giovedì 28 gennaio 2016

Speranza

Di Alba

C’era una volta, in un bellissimo giardino ben curato pieno di alberi, di piante verdi, di fiori variopinti dalle forme più strane, una pianta grassa, non particolarmente bella, senza spine e dalla forma irregolare e asimmetrica. Spesso si trovava ad osservarsi e a confrontarsi con le piante che si trovavano nell’aiuola vicina a quella dove lei stessa era stata piantata, curata, innaffiata e dove era cresciuta seppur lentamente come tutte le piante grasse. Ma negli ultimi giorni vedeva che qualcosa stava cambiando nella sua struttura originaria e nella sua forma qualcosa si stava modificando; era terrorizzata. Stava spuntando sul lato della sua struttura una protuberanza che cresceva sempre più e non poteva fare a meno di vedersi sempre più brutta rispetto alle altre. Una mattina però, bagnata dalla rugiada, quella protuberanza si era trasformata in un fiore bellissimo di un colore rosso intenso e improvvisamente lei si sentì bellissima, persino più bella delle altre piante che aveva sempre ammirato e un pochino invidiato. Poi però pensò che api, insetti e farfalle avrebbero attinto nutrimento da lei, dal suo fiore, ma che avrebbero comunque continuato a fare quello che avevano sempre fatto anche con gli altri fiori e piante del giardino. La sua bellezza nuova non avrebbe arrecato danno alle altre che erano secondo lei le più belle e pensò: “la bellezza del fiore non modifica la radice, la mia origine, non posso condividere la bellezza e la gioia di essere come le altre anche se dopo la trasformazione sono diventate meno belle”. E ancora la pianta fiorita ringraziò la buona sorte e la natura per averle fatto e per aver fatto a tutto il giardino quel regalo enorme, anche se dopo tanti anni di sofferenza e pensò: “meglio tardi che mai…o non è mai troppo tardi… e mai disperare, lasciare sempre al tempo uno spiraglio di prospettiva di cambiamento e di miglioramento; la vita stessa è cambiamento continuo, niente è statico e niente dipende totalmente da noi. Le nuvole si muovono e si trasformano, non possiamo far piovere o far smettere di piovere, consapevolezza, accettazione, ricerca del positivo, c’è sempre!

Foto di Amy Jones, CheeseBeforeBedtime

giovedì 21 gennaio 2016

Sulle tracce dei popoli delle Grandi Pianure: visita alla mostra sui nativi americani

Di Laura Libardo
A Cura di Enrico Longarini

Visitare la mostra degli Indiani Lakota è stato un po’ come entrare in un’altra epoca e in un’altra terra. L’America  della fine del 1800. Durante la visita alla mostra di Cecina che la Fondazione Culturale Geiger aveva organizzato, abbiamo sia potuto osservare da vicino la vita degli indiani Lakota sia apprendere come la convivenza pacifica e l’amore fossero elementi imprescindibili di ogni tribù. La ritualità e le funzioni come il matrimonio rivestivano un ruolo di grande importanza e i principi che regolavano la comunità erano semplici e legati in maniera simbiotica con la natura la quale era venerata come una divinità. La spiritualità de i Lakota era molto grande, tutto si trovava in armonia con il Creato e con il Grande Spirito e Grande Mistero che permea tutto l’ Universo, creatore e esecutore di tutte le cose. Noi Occidentali abbiamo perso questo rapporto con la natura a causa del ruolo di centralità che l’Uomo ha rivestito e tutt’ora riveste nelle società cattoliche;  la natura è divenuta solamente una schiava dell’Uomo alla mercé delle sue vanitose esigenze inutili e passeggere.

Gli Indiani Lakota abitavano le “Grandi Pianure” al centro dell’America, terre che, prima dell’arrivo dell’uomo bianco, vivevano tra equilibrio, caccia, sviluppo, cultura e spiritualità. La venuta degli occidentali turbò completamente la stabilità di quei territori e i grandi bisonti che là abitavano furono tra le prime vittime della sua insensata sete di potere. C’erano circa 60-70 milioni di questi grandi animali e le loro carni e pelli erano usate in minima parte per il sostentamento da parte dei nativi, ma la presenza dell’uomo bianco li portò quasi all’estinzione. I Lakota invece avevano imparato ad apprezzare ciò che la natura offriva loro e del Bisonte utilizzavano tutto, affinché ogni singola parte del corpo non andasse sprecata. Il Bisonte diveniva così uno strumento per nutrirsi, con i suoi zoccoli si costruivano armi e strumenti musicali, le sue pelli divenivano foderi, indumenti e soprattutto erano il materiale che i Lakota utilizzavano per edificare le loro celebri abitazioni a cono semi stanziali, i tepee.
Alcuni sostengono come sia stato il concetto di Proprietà ad aver diviso i Bianchi Occidentali dagli Indiani d’America. La terra degli Indiani non fu mai concepita come una proprietà dell’Uomo che potesse essere recintata, perché acqua, terra , alberi e animali erano doni e beni della collettività. Doni da  amare di cui non si doveva abusare. I colonizzatori, dal canto loro, si sentivano legittimati a sfruttare al massimo il territorio scoperto e non si curarono mai della presenza degli indiani. Di lì a poco li avrebbero infatti ingannati con patti e false promesse, combattuti e uccisi considerandoli inferiori e pagani, emarginandoli poi in riserve lager prive di sostentamento, terra, identità e cultura.
Le battaglie che coinvolsero i nativi e i colonizzatori durarono quarant’anni perciò l’unica alternativa per gli Indiani a combattere una battaglia troppo grande per loro fu per molti quella di piegarsi alle leggi e perdere  la propria identità. Così tutti, vivi o morti, furono costretti a cadere di fronte all’uomo bianco.
Oltre la loro grande storia, ciò che mi ha colpito notevolmente è stato come tra le culture dei nativi non vi fosse alcun tipo di ostracismo sociale e come il “diverso”, come poteva essere il pazzo o l’omosessuale, fosse considerato al pari di una persona come un’altra dotata però di altre capacità. L’omosessuale ad esempio possedeva due anime distinte, quella maschile e quella femminile e questa solenne diversità era concepita come un veicolo per la comunicazione con il sacro.

