenti di conversazione e l’iceberg si trasformò in un interlocutore acuto, simpatico, frizzante e in un caro amico anche per gli altri pazienti. Riccardo inoltre aveva una piccola e vecchia macchina fotografica e ricordo come si dilettasse a fare scatti agli uccellini che beccavano le briciole sul terrazzo del reparto; io mi occupavo di portarle a sviluppare e insieme commentavamo le sue foto, dato che anche io stavo iniziando ad appassionarmi alla fotografia. I medici un giorno programmarono di trasferirlo a Milano ed io lo aiutai anche ad ottenere tutti i documenti necessari per il trasferimento e per un lavoro nell’immediato futuro. Prima di partire per Milano però, all’inizio del 1975, fu trasferito a Marina di Massa per nuove cure e per quanto si trattasse di una struttura sul mare e fosse ben attrezzata si trattava di un luogo molto triste. Un giorno andai a trovarlo e fu un miracolo se riuscii a tornare a casa illesa, infatti mentre guidavo avevo fissate in mente le immagini degli ospiti di quello squallido ricovero. Lui soggiornò a Marina di Massa fino al 1978 e per tutto quel tempo mantenemmo uno stretto contatto epistolare (conservo ancora le sue simpatiche lettere, l’ultima datata gennaio 1978). Questa bellissima, vera, pura e semplice amicizia si è quindi protratta per oltre cinque anni ma poi all’improvviso fu il silenzio. Lo avevano trasferito a Milano e al CTO nessuno seppe darmi ulteriori informazioni. Ho continuato comunque a fare volontariato con persone con problemi fisici e psichici perché ciò mi ha dato e continua a darmi grande gioia, la gioia immensa di essere riuscita a trasformare un pianto in  un sorriso, una chiusura in un’apertura, un isolamento in un gruppo affiatato, un additamento cattivo e giudicante in una corale accoglienza “senza etichette”.
Per ME un sincero caldo altruismo che però diviene per l’emozione gratificante ricevuta quale ricompensa.

Alba

La nascita di un nuovo giorno migliore.

giovedì 10 dicembre 2015

Una gita a Cremona

Di Liliana Fabbri
A cura di Enrico Longarini

Per la giornata del 29 ottobre 2015, l’Associazione Mediterraneo aveva organizzato, su progetto del nostro amico Pietro Di Vita, una gita alla festa del torrone di Cremona, tradizionale e famosa sagra che si tiene ogni anno nella città lombarda. Così, eccitati all’idea del viaggio, io, mio figlio Francesco, la sua ragazza Federica e tutti gli altri membri dell’Associazione Mediterraneo siamo partiti alla volta di Cremona. Dopo circa due ore di viaggio siamo giunti a destinazione ed abbiamo consumato il pranzo che ci eravamo portati da casa, poi un caffè per riscaldare i nostri cuori ed infine ci siamo immersi tra le innumerevoli bancarelle piene di dolciumi e leccornie. Tra le vie della città si era riversata moltissima gente e tra un giro e l’altro abbiamo acquistato il famoso torrone di Cremona, purtroppo però nonostante i colori, la grande varietà di gusti, di sapori e la graziosità della città, non siamo riusciti ad apprezzare appieno le sue bellezze a causa del drastico abbassamento di temperatura che ci ha colpiti.
 Oltre che per il torrone eravamo giunti a Cremona anche per assistere allo spettacolo serale di fuochi artificiali che avrebbe concluso la festa, ma sconfitti dal freddo, nel tardo pomeriggio siamo stati costretti ad una ritirata strategica in direzione dei nostri furgoncini. Così io, i miei compagni di viaggio ed il nostro accompagnatore ed autista Enrico abbiamo ripreso il cammino verso Livorno. Tra amabili chiacchierate, radio Subasio e risate, il viaggio di ritorno è stata una delle parti del viaggio che ho apprezzato maggiormente. Ringrazio quindi  Enrico di aver organizzato questa gita a Cremona e spero di poter intraprendere altre nuove esperienze e poter visitare altri posti incantevoli (magari trovando temperature più miti). Grazie ancora Enrico e alla prossima avventura e alla prossima esperienza! Ciao a tutti. 

sabato 5 dicembre 2015

Giornata nazionale della Salute mentale

Di Franca Izzo

                   Il cinque Dicembre scorso presso il Museo di Storia Naturale di Livorno si è tenuta la classica festa di fine progetto "Giovani e Salute Mentale" 2015.

                     Paolo Pini da a tutti il benvenuto spiega e ricorda cos'è il progetto "Giovani eSalute Mentale" o meglio "Naturalmente Uguali" gestito dall'associazione di untenti Mediterraneo per conto del centro di socializzazione P.R.O.V.I.A.M.O.C.I. della ASL6, e qual'è lo scopo che si propone; l'abbattimento dello stigma e del pregiudizio cittadino. Il suddettu progetto  propone vacanze di circa una settimane per studenti delle quarte classi di istituti superiori della Provincia di Livorno con i pazienti dei servizzi, sempre della provinciali.
Durante tali vacanze i due gruppi, che da prima si guardano da distanza vicedevolmente per studiarsi, con l'affrontare assieme le difficoltà dei percorsi di trekking, o manovre in barca, nascono battute beffarde e scherzose tra i gruppi che trovano un punto d'incontro e cominciano a socializzare, sostenendo a volte anche i pazienti più anziani o difficoltosi; ci si divide i compiti e il daffare per partire il più presto possibile per una nuova avventura.
Capita a volte che ci si divida in sqadre per sfidarci a calcetto e allora tifiamo animatamente; soprattutto se sono presenti anche gruppi stranieri, è un gran chiasso. Adesso voi potreste pensare che si tratti di una bischerata, che sia solo gente che va in vacanza e si diverte senza spentere quasi niente. No cretemi non è così, perchè un giovane spenzierato tutto il bello della vita, prende coscienza di problematiche a lui sconosciute (anche se il 10% della popolazione livornese assume psicofarmaci) o purtroppo nota che anche in lui vi è un qualcosa di latente, riflettono molto e si confrontano; mentre i pazienti si lasciano trasportare dalla vitalità giovanile, ricordando ciò che erano e cercando di non essere di peso, affinchè tuttuno il gruppo raggiunga il traguardo prefisso (anche a costo di dolori un pò ovunque).
Queste attività hanno dimostrato la loro validità nell'abbattere lo stigma e il pregiudizio, perciò durano con successo da anni.

