Di Giuseppe D'Agostino
E’ stato un connubio tra calcio e salute mentale il risultato finale del nostro viaggio a Barcellona. Chi vi scrive assicura che non ha preso parte all’attività agonistica svolta dalla nostra rappresentativa “La Triglia” ma ha ricavato delle ottime impressioni a livello umano e ha migliorato qualitativamente il proprio grado di conoscenza con alcuni suoi compagni d’avventura, quasi tutti utenti dei servizi psichiatrici di Livorno.
Siamo partiti il giorno due di ottobre in aereo da Pisa, alle ore 8.45, e siamo atterrati in terra di Spagna dopo poco più di un’ora a Girona. Qui siamo saliti su un pullman e in tarda mattinata abbiamo raggiunto la capitale catalana. Una volta sistemati i nostri bagagli presso l’ostello “Karma” e mangiato qualche boccone, con l’aiuto di un utente del posto, Aitor, ci siamo inoltrati tra i meandri della metropolitana di Barcellona e dopo molto peregrinare abbiamo visto materializzarsi finalmente sotto i nostri occhi l’agognato campo di calcetto. Ai piedi della torre telefonica del Montjuich si è svolto l’atteso confronto calcistico tra la nostra squadra e la rappresentativa locale, quest’ultima legata all’associazione ADEMM (che ha caratteristiche simili a “Mediterraneo” e al cui interno opera una fondazione chiamata “JOYA”). Il risultato finale ha premiato gli sforzi dei livornesi, bravi nel piegare la tenace resistenza degli avversari. La vittoria ha inorgoglito la truppa guidata dal nostro Daniele Bavone ottenuta oltretutto al termine di un match sofferto e avvincente. Le passeggiate tra le Ramblas in mezzo alla movida notturna hanno scandito la nostra gioia, a coronamento di una giornata all’insegna della festa.
Il mattino seguente ci siamo fatti condurre da Albert, un signore anziano e padre di un utente, presso una specie di clinica psichiatrica della città dove i pazienti trascorrono alcuni mesi di riabilitazione prima di ritornare a casa; a differenza dei nostri servizi ospedalieri, in Spagna la degenza prevede una durata temporale più lunga e gli utenti ricoverati, oltre a ricevere l’obbligatorio trattamento farmacologico, seguono un percorso terapeutico che si palesa nello svolgimento di diverse attività, che possono essere di tipo manuale (come il corso di cucina) o mentale (ad esempio la fase di rilassamento simile allo yoga).
Le loro strutture sono apparse a noi visitatori italiani di gran lunga più efficienti di quelle nostrane, a cominciare dalla pulizia degli ambienti (sembrava di camminare tra gli specchi!) e dall’efficienza del personale con tanto di impiego a piano terra di un’accigliata guardia giurata che, al nostro passare, ci ha immediatamente bloccati, per poi contattare la responsabile del reparto la quale, subito dopo, ci ha concesso l’autorizzazione ad entrare. Abbiamo incontrato alcuni gruppi di utenti riuniti intorno a un tavolo a discutere tra di loro, e posso dirvi che la mia attenzione è stata catturata da tre parole scritte sulla lavagna,”Arbol de logros”- che tradotto significa più o meno scala dei valori- e questo lascia intuire come l’intento degli operatori sia quello di incentivare nei loro pazienti l’aspetto motivazionale.
Prima di pranzare la comitiva ha proseguito il proprio itinerario alla volta dello Stadio Olimpico nel bel mezzo del parco del Montjuich; tramite le indicazioni forniteci dal nostro amico Albert, ci è stato possibile ammirare la metropoli dall’alto, all’interno di uno scenario variegato che dai monti della Catalogna giungeva fino al mare. Nel tardo pomeriggio del giorno tre di ottobre siamo stati ospiti di un circolo formato da genitori di utenti della salute mentale nella cui sede abbiamo ricevuto un’accoglienza cordiale ma accompagnata da un eccesso di discrezione – all’interno non ci è stato consentito di riprendere con la nostra telecamera, dovuto probabilmente al fatto che tale associazione è chiusa al contatto con l’esterno dato che le loro attività si svolgono prevalentemente all’interno delle proprie mura.
Alla sera cena e di nuovo a zonzo tra le Ramblas sotto la pioggia di notte mentre l’ultimo giorno è stato vissuto ad ammirare le gesta pedatorie di Messi e compagni al museo del Barcellona, al Camp Nou, alla faccia di Gaudi, di Picasso e dei tesori d’arte che abbiamo trascurato nel nostro percorso.
Il rientro all’aeroporto di Girona è avvenuto tra qualche intoppo. Uno di noi ha rischiato di rimanere a terra perché sprovvisto del documento di riconoscimento, ma grazie al buon senso dimostrato dal personale di servizio dello scalo, il malcapitato ha potuto prendere la via per l’Italia, mentre Umberto ha dovuto rimandare di un giorno la partenza a causa di un errore di data contenuto sul suo biglietto costringendo il Bavone a rimanere con lui. Poi in volo verso San Giusto e, toccato il suolo patrio, abbiamo trovato Nicola e Pasquale che con i loro furgoni ci hanno ricondotti sani e salvi a casa.