“Gli alberi sono le colonne del mondo , quando gli ultimi alberi saranno stati tagliati il cielo cadrà sopra di noi.”

Proverbio Lakota

Tantra

Di Francois Macaione

TANTRA
L’IMPERMEANENZA è uno dei concetti basilari del BUDDISMO. Tutto è destinato a cambiare natura da un giorno all’altro; così come tutto è INTERDIPENDENTE., sprovvisto di una realtà intrinseca e vuoto, e bisogna basarsi su ciò che è senza caratteristiche: il RISVEGLIO.
Non è affatto un concetto pessimistico della vita, ma al contrario un antidoto possente contro l’ILLUSIONE. Avere una percezione acuta dell’INPERMEANENZA di tutti i fenomeni rivela alla coscienza come senza di essa il mondo sarebbe statico. Bisogna trovare spontaneamente la natura del nostro spirito o il SE’.
La DONNA incarna LA POTENZA, l’UOMO la CAPACITA’ DI MERAVIGLIA. Alcuni concetti non si trasmettono che alle donne.
Nessun discredito morale macchia la donna che lontano dall’essere la sorgente di peccato, di tentazione e di dannazione che noi conosciamo,
attraverso le tre grandi religioni monoteistiche, ma anche in certe correnti dell’induismo e del buddismo, è al contrario POTENZA e FORZA di trasmissione del più alto insegnamento mistico.
L’accettazione della potenzialità femminile libera L’UOMO convogliandolo verso una ricchezza creativa INESAURIBILE.
Bisogna rendersi conto che è un impegno molto grande da parte nostra percorrere la strada del RISVEGLIO. Una volta sulla strada non c’è una porta per uscirne. Se noi accettiamo bisogna rispettare i momenti più difficili perché se noi ci fermassimo, lungo, il cammino, rischieremo di avere turbamenti profondi. Questa dimensione nuova equivale a camminare come su un filo del rasoio, una volta partiti, non ci si può mettere a correre, ne fermarsi ne tornare indietro. Le conseguenze sarebbero troppo gravi. Qualche volta avremo l’impressione che gli altri ci trattino come se ignorassimo tutto. Il nostro orgoglio così sarà ferito.
I beni contano di più sono a prescindere dal tempo, cioè abbiamo tutto il tempo per conseguirli e essi sono:
 - LA SALUTE   
- GLI AFFETTI
- IL LAVORO.

LE 6 CORAZZE.
Esistono 6 corazze che limitano le nostre potenzialità:
- IL TEMPO
- LO SPAZIO
- LA MANCANZA
- LA LIMITAZIONE DELLA CONOSCENZA
- LA LIMITAZIONE DELLA CREATIVITA’
- L’ILLUSIONE GLOBALE.
  -         La 1° corazza è quella di essere sottomessi all’illusione che il tempo esista e che noi vi siamo legati. Questa illusione ci inchioda in una durata limitata e  da l’impressione che il tempo passi. Dopo il risveglio si scopre con stupore un nuovo paesaggio dove nulla è sottomesso al tempo anzi esso è un artificio della nostra coscienza.

-         La 2° corazza è quella che ci fa credere che noi siamo legati all’illusione dello spazio e lì ci colloca. Ma in realtà, non è così. Dopo il risveglio, ci si rende conto che noi siamo ONNIPRESENTI. Noi siamo dappertutto. Non vi alcun punto dello spazio che non sia il centro. Vi è una assoluta compenetrazione di tutte le strutture universali.

-         La 3° corazza è illusione di credere che ci manchi qualcosa, che noi non siamo affatto la TOTALITA’. E’ questa illusione che ci spinge a cercare sempre una via, un insegnamento una pratica, delle realizzazioni progressive. E’ quella che ci rende infelici che ci fa ricevere senza sosta nuovi elementi di completezza. Vivessimo 100.000 anni, non arriveremmo mai alla fine della nostra ricerca. Ci mancherebbe sempre qualcosa. Sapendo questo, il maestro invita il discepolo a cessare ogni ricerca esteriore. Nessuna strada porta al SE’, nulla può riaprire la Coscienza finche non ci rendiamo conto che abbiamo tutto in noi.