                   Franca Izzo invece spiega che la festa di fine progetto è stata voluta proprio il 5 Dicembre perchè oggi è la "Giornata Nazionale della Salute Mentale. Poi spiega la differenza tra igene mentale: cerano ancora i manicomi e ai pazienti venivano somministrati solo farmaci a tamponare i sintomi più o meno gravi, a volte si usava anche la comicia di forza, soprattutto nelle fasi di acuzia, o venivano persino legati nudi con cinghie; tutto andava bene, sedati al massino perchè non fossero peericolosi per se stessi od altri e magari ci scappava anche qualche elerrtoshock. Questo voleva dire curare la persona; ecco il perchè di tanta paura per il malato mentale ingabbiato.
Ma la salute mentale è tutta un'altra cosa! E' si la somministrazione dei farmaci, dosati sempre con oculatezza, ma è soprattutto ascolto, il capire le mancanze di necessità socio-affettiva o stress che hanno causano il malessere della persona, lo scoprire il lato sano della persona e quello che sa fare o portebbe arrivare a fare: fargli scoprire quanto sono importanti le sue manualità, le sue conoscenze e raggirare i suoi evidenti blocchi per far sviluppare la loro patre sana e più profonda. Aiutarli a capire che sono in grado di fare da soli o in gruppo, di lavorare e sentirsi utili nel loro ruolo sociale, e no che sono un peso per il mondo.
Poi prosegue dicendo che la salute mentale è una grande fortuna che va saputa mantenere per noi e per gli altri, di stare attenti a certe trasgressioni.
Per lei lo sballo è andare a mangiare una pizza con gli amici, cantando al caraochei, e più siamo meglio è; andare in discoteca e ballare fino all'alba, dopo tornare esausta a casa con le proprie gambe buttarsi sul letto senza nemmeno spogliarsi e dormire tutto il giorno seguente, ricordando al risveglio sotto la doccia quanto mi sono divertita. Non essere riportata a casa in braccio di qualcun altro non ricordando un bel niente di ciò che è stato, se non quello che gli altri raccontano ridendo a grapapelle di me; perchè così il divertimento è stato solo di loro e non mio. Poi a lungo andare magari mi bricia anche il cervello e allora son guai; ne ho conosciuti tanti che non sono riusciti a fermarsi.
Poi franca si rivolge agli utenti presenti denunciando un pò lo scandalo che il centro di salute mentale Frediani prossimamente verra spostato al settimo padiglione in ospedale. Ricorda che lo scopo di Franco Basaglia contemplava la deospedalizzazione del paziente psichiatrico, invece ora per tagliar le spese sulla sanità ci vengono rimandare negli ospedali col CSM e tutto, e non solo l'SPDC.
Franca ringrazia anche gli studenti che si sono accorti del suo miglioramento e dice che il combiamento è avvenuto anche per merito di loro che l'hanno spinta a cantare e ballare facendola tornare a sperare.

                   Gli studenti co mostrano il video montaggio che loro hanno fatto durante la tappa della Norvegia, in cui ero presente anch'io a mangiare fette di pane e cioccolata a volontà.
Il video mostra un pò tutte le fasi salienti della tappa ma è anche un pò autoironico perchè mostra anche buffe immagini che vorremmo fossero presenti di noi, pose del tutto naturali ma abbastanza comiche; questo è il bello dei giovani, saper ridere di se stessi!

                   Il professor ..... ..... ha detto che tutto il materiale girato è di circa sei ore, lui si è lumitato a raccogliere tutto il girato in un unico dischetto e poi i ragazzi hanno fatto da soli i loro tagli. Non è stato un lavoro facile quello di ridurre tutto in pochi minuto, vi hanno impiegato quasi due mesi di lavoro; ripete che lui non c'ha messo mano e che anno fatto tutto da soli. Spiega che hanno pirtato solo immagini della Norvegia perchè di Montioni non avevano materiale. Fa anche presente che oggi i ragazzi che hanno fatto il montaggio non ci sono ma si vedono nel video; come un pò tutti.

                   Si apre un piccolo dibattito sulla bellezza della scuola vista nel video e la diversità delle scuole e ci dice di stare attenti, perchè non è oro tutto quel che luccica, dice che lui è stato in una classe per portatori di handicap, tra cui un ragazzo autistico; vi erano molti assistenti di supporto all'insegnante ma gli alunni con difficoltà erano isolati dagli altri. Dice che è vero, la scuola è molto ben strutturata ma hanno percorsi diversi, separati; noi siamo mal massi come strutture scolastiche ma includiamo tutti in una classe, cercando col sostegno di dare a tutti lo stesso percorso.
Continua spiegando che loro hanno ben due ore di storia antica e non una come noi, questa comprende oltre alla Norvegia la Germania, la Francia e un pò la Spagna; un conto è essere norvegesi e studiare la norvegese, altro conto è la cultura itliana. La nostra cultura è così vasta perchè più antica, vi sono state molte invasioni che hanno lasciato il loro segno, perciò se uno studente norvegese dovesse venire a studiare da noi dovrebbe ingranare un'altra marcia. Noi si parte con Dante Alighieri per la letteratura, abbiamo la Cappella Sistina, e Michelangelo non è l'unico artista; tanto così per fare dei paragoni.
Poi parla ache dell'esperienza di Montioni, non credeva fosse così, ci dice che da anni i professori cercano di evitare la tradizioinale gita scolastica, perchè ci sarebbe piaciuto di più purtare i ragazzi a camminare. Camminando non si parla così per dire, come quando stiamo seduti sul muretto, così tanto per dire, ma si devono dire veramente ciò che c'è da dire, perchè si fa fatica e in più agevola l'ascolto dell'altro e permette di osservare l'ambiente naturale. Poi si può fotigrafare, fare riprese di ciò che facciamo insieme e questo è grande motivo di scambio verbale, pareri. La nosrta scuola che ha capito il valore di tutto questo, ci terrebbe a tornare ancora; questo serve proprio alla classe perchè ci sono sempre dei conflitti ma dopo diventano tutti amici; è anche per questo che questa esperienza è è una cosa positiva. Se si potesse ripetere ancora?

                   Gerard: Per me di solito fare esperianza, imparare vuol dire lunghi convegni con professorono, medici: una cosa abbastanza noiosa, invece io ho imparato da voi ragazzi di più e più in fretta. La vostra forza e determinazione nel sostenere questo lungo e stressante viaggio dove: i pulmini fino a Bologna, l'areo fino ad Oslo, il pulman, di nuovo i pulmini, i barconi per arrivare in piena notte, tutti infreddoliti e sotto la pioggia in un luogo, bello si, ma sperduto, dove non c'era niente, altro che noi, ha dimostrato tutto il vostro coraggio d'avventura. Anche la difficoltà di relazionarvi con pazienti a volte un pò pesanti non vi ha spaventato ed insieme abbiamo cercato di stargli dietro. Ognuno ora farà la sua strada, il suo percorso, ma tenete sempre presente la diversità; camminare insieme si può anche qua e non solo in Norvegia, il benessere è anche questo e non solo ls ricchezza.

