mercoledì 19 marzo 2014

CAST AWAY di Robert Zemeckis (2000) Giovedì 20 Marzo 2014 ore 15:30



Di fronte ad una performance pressochè universalmente osannata dalla critica Cinematografica e dal favore del pubblico, riteniamo doveroso ri-inquadrare il personaggio e l’uomo di spettacolo Robert Zemeckis, cui noi tutti attribuiamo arte e intelligenza e profonda simpatia nel seno della sua piccola vita, e ai suoi debutti Cinematografici, all’interno di una famiglia povera del sud di Chicago. La sua grande finestra, precocemente aperta sul mondo, era rappresentata da molta televisione intelligente ed al consueto spettacolo al cinema del martedì, spesso con un sequel al sabato. Così “Le signore della notte” alzavano il sipario al giovane Zemeckis, il quale oltre a dare la preferenza ad Alfred Hitchcoc, umilmente omaggiava il finale di Bonnie and Clide e le figure interpretative di Steve Mc Queen e John Wayne. E sempre candidamente, egli manifestava di non comprendere molto la critica filmica mentre, al termine degli studi superiori, entrava poi in un College, iniziando a lavorare contemporaneamente nei locali commerciali di una compagnia cinematografica. Questa manovalanza e la frequenza della scuola prestigiosa di cinema, permisero a Zemeckis di impegnarsi molto alla moviola e allo studio di un cinema aperto e sperimentale, confrontandosi direttamente sulle modalità di sonorizzazione e sulla traduzione in chiave audio-visiva di quella letteratura anglosassone tanto amata, fin dagli anni dell’adolescenza. L’ambiente e la risonanza culturale in cui si trovò, rendevano così semplice il suo contatto professionale ed ideativo con i diversi stili  dialogici  e con le nuove tecnologie di cui Zemeckis si servì a piene mani. Inoltre la presenza di grosse personalità come George Lucas e Steven Spielberg, affinarono le sue capacità narrative, sottolineando l’analisi psicologica di soggetti e ambienti più o meno caratteriali.
Possiamo così aprire all’aspetto più personale della filmica di Zemeckis, in quel sottile, superbo "sublime" della modalità corale dell’intera sua produzione Artistica, quasi che ogni sua opera si qualifichi altamente come tragedia greca.
La storia di Cast Away, solo apparentemente è semplice, quasi lineare; essa si erge con colonne su cui si stratificano matasse di situazioni problematiche, ognuna da dipanare. Tom Hanks prende il volo transitando per Mosca, con nel cuore la sua compagna, subendo poi un terribile disastro aereo.
Egli è l’unico sopravvissuto in un isola totalmente deserta. Quanto accaduto lo porta a prendere atto dei mille condizionamenti e delle mille necessità che incombono su di lui, con la sgradevole compagnia di una pedissequa, continua solitudine. Riuscirà, prendendo di nuovo il mare con una zattera, ad essere avvistato da una nave che lo restituirà agli Stati Uniti e ad una umanità che , credendolo morto nell’incidente aereo, aveva superato quel lutto, sollevandosi verso una nuova vita.
Diciamo chiaramente che il fim di Zemeckis non ci è piaciuto, risultando convenzionale, scontato, piattamente banale e volgarmente prevedibile. Questo ci lascia assolutamente sconcertati, avendo trovato negli altri suoi films, profondità e spessore.
Chuck è una persona ampiamente stressata, nella sua normale quotidianità, un po’ come tutte quelle persone che sono costrette a compromessi nella vita e nelle proprie scelte. La catastrofe aerea ci restituisce un Chuck alle prese con le difficoltà di una sopravvivenza estrema e con la vita di un naufrago ma senza pieghe, ombre,…..Mille fondali che riemergono nel rischio di una esistenza ora regalata, non perduta; E ancora per lui il silenzioso abbraccio di un tempo….infinito e benedetto.
Il personaggio è privo di luci e di oscurità, sonoramente materialista, in tutto il suo percorso. Il suo rientro a casa è quanto di più stupido, “psicologicamente comprensivo e solidale”, mai si sia realizzato sulla terra, se amore era tra i due giovani, ma amore senza canti d’amore. Ed il finale poi nel crocicchio a croce….., dimentichiamo le parole udite ed il vagito di una speranza tutta americana.
Il film mostra una vita frustrata e laconica.
Il film mostra lo stupore struggente della natura selvaggia, ripresa con una fotografia eccezionale.
Il film mostra alienazione e difesa compatta dei propri limiti.
Non abbiamo avuto brividi durante la proiezione, solo un po’….con la zattera in tempesta tra i Marosi, in una malinconia di suoni. Abbiamo però avvertito chiaramente tantissimi temi, tutti annunziati,………e nessuno mai sviluppato decentemente.
E’ vero,…. la globalizzazione  del capitalismo contemporaneo è ben resa e visibile, così l’inutilità di qualsiasi  forma di schieramento ideologico in rimando a schemi obsoleti, il contrarsi dello spettacolo del mondo in quello e nobile e puro del guerriero, il cui confine, secondo per secondo, come per tutti gli eroi e i samurai, è solo la morte, il contrarsi del tempo tra due battiti di cuore.
La monotonia invece degli scatti d’orologio, per tanti appuntamenti dati e mancati, la paura di guardare la tigre negli occhi, sanciscono l’inabissarsi dell’anima. Certo, stiamo….accennando, senza nulla proferire, ad una nuova ontologia dei significati.
In definitiva sentiamo Cast Away come un film di "attesa", la sospensione di ogni parola,….;…..movimento, motivazione, si perdono in un turbinio ai confini di un abisso, in cui Zemeckis ha trascinato tutti noi, suoi estimatori,…..ma allora che fai?…….
Incontrarsi e dirsi addio.    

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