-         La 4° corazza è l’illusione di credere che il nostro potere di conoscenza, il nostro potere di apprendere l’assoluto sia limitato. Ci torturiamo desideriamo conoscere l’esperienza del RISVEGLIO. Abbiamo una tale di sapere che la nostra ansia di conoscere ci spinge verso L’ESTERNO e ci culla nell’illusione che stiamo per trovare ciò che ci manca. La CONOSCENZA DIVINA non procede per accomulazione. Più la si ingombra di sapere e di esperienze più si paralizza la nostra coscienza. Abbandoniamoci a questo tipo di piacere non ci porta che a gonfiarci di orgoglio. Quando io dico che l’intelligenza non è la via, non dico che bisogna rigettare l’intelligenza, dico semplicemente che l’intelligenza che realizza è quella che non è sollecitata. Allora, nella tranquillità essa brilla come un diamante. Ritorniamo semplicemente alle sorgenti della nostra Coscienza ed è là che troveremo il tesoro che cerchiamo all’esterno. Basta mettersi a sedere, dimenticare, libri e ragionamenti e dirigere lo sguardo verso il CUORE.

-         La 5° corazza è illusione che ci porta a credere che la nostra creatività sia limitata, talvolta anche a dubitare che noi non ne possediamo. E questo che ci spinge a venerare ciò che gli altri producono. Affondare nella bellezza non basta più. Questo impulso che potrebbe aprirsi alla nostra illimitata creatività, e frenato dall’idea che noi siamo incapaci di produrre un tale splendore.

-         La 6° corazza. Queste cinque corazze sono come circondate da una ultima corazza che è quella dell’illusione in se stessa che salda tra di loro queste diverse protezioni e assicura loro una coesione artificiale. Nulla impedisce allora di aderire al divino che è in noi. Ciò che non sappiamo affatto è che la più infima delle esperienze può diventare SIHVA. Basta così poco; il profumo di un fiore, uno sguardo, una brezza che sfiori il nostro corpo e all’improvviso la più solida delle corazze s’incrina e tutto il reale penetra in noi attraverso quella breccia, liberandosi dalla pesantezza della separazione.

I 3 CONCETTI IMPORTANTI
Esistono  3 concetti importanti:

- La presa di Coscienza della propria natura
- La soggettività investita di potenza
- L’Io universale

Questi 3 concetti non sono più legati come i precedenti all’oggettività. Essi sono legati alla PURA SOGGETTIVITA’ che culmina nella SOGGETTIVITA’ ASSOLUTA.

- Il 1° Concetto è quello della PRESA DI COSCIENZA della propria natura, della realizzazione frammentaria del SE’. Il discepolo è soggetto a folgorazioni estiatiche durante le quali percepisce l’universo
come irreale, poi ricade nella percezione ordinaria. Il 1° stadio è prezioso perché da alla pratica una intuizione vissuta e non teorica della realizzazione. E’ un livello che si raggiunge facilmente dopo che ci si affida alla pratica continua e non durera che qualche mese. Come in ogni evoluzione questo primo livello costituisce una trappola. Il discepolo che non è guidato da un maestro può prendere questa prima illuminazione per realizzazione finale. Il discepolo, in questo stadio preliminare, può provare un disgusto e decide di ritirarsene, per conservare la purezza della sua esperienza mistica. Questo è un grande ostacolo alle future realizzazioni. Quando vi è una scissione non c’è una vera vita spirituale. La vita e la grande maestra fuggire a essa equivale fuggire a noi stessi. Al contrario e bene alternare dei brevi periodi di solitudine con una vita sociale normale.
A questo stadio il discepolo e sottomesso ancora alla dualità.

- Il 2° Concetto è quella DELLA SOGGETTIVITA’ INVESTITA DI POTENZA. Il discepolo è meno sottomesso a ondeggiamenti. Si sente invaso di grande potenza. Gli succede di rimanere in estasi per delle ore senza l’ombra di un idea perturbatrice. Sente assai chiaramente che sta sprofondando nell’universo, vi è come aspirato e si lascia andare avendo l’impressione di gioire della realtà del mondo.
Ma il suo CUORE, non è completamente aperto, così ricade nello stadio ordinario, dove non vede più l’universo come espansione del proprio essere.