                   Pietro Di Vita chiede ha ragazzi se conoscono Franco Basaglia e spiega che è colui che ha pogettato la chiusura dei manicomi in Italia nel 1978. purtroppo lui è morto molto presto per un tumore alla testa, prima di veder realizzato il suo progetto, che stanno un pò copiando altri paesi stranieri. Il progetto della deospedalizzazione di tutti gli internati sparsi nei manicomi italiani per riportarli sul loro territorio d'origine si è finito di realizzare grazie alla moglie Franca ed alcuni dei suoi più fidati allievi. Poi dice che molto c'è ancora da fare per migliorare la psichiatria. Adesso stiamo lavorando, e ci stiamo quasi riuscendi, per chiudere le ultime strutture manicomiali, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari; in Toscana forse siamo ancora un pò indietro rispetto ad altre regioni italiane, ma con pazienza avverrà anche la chiusura di Montlupo Fiorentino. Continua vantando i benefici che i pazienti trovano nei gruppi di Auto Mutuo Aiuto dell'associazione Mediterraneo per gli scanbi emozionali che avvengono fra le persone che vi partecipano, e spiega che l'associazione propone molte attività per far superare la solitudine alle persone.

                   Uno studente ci dice che lui ha partecipato due volte a Montioni e una volta in Norvegia: sono state esperienze valide, poi spiega che all'inizio del loro video si vede una ragazza che in aereo piange e ride allo stesso tempo per la paura del volo; in qiel momento anche lei aveva un grande problema di dicagio ma noi le siamo stati vicino e l'abbiamo sostenuta per tutto il volo.
In Norvegia otre a divertirci abbiamo fatto nuove conoscenze; e siccome non ho niente da aggiungere vi ringrazio e basta così.

                   Al professor ..... ..... viene l'idea di coinvolgere durante la vacanza di Montioni anche alcuni genitori perchè scoprirebbero tante cose dei loro figli. I genitori a volte tendono a proteggere troppo i ragazzi e magari per cose da niente, invece i ragazzi sono in gamba e sanno cavarsela. Una volta duirante un escurzione senza furgoni a Montioni ci colse un bell'acquazzone e si arrivò tutti mezzi, ma si sono divertiti lostesso, hanno reagito bene, sew la sono cavata e nessuno è morto di polmonite.

                   Paolo Pini: "Ora proprio i genitori di quella classe no; forse quelli di un altra".

                   Una studentessa: "I genitori proprio no! Sono sempre persone adulte estranee a progetto che altererebbero i rappirti di libertà tra noi e di complicità con i professori."

                   Altra studentessa: "Sono stata a Montioni ma non essendo abituata a camminare tanto ho avuto delle difficoltà; ma mi sono anche divertita".

                   2° professore: "Io non ho partecipato al progetto ma quando i ragazzi sono rientrati l'ho trovati cambiati, erano felici e mi raccontavano con entusiasmo la loro esperienza ed avevano imparato a relazionarsi. Da esterno confermo l'utilità del progetto.

                   Paolo Pini ci dice che il progetto sarà confermato per il biennio 2016-2017, ma sarà un pò diverso, oltre a Montioni saranno impiegate due berche a vela e non ci sarà più la Norvegia perchè loro per ora non honno avuto il finanziamento per questo reciproco scambio cultirale.


                   Una nota fuori tono, per un disguido non sono arrivate le pizzette e le schiacciatine ripiene ma solo la torta, per fortuna che era così grande che se n'è mangiata anche tre fette; ma le pizzette sono le pizzette!


giovedì 26 novembre 2015

Frediani

Di Federico Cipriani

Frediani covo di anime diverse ma tutte uguali qui ci si ripara dal vento e dalle intemperie dell’umanità. 
Tanti posti così in città quindi egoidamente me ne sento parte alla stregua di un puledro rampante portandovi due colori il giallo ed il blu omaggiando il mood della mia casata ormai decadutavi e porto o vi porto il sole ed il cielo come pegno.

lunedì 23 novembre 2015

Storie e Pensieri

Di Riccardo Favilla

Io e l’amore

L’unico amore vero l’ho vissuto nei confronti di Alessandra, una storia durata quindici anni. Ero cambiato, avevo smesso di bere, vivevo una vita normale, la mia mente si era stabilizzata e avevo imparato cosa significasse amare e condividere ogni momento. Poi mi lasciò solo e lì ricominciai a bere, ad essere facilmente irritabile, la mia vita non aveva più senso. Mi rinchiudevo in me stesso ricordando i momenti belli trascorsi insieme a lei. Mi lasciò soltanto un biglietto, un freddo addio. Da quel giorno non mi sono più veramente innamorato di una donna.

Mio padre

Mio padre è sempre stato presente nella mia vita, anche se non l’avevo capito, mi consigliava e nei momenti di caduta mi aiutava a rialzarmi. Eravamo due caratteri diversi, quanti litigi, quante porte sbattute, forse non volevo affrontare la vera vita. Ho commesso molti errori, quante volte ha saldato i miei debiti quando bevevo, vivevo una vita sbagliata che ritenevo la mia vita. Mi è stato acanto al club per quindici anni, sempre presente, tranne l’ultimo periodo per le malattie. Sento un vuoto dentro di me, ritornare a casa e non trovarlo seduto alla tele sulla poltrona che mi salutava mentre mia madre faceva le faccende di casa. Il mio cuore si è intristito nel vederlo in quel letto di ospedale, immobile. Era il fantasma dell’uomo che avevo conosciuto e amato. Mi sento triste solo guardando le sue foto delle feste passate insieme con i parenti. Ora non c’è più però è sempre nella mia mente e nel mio cuore 

C’era una volta

Non un re… ma un uomo che viveva una vita vuota in una casa grande piena di ricordi. Stava seduto su di una sedia vicino ad un tavolo dove sfogliava le foto di un passato ormai lontano. Quando usciva andava a bere nei bar rumorosi e fumosi per dimenticare un passato ormai morto. Mentre beveva pensava alla sua ex fidanzata che l’aveva lasciato perché beveva, ai lavori persi e alle occasioni mancate. Uscì da un bar barcollando e urtò una giovane donna che disse: <non vede dove va?> l’uomo rispose: < mi scusi, non l’avevo vista>  la giovane donna disse: <andiamo in un bar, vedo che ha bisogno di un caffè forte>. Dopo un po’ di tempo uscirono dal bar e mentre passeggiavano parlavano. L’uomo le raccontò la sua storia colma di poche gioie ma molti dolori e la donna lo ascoltava attentamente. Mentre parlava lei si mise a piangere e lo baciò sulla guancia. La giovane donna disse: <forse so come aiutarla> l’uomo disse: <come? Perché non ci diamo del tu?> la giovane donna disse: <una mia amica è la servitrice-insegnante di un club di alcolisti di Livorno, se vuoi posso chiamarla. Si chiama Ornella> l’uomo disse: <chiamala> la donna allora andò a telefonare e Ornella rispose subito. La giovane donna disse: <possiamo andare lunedì alla chiesa dei Salesiani alle 15:30.> l’uomo disse: <va bene>. L’uomo e la donna andarono al colloquio e da allora sono tre anni che frequentano il club. L’uomo ha smesso di bere. Robert e Angela, l’uomo e la giovane donna si sono fidanzati e vivono felici. C’era una volta un uomo triste e solo e adesso c’è un uomo felice con la sua donna. 

