Scritto nato da un dibattito emerso nel momento della Redazione presso la sede di Mediterraneo. Riflessioni e confronto su come viene percepito, idealizzato o sognato il concetto di Pace e lo stato sia mentale che fisico che risiede nella prorpia visione di serenità:
Massimiliano: Per me la pace è la libertà.
Andrea: Per me non è una condizione di stabilità. E’ una combinazione, è una condizione di vita. Dormo bene, quindi sono in pace quando dormo.
Alessio. Vivo un periodo della mia vita tranquillo a parte qualche momento. Per me la pace è uno stato di coscienza.
Fabrizio: Nell’arco di 35 anni non ho mai vissuto esperienze di pace: né nel contesto di lavoro, né nella famiglia, né in alcun altro ambito. Quindi ho rinunciato a cercare la pace. Soprattutto negli ultimi anni ho vissuto solo momenti di conflitto. La musica è l’unico ambito che mi dà un briciolo di serenità mai estraniante.
Francesco: vorrei la pace sia nei mass medi che allo stadio. Troppe brutte notizie. Dovremmo riuscire ad integrare il nostro potere con quello degli altri. Trovare un bilanciamento tra la nostra parte buona e quella cattiva.
Federica: È difficile. Forse mi sentivo in pace da bambina. Il bambino che vive serenamente la sua infanzia è in pace.
Riccardo: E’ la madre che ti può insegnare la pace ma ci dovrebbe essere una mamma perfetta che non esiste. È difficile individuare dei modelli educativi che permettano di produrre serenità negli esseri umani. La pace è il risultato dell’opera di costruzione di buone relazioni. Bisogna imparare a contenere le reazioni negative per evitare di scatenare i conflitti. Bisogna tirare fuori la rabbia solo nel momento giusto e solo con le persone giuste.
Paolo: Distinguo la serenità dalla pace. La serenità, per me, è una dimensione esistenziale, è un obiettivo. Ci sono stati momenti della mia vita in cui sono stato sereno e altri no. Tendenzialmente sono stato poco sereno, ho sempre trovato qualcosa che mi preoccupasse. La pace per me è da sempre pane quotidiano. Una pratica che ho svolto fin da piccolo. Ero figlio di genitori in conflitto. Il mio compito è sempre stato quello di cercare di costruire situazioni di pace basate su un confronto dialogico di interessi e significati. Questa cosa mi è rimasta dentro ed ha orientato la mia vita adulta.
Alfredo: Per me la pace è una specie di consapevolezza. Bisogna riuscire a fare pace con sé stessi. Bisogna imparare a perdonare e perdonarsi. Bisogna fare pace con le nostre esperienze e andare oltre il dolore. E’ un insegnamento di Padre Pio. Non mi sento ancora in pace con me stesso perché non mi riesce perdonare chi non riesce a perdonarmi. Non credo che riuscirò a trovare pace interiore perché prima dovrei sentirmi accolto da quelle persone che non sono pronte a perdonarmi.
Stefano V.: Pace non l’ho mai avuta. Da piccino venivo picchiato da mia madre. Sono stato vittima di un brutto scherzo che coinvolse metà paese. Questo scherzo mi portò a stare molto male e mi avvicinò ai servizi di psichiatria. Mi curarono: superai le manie persecutorie e guadagnai uno stato depressivo. Sono stato 4 anni a letto. Mi riuscì finire gli esami universitari ma volutamente non presentai la tesi per non dare soddisfazione a chi mi aveva fatto del male. Non riesco a prefigurarmi un concetto di pace, mi configuro un concetto di guerra. Mi sono sempre sentito in conflitto.
Fabrizio: Volersi male facendo finta di volersi bene.
Stefano V.: sono stato forse un po’ in pace quando frequentavo il Centro Diurno dei due Casoni: mi facevano recitare, mi hanno insegnato a scrivere al computer. In ace mi sentivo quando ero ricoverato in SPDC. Mi sentivo protetto, stavo bene dentro quella struttura. Familiarizzavo con gli infermieri, mi sentivo senza problemi dentro il reparto.
Svetlana. Mi sono sentita in pace solo quando c’era il comunismo. Era un sistema in cui ti veniva garantita la sopravvivenza. Lo Stato pensava a tutto: lo studio, la casa, il lavoro. Fino al 1984 mi sono sentita in pace, ero una ragazza, vivevo da sola perché mia madre era malata e spesso stava ricoverata. Il Comunismo riconosceva alle persone il diritto di esistere. Stavo bene, eravamo tutti più o meno allo stesso livello. Nessuno si sentiva escluso. Poi ho vissuto in società in cui la disugualianza è molto forte. Ci sono troppe differenze. Questo far star male. Sono sempre stata povera. Non mi sento in pace, ho tanti problemi, forse sono diventata fatalista e non mi abbatto se non riesco a risolvere tutti i problemi.
Francois: Non c’è pace senza perdono. Qui, in associazione non mi sento giudicato. Mi riesce a condividere quello che penso con gli altri. Questo mi da serenità. Non prendo in giro nessuno, questa mia tranquillità mi permette di vivere sereno.
Lorenzo: Non conosco la pace. Non so cosa sia. Conosco la pace solo quando dormo sedato. Per quanto riguarda la pace con la P maiuscola penso che il modello di Ghandi non sia esportabile.
Francesco. Bisogna essere operatori di pace. Ho vissuto poche esperienze di pace. Ho vissuto esperienze di bullismo, mi sentivo in pace solo in famiglia. A scuola mi trattavano male, mi procurava rabbia essere molestato. Nessuno mi aiutava. Brutto soprattutto il periodo delle scuole medie.
Stefano S.: In passato mi sono sentito sereno, ora poco…
La Redazione
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