- Il 3° Concetto quello della DELL’IO UNIVERSALE. Esso corrisponde
alla totale apertura del cuore. Da questo istante il discepolo vive solo per l’IO assoluto. La NOZIONE DUALE si è volatilizzata. Bisogna finirla di credere che i momenti di distrazione siano in opposizione al raccoglimento profondo. Solo una è l’energia che viene a fondersi col raccoglimento. Dal momento in cui si cessa di considerare un ostacolo, si assiste a un meraviglioso mutamento in cui l’agitazione alimenta la quiete. Non vi è nessun antagonismo alla non dualità. Ogni sforzo per ridurre le torbulenze la rinforza. Bisogna afferrare chiaramente che non ci si raccoglie per fuggire qualche cosa o per attendere qualche cosa dall’esterno. Non si medita per espirimentare degli stati di coscienza modificati o qualcosa d’altro. Si medita unicamente per percepire da se stessi che tutto è in noi, ogni atomo dell’universo e che noi possediamo già tutto quello che vorremmo trovare fuori di noi. Meditare è essere al cento per cento nella realtà, e se si è nella realtà, da cosa dovremmo uscire per entrare nel mondo esteriore? Meditare in solitudine o camminare nel frastuono di una città affollata, è esattamente la stessa cosa. E’ solo quando ci siamo resi conto di questo che cominciamo a meditare veramente.Meditando, non corriamo dietro a nulla non cerchiamo nessun estasi oltre all’essere nella realtà Coloro che pretendono di elevarsi per mezzo della meditazione verso stati di coscienza modificati non fanno altro che prendere degli abbagli. Viene un momento in cui la realtà s’incarna di metterci in relazione con gli altri. Così comprendiamo che lo stato di malattia non è che un aspetto supplementare di questa iniziazione. Non si tratta di dare poco, di dare molto o di dare qualcosa ma di dare se stessi. Un giorno potremmo immergerci in questo stato in modo continuo. Quando il momento sarà venuto vedremmo il nostro Cuore si aprirà e saremo immersi in una gioia inalterabile. Tutto raggiungerà la semplicità. Questa gioia non sarà diversa di quella che noi conosciamo in questo momento, ma sarà senza urti senza differenza d’intensità e tutto vi parteciperà. Tu sentirai uno shock più o meno violento, dopo di che non avvertirai degli stati di estasi come se tu fossi un razzo che si innalza nello spazio. Ma vedrai la tua LEI e potrai trasmettere agli altri la conoscenza universale.         


giovedì 7 gennaio 2016

Una Gita al presepe artistico di Cigoli

Di Alessandro Ferrini
A cura di Enrico Longarini

Il 20 dicembre l'Associazione Mediterraneo ha organizzato una visita al Santuario della Madonna Madre o Madre dei Bimbi noto anche come antica Pieve di San Giovanni Battista, un santuario mariano nei pressi di Cigoli, un piccolo borgo nelle vicinanze di San Miniato.
Le sue prime notizie risalgono all’anno mille e a quell’epoca era conosciuto come Castrum de Ceulis. La nostra gita prevedeva una visita al famoso presepe artistico che si tiene ogni anno in questo caratteristico paesino. L'intera struttura è piuttosto ampia, infatti si estende per circa 100 mq e tutta la scena è illuminata da luci alternate gialle, rosse e blu che simulano l'alba, il giorno, il tramonto e la notte.
Attorno alla capanna dove nacque Gesù si sviluppa una minuziosa ricostruzione della campagna palestinese e delle città di Nazareth, Betlemme e Gerusalemme e ad ogni sguardo si possono notare dettagli sempre nuovi come lo scorrere delle acque dei fiumi, i campi coltivati, i rumori della campagna, le attività degli artigiani e così via.
Il percorso che il visitatore compie parte da Nazareth con le sue costruzioni ricavate dal tufo; qui la vita delle persone è semplice e tranquilla ed ognuno di loro svolge un mestiere antico ed umile come il taglialegna, il contadino o il fornaio. Successivamente il visitatore attraversa il povero villaggio di Betlemme per poi trovarsi di fronte alle maestose mura di Gerusalemme sorvegliate da numerose legioni di soldati romani. La città è ricca e immensa e su di una collina è stato addirittura riprodotto il famoso tempio di Salomone. La capanna dove nacque Gesù si trova a far da crocevia tra le diverse località e naturalmente il luogo è ancora deserto…  Dopotutto il 25 dicembre non è ancora arrivato!