lunedì 9 novembre 2015

Un’indimenticabile gita all’Expo di Milano

Di Liliana Fabbri
A cura di Enrico Longarini

Non capita di frequente che l’Italia abbia l’opportunità di ospitare un evento di importanza mondiale come l’esposizione universale, più comunemente conosciuta come Expo, perciò  in occasione di questo evento, giovedì 15 ottobre 2015 l’Associazione Mediterraneo ha organizzato una vera e propria gita. Il ritrovo era previsto per  le 7:00 alla stazione di Livorno così verso le 6:45 sono passati a prendermi il mio amico Paolo di Giuseppe insieme a suo padre e puntuali siamo arrivati all’appuntamento. Alla stazione ci attendevano, oltre ai membri dell’Associazione e Paolo Pini, responsabile dell’Associazione Mediterraneo, i due pulmini che ci avrebbero condotti a Milano. Così, caricati i furgoncini con tutti i nostri bagagli, zaini, macchine fotografiche e  la mia sedia a rotelle siamo partiti alla volta del capoluogo lombardo. Ci aspettava un viaggio lungo e stancante ma fortunatamente  il tragitto prevedeva alcune soste ristoratrici come quella che abbiamo effettuato presso un autogrill sull’autostrada per fare colazione e rifornire di gasolio i nostri mezzi. Dopo un rapido cappuccino e una brioche siamo ripartiti e abbiamo percorso molti chilometri superando Genova, la Cisa, e innumerevoli gallerie.
Finalmente verso le 13 siamo arrivati ad Expo, ma per circa trenta minuti siamo stati costretti a rimanere nei furgoncini a causa della forte pioggia che ci aveva colti impreparati. Una volta terminato l’acquazzone, guidati da Paolo Pini, siamo saliti su di una scala mobile e abbiamo percorso una lunga galleria vetrata fino ad arrivare all’ingresso vero e proprio dell’Expo. Mentre Paolo Pini pagava il biglietto (20 € per ognuno di noi) tutti quanti abbiamo dovuto attraversare dei metal detector perciò siamo stati costretti a svuotare completamente le nostre tasche di tutti gli oggetti in nostro possesso compresi quelli un po’ più personali come chiavi, borsellini e cellulari. Recuperate le nostre cose, sapevamo che ognuno di noi avrebbe preferito visitare l’Expo a proprio modo, così ci siamo separati, non prima però di esserci accordati per il ritrovo.
Dato che mi spostavo continuamente con la sedia a rotelle io ed il mio accompagnatore Antony abbiamo avuto diverse agevolazioni per quanto riguardava la visita dei diversi padiglioni provenienti da tutto il mondo e spesso siamo riusciti ad entrare evitandoci così ore di fila. I padiglioni che ho visitato sono stati quelli del Giappone, della Slovenia, dell’Estonia, della Russia, dell’Italia e molti altri. Per quanto mi riguarda il padiglione che ci ha sorpresi maggiormente e che ha attirato la mia attenzione e quella di Antony è stato quello della Slovenia. Esso era costituito da una grande sala ricoperta da piccole vetrate attraverso le quali potevano essere osservati, per mezzo di appositi cannocchiali, le diverse specie di uccelli che abitano il territorio sloveno. Accanto ad ogni vetrata vi era inoltre una panchina che come d’incanto riproduceva il verso di un particolare uccello ogni qual volta qualcuno vi si sedeva sopra. Poco prima delle 15 avevamo appuntamento con tutti gli altri così per quell’ora abbiamo pranzato tutti insieme mangiando i panini che ci eravamo portati da casa e, gentile come sempre, Paolo Pini mi ha offerto un caffè. In seguito ci siamo tutti separati nuovamente.
Durante il pomeriggio ho potuto ammirare altri padiglioni e altre opere come il celebre Albero della Vita, che, collocato all’esterno e un po’ distante dai padiglioni, si ergeva maestoso al centro di una grande fontana. L’Albero è un monumento molto caratteristico, la notte infatti si illumina di mille luci colorate e dalla sua base partono forti getti d’acqua a ritmo di musica. 
Il secondo padiglione che mi ha colpito molto è stato quello del Giappone. Dopo esservi entrati, io ed Antony ci siamo ritrovati in una grande sala circolare all’interno della quale gli addetti, dopo averci invitati a sederci a dei tavoli, ci hanno consegnato le tipiche bacchette giapponesi. Naturalmente il mio primo pensiero è stato “che bello, ora si mangia”, ma l’attrazione si limitava ad un’esposizione dei vari piatti tipici del Giappone e con mia grande delusione non ci è stato offerto alcun tipo di pietanza. Nonostante ciò ho apprezzato molto il padiglione di questo splendido paese e una volta uscita ho girovagato e visitato i padiglioni di molte altre nazioni fino alle 20:00. Per quell’ora infatti ci siamo nuovamente riuniti ai nostri compagni per cenare. La giornata volgeva al termine e con dispiacere siamo tornati ai furgoni. Dato che Paolo Pini è di Rosignano ed Antony di Cecina ci siamo subito separati e salutati i nostri accompagnatori siamo partiti in direzione Livorno. Siamo arrivati alle 2 di notte e mi sentivo davvero stanca, ma nonostante ciò posso dire di essere rimasta piacevolmente colpita da questa esperienza. Se qualcuno mi proponesse di tornare ad Expo accetterei immediatamente ma alla condizione di poter pernottare e restare più di un giorno per aver modo di visitare tutti gli altri padiglioni che in questa occasione non ho potuto vedere. Ringrazio Antony e Paolo Pini a cui restituirò al più presto 20 €. 

lunedì 2 novembre 2015

Piccola Passione Eterna

Di Noemi Mariani

Nata e concimata da piogge di follia e sciupata da venti
di parole volubili, scagliate con frecce da archi freddi, che trasudano con forza le mani tremanti la pura follia, avvinghiate con rabbia al rigido freddo legno; e cosi un unico sguardo diretto al concepire tali misteri, che si celano dietro un velo di illusioni, intraviste, illuminate da raggi di luci lontane che proiettano con garbo le ombre
dei passanti, in un fremito ticchettio di battiti di ciglia.

L'evoluzione del tutto è concepita dal trascorrere del tempo che muta in una maturità intravista, e avvolte affermata, esprimendosi attraverso un accenno di sorriso, il quale pone la forza al passo della propria gamba.

Un cammino lievemente atroce, sempre al confine dell'odio, oscilla con eleganza su di un filo inesistente ma vitale, mosso da sibili di venti provenienti da eternità lontane, di cui la percezione cosi vaga, trasmuta il reale all'irreale con maestria di inevitabile certezza, dove la distinzione tra caos e quiete ne diviene una convinzione trascendentale.

Un almanacco di sentimenti puerili si formano e si disformano nell'animo confuso, adagiandosi come macerie nel fondo oblio della negazione, simili ad uno spucinio sempre nascente di richieste e di domande, affermate e composte da negazioni risolute, a priori, mosse da convinzioni travestite da speranze con atteggiamenti di virtuosa provocazione.
Ci ritroviamo come vecchi, soli, nelle sere dell'esistenza già sbiaditi e lievi come i ricordi e titubanti di vergogna teniamo stretta questa misera e forzata passione, che ci trascina nel suo scomodo letto, e cosi, ignari di valori e virtù da comprendere evitiamo di renderci propri al mondo, voltando le spalle all'orizzonte camminiamo con un lieve cenno di sorriso sul volto, verso un infinito stagnante, dove il proprio passo sprofonda in acque putride di amara consolazione, e il respiro, nauseato dal fetido odore, inala aria di condanna...dove la sua soluzione, emessa da forti sprazzi di luce, risiede nel confronto con altri dannati, che come tutti vagano senza sosta nel mare della speranza, ingoiando a sorsi brevi                                                                                             questa piccola ed esilarante passione eterna.

La mia vita

Di Luca Fiorelli
A cura di Enrico Longarini

I miei genitori si conobbero a Roma molti anni fa e si trasferirono a Moncalieri dove mi diedero alla luce il 5 dicembre del 1993. Sfortunatamente, quando avevo solamente due anni, i miei si separarono e successivamente arrivarono al divorzio così io mi trasferii a Giardini Naxos con mia madre.
Sono passati molti anni da allora ed oggi ho ventuno anni e la vita mi ha visto affrontare innumerevoli difficoltà. I miei problemi ebbero inizio nel 2013 quando mi lasciai da quella che allora era la mia ragazza e venni allontanato da coloro che una volta ritenevo miei amici. Il mio malessere non fece altro che peggiorare e il 27 novembre di quello stesso anno ebbi il mio primo attacco di epilessia: quello fu l’inizio del mio calvario. Solo una settimana dopo, il giorno del mio compleanno, tentai il suicidio; inizialmente pensavo di gettarmi da un balcone, ma spaventato da questa stessa mia idea, presi la mia macchina, imboccai l’autostrada e mi diressi a 170 km/h verso un guard rail. La mia intenzione era di sfondarlo e piombare giù dal ponte, in quella maniera tutti i miei dolori avrebbero avuto fine. Quasi per miracolo rimasi illeso, perciò questo mio folle gesto non ebbe conseguenze. Da quel momento tentai più volte di porre fine alla mia vita e ad ogni tentativo seguiva un ricovero in psichiatria. Alla fine provai ad andare a vivere in una casa famiglia di Taormina dove vissi per circa sei mesi, ma sfortunatamente questa mia permanenza non mi aiutò a superare le difficoltà perché un giorno provai nuovamente a togliermi la vita. Tentai di nascondere il mio malessere a mio padre ma non ci riuscii. All’inizio del 2015, a causa della mia malattia e di quella di mia madre, che aveva un tumore ai polmoni, i miei genitori ed io ci riavvicinammo l’uno all’altro e tra maggio e aprile mi trasferii a casa di mio padre a Livorno con il quale avevo rinsaldato i rapporti in seguito alla morte di mia nonna.Sono ormai cinque mesi che vivo in piena tranquillità qua a Livorno e nonostante la morte di mia madre a giugno, ho ritrovato mio padre e posso dire in totale sincerità di star vivendo alcuni dei mesi più belli della mia vita. L’epilessia infatti ha totalmente condizionato la mia vita e spesso una dose troppo alta o troppo bassa di farmaci rischia di provocarmi un attacco, ma avendo accanto a me le persone che mi vogliono bene posso riuscire a superare le mie difficoltà e pensare al mio futuro.



lunedì 26 ottobre 2015

Un'artista inaspettata

Di Franza Izzo

E chi lo avrebbe detto! Se non avessi visto quella locandina sulla porta dell’infermeria non lo avrei mai saputo. Luciana, la nostra infermiera al Frediani, forse la più brusca e diretta nel rispondere è una brava pittrice, che dimostra invece un animo gentile: tenero e sensibile coi suoi colori dalle tonalità blu e dalle forme indefinite, se pur figurative.
Le foto delle sue opere che ho potuto vedere mi trasmettono l’emozione di una cupa e contrastata tenerezza.
Daniela Di Cioli, direttore artistico, ci dice che è natia di Arsiè (BI) “dove la neve cade abbondante e dove nasce anche “La Festa Delle Anime”. Che Luciana rappresenta con la sua arte solo ciò che la emoziona: sogni, cose e paesaggi che danno speranza e gratitudine. Condivido con la critica quel pizzico di malinconia che le danno un certo annientamento ad ogni illusione”.
                  Ha poi vissuto nella terra dei castagni, la Garfagnana, da dove poteva ammirare il doppio tramonto del sole: il primo da dietro la cresta del Monte Forato, mentre il secondo attraverso il foro della montagna. 
Apro la brochure e qualcosa di totalmente diverso mi salta agli occhi: una luna piena in un cielo tutto rosso, ciò mi è strano e m’incuriosisce più che emozionare, perché questo contrasto di colore mi lascia stupita non riesco a capirlo; si intitola “Speranza”. È un quadro totalmente diverso da “L’albero della Vita “, da “Pensiero” per quanto riguarda le tonalità cromatiche utilizzate. Isabella Piaceri scrive che “il fluido che emana dalle sue tinte e dal suo pensiero artistico ci sussurra una fusione di natura e uomo. Ispirata da un monito di confusione da cui esce la stella danzante della sua pittura che attraversa i confini del conscio per disegnare clivi fra fisico e psichico che arrivano al cuore facendoci scivolare tra l’azzurro e il bianco sacro e profondo, un sogno che ognuno di noi potrà raccontare”. La sua locandina, che subito mi ha colpito pubblicizza la sua mostra personale a Camaiore dal 1 al 30 luglio 2015 , ma io con rammarico non ho potuto vederla.Grazie Luciana per avermi mostrato questa parte di te a me sconosciuta attraverso questo materiale pubblicitario e ti faccio tanti complimenti: BRAVA!