mercoledì 23 dicembre 2015

Nostalgia

Di Alba

La nostalgia è un sentimento umano e profondo; esso significa provare un flusso di emozioni che provengono dal nostro passato, come il piacere, la tristezza, la speranza e la malinconia. La nostalgia, qualora ci faccia comprendere che il passato non ritorna, può essere visto come un sentimento positivo perché ci aiuterà a vivere con serenità sia il presente che il futuro. Purtroppo però se così non viene “vissuta” essa può sfociare in una patologia. Ho fatto questa premessa perché proprio la nostalgia è affiorata in me da svariati giorni; stavo facendo ordine nella mia libreria e mi sono soffermata a rileggere vecchie agende e un mio vecchio scritto. Ho riletto un mio scritto datato 1991 intitolato “La storia della mia vita, incredibile ma vera”. L’avevo scritto a mano dopo qualche anno trascorso tra esperienze di ricoveri e psicoterapie. La narrazione della mia prima esperienza “toccante” come volontaria C.R.I Mi ha totalmente riportata al passato. Era il 1971 quando, dopo aver frequentato un corso alla C.R.I., avevo iniziato a frequentare in ospedale il reparto di ergoterapia e successivamente quello di neurochirurgia. Qui erano ricoverati molti giovani paraplegici e semiparalitici  che provenivano perlopiù da altre regioni d’Italia, specialmente dal meridione. Restavano ricoverati per diversi mesi quasi sempre da soli, senza parenti o amici ad assisterli e il mio compito consisteva nel far loro compagnia e svolgere per loro alcune commissioni che da soli non avrebbero potuto fare. I “casi” da seguire venivano presentati con un accenno alla situazione clinica dalla suora caposala di reparto, Suor Graziana e il primo caso in cui mi imbattei fu molto particolare: si trattava di un ragazzo di ventisei anni, Riccardo ed era un ragioniere di Prato che purtroppo era rimasto paralizzato dalla vita in giù a seguito di un errore durante un intervento chirurgico. Riccardo era consapevole del motivo della sua paralisi e così aveva sviluppato un tale odio nei confronti di medici e paramedici che spesso, al loro ingresso in camera, lanciava loro tutto ciò che gli capitava sotto mano, libri, bicchieri, bottiglie… era un paziente non paziente: comprensibile!
Con gli occhi di adesso mi rendo conto di come oggi potrei riuscire a comprendere meglio il suo profondo disagio dato che anche io, per qualche anno, mi sono trovata a vivere un’esperienza di semiparesi.
Consapevole dell’astio di Riccardo nei confronti dei dottori, mi presentai a lui informandolo subito del fatto che non fossi né un medico né un paramedico, ma un’insegnate di scuola materna che occasionalmente faceva la volontaria e che il motivo per il quale indossavo il camice era l'obbligo impostomi dall’ospedale. Durante i nostri incontri io parlavo di me, del lavoro che facevo, dei miei problemi familiari ed esistenziali, parlavo di ciò che avveniva fuori dell’ospedale, ma di fronte a me trovavo un interlocutore muto ed impassibile; non una parola, non uno sguardo, non mi degnava minimamente della sua attenzione! Quante giornate, settimane, mesi trascorsi a parlare, a monologare con un “muro”! Ricordo come a casa la sera a letto mi ritrovassi a piangere e a pensare a come poter istaurare un qualsiasi tipo di dialogo con lui. Ero certa di fare del bene, anche perché tutti gli altri volontari prima di me si erano arresi dopo solo pochi tentativi. Io volevo farcela a tutti i costi, mi dispiaceva troppo vederlo sempre triste, solitario e chiuso nelle sue letture. Pianti, sofferenze, sudate, sforzi per arrivare a scalfire quell’iceberg che mi trovavo d’innanzi; cosa potevo fare? I comportamenti degli altri che avevano fallito prima di me erano stati caratterizzati da una vena pietismo, ma la mia “tattica” per quanto diversa non raccolse il successo che mi ero aspettata. Per quanto il cuore mi si stringesse ogni volta non ho mai accennato alla sua infermità, lo trattavo come un ragazzo qualunque, senza menomazioni e come tale lo informavo di ciò che succedeva fuori da lì; gli raccontavo anche episodi ridicoli di come riuscissi a saltare gli ostacoli “senza cavallo” atterrando in vaste pozze fangose… ma niente, nessuna risata, nessun accenno di voler istaurare un dialogo!
Finalmente un giorno la mia caparbietà fu premiata perché riuscii a scovare quella scintilla che mi permise di “scongelare il ghiacciolo”: il calcio. Riccardo leggeva sempre giornali sportivi e la domenica non staccava il suo orecchio dalla radiolina. “Mi puoi spiegare come funziona il calcio? Non ci capisco niente” Sguardo bieco, un abbozzo di sorriso, uno sguardo dal basso verso l’alto ed era fatta! Cominciò a spiegarmi le regole, ma molto presto si accorse che per il calcio ero negata e che in effetti mi importava ben poco di conoscerlo. Lo capì molto presto, era molto sensibile ed intelligente e così i miei lunghi monologhi divennero argomenti di conversazione e l’iceberg si trasformò in un interlocutore acuto, simpatico, frizzante e in un caro amico anche per gli altri pazienti. Riccardo inoltre aveva una piccola e vecchia macchina fotografica e ricordo come si dilettasse a fare scatti agli uccellini che beccavano le briciole sul terrazzo del reparto; io mi occupavo di portarle a sviluppare e insieme commentavamo le sue foto, dato che anche io stavo iniziando ad appassionarmi alla fotografia. I medici un giorno programmarono di trasferirlo a Milano ed io lo aiutai anche ad ottenere tutti i documenti necessari per il trasferimento e per un lavoro nell’immediato futuro. Prima di partire per Milano però, all’inizio del 1975, fu trasferito a Marina di Massa per nuove cure e per quanto si trattasse di una struttura sul mare e fosse ben attrezzata si trattava di un luogo molto triste. Un giorno andai a trovarlo e fu un miracolo se riuscii a tornare a casa illesa, infatti mentre guidavo avevo fissate in mente le immagini degli ospiti di quello squallido ricovero. Lui soggiornò a Marina di Massa fino al 1978 e per tutto quel tempo mantenemmo uno stretto contatto epistolare (conservo ancora le sue simpatiche lettere, l’ultima datata gennaio 1978). Questa bellissima, vera, pura e semplice amicizia si è quindi protratta per oltre cinque anni ma poi all’improvviso fu il silenzio. Lo avevano trasferito a Milano e al CTO nessuno seppe darmi ulteriori informazioni. Ho continuato comunque a fare volontariato con persone con problemi fisici e psichici perché ciò mi ha dato e continua a darmi grande gioia, la gioia immensa di essere riuscita a trasformare un pianto in  un sorriso, una chiusura in un’apertura, un isolamento in un gruppo affiatato, un additamento cattivo e giudicante in una corale accoglienza “senza etichette”.
Per ME un sincero caldo altruismo che però diviene per l’emozione gratificante ricevuta quale ricompensa.