Scoprire una nuova Norvegia

Di Franca Izzo 

Dopo due anni di assenza dall’Associazione Mediterraneo, il mio primo contatto con loro mi ha riportato in Norvegia. Tuttavia quest’anno non ho trovato la Norvegia che conoscevo e tanto amavo, con i suoi fiordi a strapiombo sul mare, le sue numerose cascate, le passeggiate nei boschi e le arrampicate fra le rocce, questa volta è stata diversa. Diversamente dagli anni precedenti siamo stati accolti per quattro giorni in un villaggio turistico su di un’isola deserta e per i primi due giorni siamo stati solo noi e i gestori del villaggio, tutti amanti del mare naturalmente al punto tale che c’erano più salvagenti e kajak che persone. Essendo un luogo sul mare, anche le attività sono state diverse; tempo permettendo uscivamo e dedicavamo le nostre attività al kayak, alla barca a vela e alla pesca: una volta in mezz’ora siamo riusciti a pescare circa 150 pesci che abbiamo gustato per cena.
Quando siamo arrivati la sera sull’isola stanchi morti del viaggio, siamo stati accolti con una calda e squisita zuppa di salmone, che ancora a pensarci mi lecco i baffi. Il cibo è un po’ diverso dal nostro, soprattutto la colazione che comprende anche pietanze salate. Da golosona quale sono la prima mattina ho assaggiato un po’ di tutto, ma p
 oi sono tornata alla classica colazione all’italiana: pane, burro, latte, marmellata e miele. Avevano però anche una cioccolata spalmabile simile alla Nutella e non vi dico quanti barattoli ci siamo finiti! L’Italia mi ha vista rimpatriare cioccolata-dipendente, non ne posso più fare a meno e con il mio fisico non me lo posso proprio permettere. Quando al sabato è arrivato anche il gruppo Norvegese e con loro le belle giornate di sole, sono cominciate anche le sfide sportive a calcetto e pallavolo. C’è stata persino una gara dove si doveva costruire una zattera, vararla, farla navigare fino al giro di boa e tornare per riportarla a terra, smontarla e riportare al suo posto tutto il materiale usato. Ogni squadra era divisa “in tavoli” ed il gruppo di cui facevo parte, il tavolo uno, è riuscito ad arrivare secondo nella gara con le altre sei squadre. 

Alcune si sono sfasciate a pezzi dopo poche pagaiate, altre squadre invece non sono neanche riuscite a costruire la zattera. Dopo cena per socializzare cantavamo canzoni accompagnate da due chitarre e grazie a Linda e al suo sorriso (dato che io non parlo una parola d’inglese) ho ballato e mi sono dimenticata che quel giorno era il terzo anniversario del mese dalla morte di mia madre, così ho riavuto per un po’ la gioia nel cuore e non solo il dolore. Grazie di tutto Linda e grazie degli orecchini che mi hai regalato; quelle stelline azzurre mi faranno pensare sempre a te e non mi faranno mai dimenticare che bisogna sorridere alla vita in ogni occasione. Ringrazio anche Hakoon per la perfetta organizzazione di questo soggiorno isolano (so quanto questo impegno possa essere gravoso), ma soprattutto ringrazio Trine che ha fatto sempre tanto in questi scambi non solo di svago ma anche culturali tra i nostri paesi; ha fatto l’impossibile per tradurre i dialoghi di noi italiani e dei nostri amici norvegesi dato che certi nostri modi di dire sono incomprensibili per loro e viceversa.

lunedì 12 ottobre 2015

Riscoprendo la Norvegia

Di Meri Taccini
A cura di Enrico Longarini

Le reti di amicizie e di conoscenze sono molto importanti per ognuno di noi e più sono estese più aumentano le possibilità che esse producano benessere e salute mentale. Il rapporto che abbiamo stretto con l’Associazione Rom di Kristiansand in Norvegia ne è una dimostrazione emblematica.
Spesso negli anni passati, i nostri amici norvegesi, hanno ospitato noi e molte scuole del territorio toscano ed insieme a loro abbiamo trascorso momenti all’insegna della conoscenza reciproca, del divertimento e del rilassamento, così anche quest’anno l’esperienza è stata resa possibile grazie a questa stretta collaborazione che oltrepassa i confini nazionali.
Il 16 settembre 2015 tutto era pronto, così la nostra compagnia, composta da circa dodici membri dell’Associazione Mediterraneo e una classe dell’istituto Marco Polo di Cecina, si è messa in viaggio, tracciando la propria rotta verso Nord.
La prima fase del percorso ci ha visti affrontare, non senza coraggio e determinazione, un viaggio quasi interminabile fino all’aeroporto di Bergamo, dal quale poi abbiamo preso l’aereo che ci avrebbe condotto fino ad Oslo. Giunti a destinazione, l’ora si era fatta troppo tarda per proseguire, così, esausti del viaggio, abbiamo pernottato in un semplice ostello della capitale norvegese. La mattina successiva un pullman ci avrebbe condotti alla nostra agognata meta, Kristiansand.
Là, come ci aspettavamo, siamo stati accolti molto calorosamente e come se non bastasse i nostri amici norvegesi avevano una sorpresa in serbo per noi: anziché farci alloggiare nella struttura che solitamente ci riservavano, quest’anno avevano allestito alcuni bungalow su di un’isoletta poco distante.
Da quel momento abbiamo trascorso intere giornate all’insegna delle attività e del divertimento, ma naturalmente ogni azione aveva come scopo quello di avvicinare i vari gruppi (la nostra Associazione, i ragazzi delle scuole e i ragazzi norvegesi) affinché potessero trovare punti comuni di contatto per conoscersi meglio e approfondire il loro rapporto. In virtù di questo nei giorni successivi siamo andati tutti insieme a fare compere tra i negozi della città di Kristiansand, per i miei gusti un po’ troppo cara, abbiamo fatto gareggiare delle zattere che noi stessi avevamo costruito ed organizzato una sfida calcistica internazionale tra Italia e Norvegia che ha visto vincitrice la nostra nazionale con punteggio di 4-0.
Questa breve vacanza, oltre ad essere una piacevole opportunità per trascorrere del tempo tra rilassamento ed armonia, si è rivelata un’ottima occasione per stringere e rinsaldare rapporti con persone e amici che già conoscevo, in special modo con Simonetta, la cuoca del Palazzo della Vigna di Montioni, con la quale ho rinforzato il rapporto di amicizia che ci legava.
Dato che questo è stato il mio quarto viaggio in Norvegia posso dire di avere una certa esperienza e ammettere di essere riuscita ad intravedere nella nostra Associazione un gruppo più coeso ed unito solamente quest’anno. Il gruppo dei ragazzi di Cecina, per parte loro, è rimasto per gran parte del tempo isolato, senza dare modo, né a loro né tanto meno a noi, di conoscerci l’un con l’altro, nonostante da parte nostra vi fosse la buona volontà di approfondire i rapporti. Probabilmente però, l’iniziale atteggiamento di diffidenza e il loro essere introversi era dipeso dal cattivo atteggiamento che uno dei nostri aveva tenuto nei loro confronti, perciò dopo qualche giorno e dopo essersi conosciuti poco a poco, i ragazzi hanno iniziato ad aprirsi sempre di più. Per me l’esperienza è stata molto positiva, eccezion fatta per la qualità degli ostelli in cui ci siamo trovati a pernottare durante il viaggio di andata e quello del ritorno, ma certamente spero che in futuro possa essere replicata.

lunedì 14 settembre 2015

I miei demoni

Di Alessandro Lenzu
A cura di Enrico Longarini

Salve a tutti, mi chiamo Alessandro, ho 34 anni e mi trovo a scrivere qua per parlare a tutti voi delle esperienze che ho affrontato durante la mia vita; i miei problemi con la salute mentale iniziarono circa due anni fa mentre mi trovavo a Pontedera per lavoro insieme ad un mio collega. Improvvisamente fra di noi scattò una lite, una discussione talmente accesa che degenerò al punto tale che il mio compagno di lavoro se ne andò con la sua macchina lasciandomi solo e senza mezzi per poter tornare a Livorno. Mi trovai così costretto a dover trascorrere la notte presso la stazione di Pontedera e là, fra i binari deserti, ebbe inizio il mio incubo. Terrificanti visioni di diavoli e di creature demoniache cominciarono a prendere forma, mi circondavano e sembrava proprio che quegli esseri fossero emersi dalle più profonde gole dell’abisso per tormentarmi. La loro presenza mi accompagnò per tutta la notte così al mattino, terrorizzato e stordito dai miei incubi notturni e inconscio del pericolo che mi apprestavo a correre, mi diressi a piedi verso la superstrada. Durante il mio cammino il caso mi fece incontrare due miei colleghi di lavoro i quali, vedendomi sperduto e disorientato, si offrirono di accompagnarmi a prendere un caffè, tuttavia nonostante la loro cortese offerta, la loro stessa presenza mi faceva sentire braccato ed in trappola, perciò rifiutai e proseguii il mio cammino lungo la superstrada. Dopo alcuni chilometri mi imbattei in una pattuglia della polizia che non esitò ad ammanettarmi e ad arrestarmi. Da lì fui condotto al reparto Decimo di Livorno dove trascorsi circa sei mesi. Nonostante la monotonia della vita quotidiana, la mia permanenza al reparto Decimo interruppe le mie infernali visioni così, al termine del periodo di degenza, feci ritorno a casa mia dove vivevo con mio padre. Passai con lui otto mesi e in questo lasso di tempo, sebbene solamente di notte e in modo più discontinuo, i miei orrendi incubi tornarono a tormentarmi. La situazione per me era divenuta ingestibile, le visioni si erano impadronite della mia vita e in questo periodo raggiunsi l’apice del mio malessere.
Una mattina come tante scesi dal letto e anziché trovarmi di fronte mio padre al suo posto vidi il Diavolo, il male incarnato, così in preda al panico e al terrore afferrai un coltello e non esitai a pugnalarlo al ventre. Nonostante la ferocia dell’attacco per fortuna mio padre riportò solo qualche lieve danno, così, non appena il dolore della ferita glielo permise, chiamò la polizia. Appena arrivati gli agenti non solo si occuparono di mio padre, ma si accorsero anche del sangue che sgorgava dalla mia mano, di conseguenza non tardarono a condurmi in ospedale dove fui subito operato; durante l’aggressione infatti non solo avevo ferito mio padre ma mi ero anche tagliato il tendine della mano. Dopo questa vicenda fui nuovamente portato al reparto Decimo dove trascorsi all’incirca dieci mesi al termine dei quali fui trasferito all’istituto Graziani presso il quale abito tuttora. Qui mi trovo molto bene, il cibo è ottimo, le persone splendide e il personale è sempre disponibile. Riuscii a vedere di nuovo mio padre al processo, cinque mesi dopo l’aggressione, ma fra di noi ci fu solo un breve scambio di saluti. Per quanto riguarda la mia famiglia non ho mai intessuto legami profondi con i miei parenti e l’unico che mi è stato vicino fu mio fratello il quale spesso viene a farmi visita con un mio amico: insieme ci troviamo sovente a chiacchierare e dialogare del più e del meno. Ad oggi, oltre a lavorare come piastrellista (lavoro che mi porta molte soddisfazioni) due volte alla settima svolgo attività di ippoterapia: pulire, strigliare e accudire sia cavalli che pecore si è rivelata un’esperienza molto bella e rilassante che mi ha aiutato e che mi fa sentire bene. Vorrei concludere la mia storia con ciò che la mia esperienza mi ha insegnato e cioè che al mondo il male, nella sua essenza più pura, esiste veramente e si manifesta continuamente nel timore che qualcuno possa far del male a noi o a chi ci sta accanto, tuttavia se riflettiamo attentamente possiamo renderci conto di come il male non abbia una vita propria, ma si rivela solamente se siamo noi ad alimentarlo. Siamo noi che creiamo il male e siamo noi che possiamo distruggerlo.

lunedì 27 luglio 2015

L'amicizia crea salute

Di Enrico Longarini

Da alcuni anni a questa parte la nostra società, quasi inconsapevolmente, ha contribuito a generare un paradossale connubio che ognuno di noi si trova a vivere quotidianamente: quello tra la frenesia della vita di tutti i giorni e la monotonia della routine che la caratterizza. Questi due aspetti, elementi ormai peculiari dell’epoca nella quale ci troviamo a vivere, spesso ci portano ad acquisire cattive abitudini che non solo possono avere ripercussioni negative sulla nostra salute fisica e sulle relazioni che intessiamo con gli altri, ma possono persino arrivare ad ostacolare i nostri desideri ed aspirazioni e di conseguenza minare il nostro futuro.
Ragazzinsieme nasce per far fronte a queste innumerevoli problematiche. Esso è un progetto organizzato dalla regione Toscana volto a promuovere corretti stili di vita legati all’alimentazione, alle attività sportive e al movimento quotidiano. Il progetto è essenzialmente rivolto ad un pubblico di ragazzi tra i 9 ed i 17 anni, i quali, attraverso esperienze nella natura a stretto contatto con l’ambiente, hanno l’opportunità di rinforzare sia le proprie abilità personali, imparando concetti quali la cura ed il rispetto di sé e degli altri sia quelle relazionali, Ragazzinsieme infatti affiancando ragazzi che non si conoscono cerca di promuovere fra di loro una cultura del rispetto e della scoperta dell’altro.
L’esperienza del gruppo che ha vissuto a Montioni da 7 al 13 luglio è una perfetta rappresentazione di come i buoni principi che il progetto si propone di insegnare non siano solamente una vaga e irrealizzabile idea, ma siano obiettivi concreti che i ragazzi possono realmente apprendere ed interiorizzare.
Una delle prime attività che i giovani hanno svolto consisteva nello scrivere su di un foglio tre caratteristiche che potessero descriverli al meglio in maniera tale che tutti potessero leggere quelle degli altri e di conseguenza iniziare a conoscersi l’un con l’altro.
Molti sostenevano di ammirare la capacità di alcuni di loro di essere aperti nei confronti del prossimo, ma il ghiaccio non ha tardato a rompersi, difatti è bastato appena un giorno perché i microgruppi che solitamente si formano durante i pasti (quello dei maschi e quello delle femmine) iniziassero a mescolarsi di giorno in giorno, dando così modo ad ognuno di conoscere sempre di più le altre persone. Nei giorni successivi le passeggiate diurne e notturne, le giornate al mare, le attività fisiche e i giochi non hanno fatto altro che rendere il gruppo sempre più unito e coeso senza che vi fossero discriminazioni di genere o di età. Le escursioni poi hanno rappresentato per tutti loro un momento di apprendimento, molti infatti non avendo mai visitato la costa toscana hanno fin da subito fatto tesoro degli insegnamenti di Carlo la guida ambientale che li ha accompagnati per tutta la settimana. I ragazzi sono sempre stati molto attivi e personalmente credo che l’esperienza li abbia aiutati a riscoprire, e forse a non dimenticare, la gioia e la felicità che nasce dal divertimento condiviso.