Alba

La nascita di un nuovo giorno migliore.

giovedì 10 dicembre 2015

Una gita a Cremona

Di Liliana Fabbri
A cura di Enrico Longarini

Per la giornata del 29 ottobre 2015, l’Associazione Mediterraneo aveva organizzato, su progetto del nostro amico Pietro Di Vita, una gita alla festa del torrone di Cremona, tradizionale e famosa sagra che si tiene ogni anno nella città lombarda. Così, eccitati all’idea del viaggio, io, mio figlio Francesco, la sua ragazza Federica e tutti gli altri membri dell’Associazione Mediterraneo siamo partiti alla volta di Cremona. Dopo circa due ore di viaggio siamo giunti a destinazione ed abbiamo consumato il pranzo che ci eravamo portati da casa, poi un caffè per riscaldare i nostri cuori ed infine ci siamo immersi tra le innumerevoli bancarelle piene di dolciumi e leccornie. Tra le vie della città si era riversata moltissima gente e tra un giro e l’altro abbiamo acquistato il famoso torrone di Cremona, purtroppo però nonostante i colori, la grande varietà di gusti, di sapori e la graziosità della città, non siamo riusciti ad apprezzare appieno le sue bellezze a causa del drastico abbassamento di temperatura che ci ha colpiti.
 Oltre che per il torrone eravamo giunti a Cremona anche per assistere allo spettacolo serale di fuochi artificiali che avrebbe concluso la festa, ma sconfitti dal freddo, nel tardo pomeriggio siamo stati costretti ad una ritirata strategica in direzione dei nostri furgoncini. Così io, i miei compagni di viaggio ed il nostro accompagnatore ed autista Enrico abbiamo ripreso il cammino verso Livorno. Tra amabili chiacchierate, radio Subasio e risate, il viaggio di ritorno è stata una delle parti del viaggio che ho apprezzato maggiormente. Ringrazio quindi  Enrico di aver organizzato questa gita a Cremona e spero di poter intraprendere altre nuove esperienze e poter visitare altri posti incantevoli (magari trovando temperature più miti). Grazie ancora Enrico e alla prossima avventura e alla prossima esperienza! Ciao a tutti. 

sabato 5 dicembre 2015

Giornata nazionale della Salute mentale

Di Franca Izzo

                   Il cinque Dicembre scorso presso il Museo di Storia Naturale di Livorno si è tenuta la classica festa di fine progetto "Giovani e Salute Mentale" 2015.

                     Paolo Pini da a tutti il benvenuto spiega e ricorda cos'è il progetto "Giovani eSalute Mentale" o meglio "Naturalmente Uguali" gestito dall'associazione di untenti Mediterraneo per conto del centro di socializzazione P.R.O.V.I.A.M.O.C.I. della ASL6, e qual'è lo scopo che si propone; l'abbattimento dello stigma e del pregiudizio cittadino. Il suddettu progetto  propone vacanze di circa una settimane per studenti delle quarte classi di istituti superiori della Provincia di Livorno con i pazienti dei servizzi, sempre della provinciali.
Durante tali vacanze i due gruppi, che da prima si guardano da distanza vicedevolmente per studiarsi, con l'affrontare assieme le difficoltà dei percorsi di trekking, o manovre in barca, nascono battute beffarde e scherzose tra i gruppi che trovano un punto d'incontro e cominciano a socializzare, sostenendo a volte anche i pazienti più anziani o difficoltosi; ci si divide i compiti e il daffare per partire il più presto possibile per una nuova avventura.
Capita a volte che ci si divida in sqadre per sfidarci a calcetto e allora tifiamo animatamente; soprattutto se sono presenti anche gruppi stranieri, è un gran chiasso. Adesso voi potreste pensare che si tratti di una bischerata, che sia solo gente che va in vacanza e si diverte senza spentere quasi niente. No cretemi non è così, perchè un giovane spenzierato tutto il bello della vita, prende coscienza di problematiche a lui sconosciute (anche se il 10% della popolazione livornese assume psicofarmaci) o purtroppo nota che anche in lui vi è un qualcosa di latente, riflettono molto e si confrontano; mentre i pazienti si lasciano trasportare dalla vitalità giovanile, ricordando ciò che erano e cercando di non essere di peso, affinchè tuttuno il gruppo raggiunga il traguardo prefisso (anche a costo di dolori un pò ovunque).
Queste attività hanno dimostrato la loro validità nell'abbattere lo stigma e il pregiudizio, perciò durano con successo da anni.