Alla fine della settimana ai ragazzi è stato chiesto quali aspetti dell’esperienza avessero apprezzato maggiormente e al di là della soddisfazione generale nei confronti dei luoghi visitati e delle amicizie nate in così pochi giorni è emerso come molti di loro sperassero che questi semi di amicizia fossero coltivati e continuassero anche dopo l’esperienza di Ragazzinsieme. Alcuni di loro inoltre, con non poca forza, sono stati disposti a mettere in gioco loro stessi, “ho cambiato punto di vista e idea riguardo  la natura, ora sono più aperta e meno spaventata” dice una ragazza e personalmente credo che abbiano scoperto di essere più coraggiosi di quello che credevano.



Ringrazio Adelinda, Elena, Margherita, Ema, Noemi, Elisabetta, Lara, Davide, Duccio, Christian, Francesco, Tommaso, Jacopo, Guido e Marco per questa bella esperienza.

Enrico


Il coraggio di inseguire i propri sogni

Di Linda Zecchin

Mi chiamo Linda Zecchin e sono nata e vivo a Livorno. Ho preso  una qualifica in economia e commercio nel 2006 in seguito ho seguito un corso di marketing commerciale. Per il futuro mi piacerebbe molto lavorare nell’ufficio di una grande azienda e avere la possibilità di fare un grande viaggio all’estero, magari in una capitale europea come Parigi. Sperando quindi di avere il piacere di valutare l’opportunità di una collaborazione all’interno di una grande azienda porgo cordiali saluti a tutti voi. Di seguito riporto l’Infinito di Giacomo Leopardi, una delle mie poesie preferite che ritengo sia carica di speranza per il mio futuro e per chiunque sia così coraggioso da inseguire i propri sogni.

L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. 
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete.
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura e come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

lunedì 6 luglio 2015

Coraggio e Speranza

di Nabil 'Allassane
a cura di Enrico Longarini

Sono Nabil, ho 33 anni e vengo da Sokodé, nel Togo. Sono venuto qua in Italia circa un anno fa per fuggire dalla guerra civile che imperversava nel mio paese. Mio padre è stato una delle innumerevoli  e innocenti vittime dei continui scontri e combattimenti così, data la criticità della situazione, sono stato costretto a fuggire e ad abbandonare mia moglie e le mie due figlie per assicurare loro una fonte di rendita. Quando infatti le condizioni lavorative me lo permettono provvedo al loro sostentamento inviando del denaro. Naturalmente all’inizio, come in ogni nuova esperienza, ero piuttosto spaventato e intimorito all'idea del viaggio che stavo per intraprendere, ma allo stesso tempo ero consapevole del fatto che il mio sacrificio sarebbe stato necessario per assicurare loro un futuro, così fattomi coraggio ho intrapreso il mio cammino. Per un mese ho attraversato l'Africa in macchina e in autobus e alla fine il mio lungo e faticoso viaggio mi ha condotto presso l'ultimo avamposto che mi separava dalla mia meta, le coste della Libia dalle quali mi sono poi imbarcato per raggiungere l’Italia. Subito dopo essere sbarcato in Sicilia iniziai il mio viaggio verso Livorno e appena arrivato, dato che naturalmente non avevo alcun tipo di conoscenza, mi rivolsi all’associazione della Caritas di Livorno la quale mi aiutò a trovare una casa nella quale tuttora abito. Al momento vivo con diverse persone provenienti da tutto il mondo, alcuni sono africani come me mentre altri vengono addirittura dal Bangladesh. Una delle maggiori difficoltà che ho riscontrato quaggiù in Italia è rappresentata dalla lingua, completamente diversa dal francese al quale sono abituato, perciò al momento sto frequentando una scuola di italiano affinché, approfondendo le mie competenze, mi sia possibile stringere rapporti e allargare la mia rete di conoscenze. Per quanto riguarda le mie esperienze lavorative posso dire di come tempo fa lavorassi contemporaneamente come piastrellatore e come meccanico e di come, nonostante la grande fatica, questo doppio lavoro mi permettesse allo stesso tempo di mantenermi e provvedere al sostentamento della mia famiglia in Togo. Sfortunatamente però adesso, non possedendo un lavoro e non svolgendo alcun tipo di occupazione, trovo molto difficile inviare dei soldi alla mia famiglia ma nonostante ciò la Caritas di Livorno sta continuando ad aiutarmi e per questo la ritengo una buona ed efficiente associazione. Tutto sommato mi sento bene qua in Italia, è un bel posto dove poter vivere e spero con tutto il cuore che in futuro la mia famiglia possa raggiungermi quaggiù.

giovedì 18 giugno 2015

Mi presento

Di Elena Taglioli
A cura di Enrico Longarini

Ciao a tutti mi chiamo Elena Taglioli e proverò a fare una mia breve presentazione, alcuni di voi mi hanno già conosciuto di persona, ma per chi non sa niente di me inizio dicendo che ho 22 anni abito a Livorno e soffro di epilessia; tale malattia non solo rende ardua la ricerca di un lavoro, ma allo stesso tempo fa sì che sia molto difficile trovare degli amici. Spesso vengo evitata dalle persone perché, come già successo molte volte nella mia vita, nei momenti in cui ho un attacco epilettico le persone che mi sono attorno rimangono immobili ed inermi perché non sanno come gestire il mio disagio e per non trovarsi in questa situazione preferiscono evitarmi. Questo fa sì che io non abbia né hobby particolari né gruppi di amicizie!  Quando però ho sentito parlare dell’Associazione Mediterraneo mi sono buttata a capofitto in questa nuova esperienza e parlando con voi non mi sono sentita come al solito valutata e giudicata per il problema di salute che ho e questa per me è stata una cosa molto bella, anzi bellissima! Magari l’amicizia che ho sempre cercato e mai trovato esiste davvero! Beh, che altro dire, spero di conoscere al più presto tutti i membri dell’Associazione e nel caso dovessi avere una crisi, (ovviamente spero di no) non vi preoccupate e non chiamate l’ambulanza, sono in grado di riprendermi da sola.