                   Franca Izzo invece spiega che la festa di fine progetto è stata voluta proprio il 5 Dicembre perchè oggi è la "Giornata Nazionale della Salute Mentale. Poi spiega la differenza tra igene mentale: cerano ancora i manicomi e ai pazienti venivano somministrati solo farmaci a tamponare i sintomi più o meno gravi, a volte si usava anche la comicia di forza, soprattutto nelle fasi di acuzia, o venivano persino legati nudi con cinghie; tutto andava bene, sedati al massino perchè non fossero peericolosi per se stessi od altri e magari ci scappava anche qualche elerrtoshock. Questo voleva dire curare la persona; ecco il perchè di tanta paura per il malato mentale ingabbiato.
Ma la salute mentale è tutta un'altra cosa! E' si la somministrazione dei farmaci, dosati sempre con oculatezza, ma è soprattutto ascolto, il capire le mancanze di necessità socio-affettiva o stress che hanno causano il malessere della persona, lo scoprire il lato sano della persona e quello che sa fare o portebbe arrivare a fare: fargli scoprire quanto sono importanti le sue manualità, le sue conoscenze e raggirare i suoi evidenti blocchi per far sviluppare la loro patre sana e più profonda. Aiutarli a capire che sono in grado di fare da soli o in gruppo, di lavorare e sentirsi utili nel loro ruolo sociale, e no che sono un peso per il mondo.
Poi prosegue dicendo che la salute mentale è una grande fortuna che va saputa mantenere per noi e per gli altri, di stare attenti a certe trasgressioni.
Per lei lo sballo è andare a mangiare una pizza con gli amici, cantando al caraochei, e più siamo meglio è; andare in discoteca e ballare fino all'alba, dopo tornare esausta a casa con le proprie gambe buttarsi sul letto senza nemmeno spogliarsi e dormire tutto il giorno seguente, ricordando al risveglio sotto la doccia quanto mi sono divertita. Non essere riportata a casa in braccio di qualcun altro non ricordando un bel niente di ciò che è stato, se non quello che gli altri raccontano ridendo a grapapelle di me; perchè così il divertimento è stato solo di loro e non mio. Poi a lungo andare magari mi bricia anche il cervello e allora son guai; ne ho conosciuti tanti che non sono riusciti a fermarsi.
Poi franca si rivolge agli utenti presenti denunciando un pò lo scandalo che il centro di salute mentale Frediani prossimamente verra spostato al settimo padiglione in ospedale. Ricorda che lo scopo di Franco Basaglia contemplava la deospedalizzazione del paziente psichiatrico, invece ora per tagliar le spese sulla sanità ci vengono rimandare negli ospedali col CSM e tutto, e non solo l'SPDC.
Franca ringrazia anche gli studenti che si sono accorti del suo miglioramento e dice che il combiamento è avvenuto anche per merito di loro che l'hanno spinta a cantare e ballare facendola tornare a sperare.

                   Gli studenti co mostrano il video montaggio che loro hanno fatto durante la tappa della Norvegia, in cui ero presente anch'io a mangiare fette di pane e cioccolata a volontà.
Il video mostra un pò tutte le fasi salienti della tappa ma è anche un pò autoironico perchè mostra anche buffe immagini che vorremmo fossero presenti di noi, pose del tutto naturali ma abbastanza comiche; questo è il bello dei giovani, saper ridere di se stessi!

                   Il professor ..... ..... ha detto che tutto il materiale girato è di circa sei ore, lui si è lumitato a raccogliere tutto il girato in un unico dischetto e poi i ragazzi hanno fatto da soli i loro tagli. Non è stato un lavoro facile quello di ridurre tutto in pochi minuto, vi hanno impiegato quasi due mesi di lavoro; ripete che lui non c'ha messo mano e che anno fatto tutto da soli. Spiega che hanno pirtato solo immagini della Norvegia perchè di Montioni non avevano materiale. Fa anche presente che oggi i ragazzi che hanno fatto il montaggio non ci sono ma si vedono nel video; come un pò tutti.

                   Si apre un piccolo dibattito sulla bellezza della scuola vista nel video e la diversità delle scuole e ci dice di stare attenti, perchè non è oro tutto quel che luccica, dice che lui è stato in una classe per portatori di handicap, tra cui un ragazzo autistico; vi erano molti assistenti di supporto all'insegnante ma gli alunni con difficoltà erano isolati dagli altri. Dice che è vero, la scuola è molto ben strutturata ma hanno percorsi diversi, separati; noi siamo mal massi come strutture scolastiche ma includiamo tutti in una classe, cercando col sostegno di dare a tutti lo stesso percorso.
Continua spiegando che loro hanno ben due ore di storia antica e non una come noi, questa comprende oltre alla Norvegia la Germania, la Francia e un pò la Spagna; un conto è essere norvegesi e studiare la norvegese, altro conto è la cultura itliana. La nostra cultura è così vasta perchè più antica, vi sono state molte invasioni che hanno lasciato il loro segno, perciò se uno studente norvegese dovesse venire a studiare da noi dovrebbe ingranare un'altra marcia. Noi si parte con Dante Alighieri per la letteratura, abbiamo la Cappella Sistina, e Michelangelo non è l'unico artista; tanto così per fare dei paragoni.
Poi parla ache dell'esperienza di Montioni, non credeva fosse così, ci dice che da anni i professori cercano di evitare la tradizioinale gita scolastica, perchè ci sarebbe piaciuto di più purtare i ragazzi a camminare. Camminando non si parla così per dire, come quando stiamo seduti sul muretto, così tanto per dire, ma si devono dire veramente ciò che c'è da dire, perchè si fa fatica e in più agevola l'ascolto dell'altro e permette di osservare l'ambiente naturale. Poi si può fotigrafare, fare riprese di ciò che facciamo insieme e questo è grande motivo di scambio verbale, pareri. La nosrta scuola che ha capito il valore di tutto questo, ci terrebbe a tornare ancora; questo serve proprio alla classe perchè ci sono sempre dei conflitti ma dopo diventano tutti amici; è anche per questo che questa esperienza è è una cosa positiva. Se si potesse ripetere ancora?

                   Gerard: Per me di solito fare esperianza, imparare vuol dire lunghi convegni con professorono, medici: una cosa abbastanza noiosa, invece io ho imparato da voi ragazzi di più e più in fretta. La vostra forza e determinazione nel sostenere questo lungo e stressante viaggio dove: i pulmini fino a Bologna, l'areo fino ad Oslo, il pulman, di nuovo i pulmini, i barconi per arrivare in piena notte, tutti infreddoliti e sotto la pioggia in un luogo, bello si, ma sperduto, dove non c'era niente, altro che noi, ha dimostrato tutto il vostro coraggio d'avventura. Anche la difficoltà di relazionarvi con pazienti a volte un pò pesanti non vi ha spaventato ed insieme abbiamo cercato di stargli dietro. Ognuno ora farà la sua strada, il suo percorso, ma tenete sempre presente la diversità; camminare insieme si può anche qua e non solo in Norvegia, il benessere è anche questo e non solo ls ricchezza.

                   Pietro Di Vita chiede ha ragazzi se conoscono Franco Basaglia e spiega che è colui che ha pogettato la chiusura dei manicomi in Italia nel 1978. purtroppo lui è morto molto presto per un tumore alla testa, prima di veder realizzato il suo progetto, che stanno un pò copiando altri paesi stranieri. Il progetto della deospedalizzazione di tutti gli internati sparsi nei manicomi italiani per riportarli sul loro territorio d'origine si è finito di realizzare grazie alla moglie Franca ed alcuni dei suoi più fidati allievi. Poi dice che molto c'è ancora da fare per migliorare la psichiatria. Adesso stiamo lavorando, e ci stiamo quasi riuscendi, per chiudere le ultime strutture manicomiali, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari; in Toscana forse siamo ancora un pò indietro rispetto ad altre regioni italiane, ma con pazienza avverrà anche la chiusura di Montlupo Fiorentino. Continua vantando i benefici che i pazienti trovano nei gruppi di Auto Mutuo Aiuto dell'associazione Mediterraneo per gli scanbi emozionali che avvengono fra le persone che vi partecipano, e spiega che l'associazione propone molte attività per far superare la solitudine alle persone.

                   Uno studente ci dice che lui ha partecipato due volte a Montioni e una volta in Norvegia: sono state esperienze valide, poi spiega che all'inizio del loro video si vede una ragazza che in aereo piange e ride allo stesso tempo per la paura del volo; in qiel momento anche lei aveva un grande problema di dicagio ma noi le siamo stati vicino e l'abbiamo sostenuta per tutto il volo.
In Norvegia otre a divertirci abbiamo fatto nuove conoscenze; e siccome non ho niente da aggiungere vi ringrazio e basta così.

                   Al professor ..... ..... viene l'idea di coinvolgere durante la vacanza di Montioni anche alcuni genitori perchè scoprirebbero tante cose dei loro figli. I genitori a volte tendono a proteggere troppo i ragazzi e magari per cose da niente, invece i ragazzi sono in gamba e sanno cavarsela. Una volta duirante un escurzione senza furgoni a Montioni ci colse un bell'acquazzone e si arrivò tutti mezzi, ma si sono divertiti lostesso, hanno reagito bene, sew la sono cavata e nessuno è morto di polmonite.

                   Paolo Pini: "Ora proprio i genitori di quella classe no; forse quelli di un altra".

                   Una studentessa: "I genitori proprio no! Sono sempre persone adulte estranee a progetto che altererebbero i rappirti di libertà tra noi e di complicità con i professori."

                   Altra studentessa: "Sono stata a Montioni ma non essendo abituata a camminare tanto ho avuto delle difficoltà; ma mi sono anche divertita".

                   2° professore: "Io non ho partecipato al progetto ma quando i ragazzi sono rientrati l'ho trovati cambiati, erano felici e mi raccontavano con entusiasmo la loro esperienza ed avevano imparato a relazionarsi. Da esterno confermo l'utilità del progetto.

                   Paolo Pini ci dice che il progetto sarà confermato per il biennio 2016-2017, ma sarà un pò diverso, oltre a Montioni saranno impiegate due berche a vela e non ci sarà più la Norvegia perchè loro per ora non honno avuto il finanziamento per questo reciproco scambio cultirale.


                   Una nota fuori tono, per un disguido non sono arrivate le pizzette e le schiacciatine ripiene ma solo la torta, per fortuna che era così grande che se n'è mangiata anche tre fette; ma le pizzette sono le pizzette!