Di Noemi Mariani
A malapena ricordo il perché… un amico ha fatto sì che io
riflettessi ed allora mi soffermo… penso:
… Penso al mio risveglio di quel giorno, alla delusione che
con repentino movimento diveniva padrona
dei miei arti, del mio collo, del
mio respiro… Gli occhi, con fatica, si riabituarono alla luce, la profonda
conoscenza del luogo che la vista mi imponeva di vedere era soggiogata dalla
speranza che tutto era un sogno, una falsità dell’immaginazione, dove i sensi
stanchi mutavano a loro piacimento la realtà. Ma no, era reale, ero di nuovo in
uno stato di condanna senza né giudice né legalità, senza la consapevolezza
delle mie gesta…. sentivo un forte dolore al braccio, che in alcuni punti
precisi assumeva un colore scuro con sfumature di un viola intenso, il dolore
si estendeva su tutto il torace, le gambe indolenzite come se avessi corso per
ore ed ore senza meta… capii, l’esperienza fece da padrona, avevo lottato
contro qualcosa o qualcuno, non riuscivo a collocarmi in un passato che a
tratti provavo a ricordare ma qualcosa che doveva essere fermato in me mi aveva
portato in quel luogo, fra quelle mura sporche in quel mare di delusione…
La Delusione, l’anima mia ne era invasa, avevo ceduto per
qualcosa, per qualcuno o per me stessa ero con la testa china davanti a tanta
amarezza, che a stento notavo chi avevo intorno…
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Un suono, una voce, una parola dal tono tranquillo con
venature amichevoli attirò la mia attenzione, ricordo che era mattina ed il
sole era già in alto nel cielo, il senso di frustrazione aumentò appena
riconobbi chi le pronunciava, ed il passato tornò con luce più chiara, la
realtà aveva un senso, quelle parole così semplici avevano smosso in me ricordi
molto piacevoli, poco distanti di tempo dal momento in cui li rimembravo, e
quella voce faceva parte di essi.
Tuttavia, lentamente un dubbio cresceva in me, sempre più forte sempre più
presente: “Perché il malessere aumenta? Perché non riesco ad alzare il volto
verso una voce di cui ho ricordi felici? Perché…!”. Questi ricordi presenti in
me e visti come un cortometraggio proiettato nella mia mente raffiguravano un
viaggio, tra condivisioni di larga scala accompagnati da sorrisi e discorsi
complicati di vita, una complicità naturale spoglia di qualsiasi ruolo, ma con
un cammino comune, vissuto con spensieratezza, in un presente tragico. L’emozione di questo presente di delusione in
lotta con un passato sereno fece sorgere in me la vergogna di essere caduta, di
essere di nuovo in un limbo tra dannazione e beatitudine, di non essere stata
in grado di sostenermi sulle mie instabili gambe.
Passarono minuti, ore, giorni e quella voce ad ogni mattino
mi dava il buongiorno, mi chiedeva come stavo o se volevo un caffè, sempre con
quel tono tranquillo in armonia con la mia memoria, ed io, col passare del
tempo, solcavo sempre più un sorriso sul mio volto facendo scivolare via
quell’orrenda sensazione di vergogna, di fallimento, che mi impietriva davanti
a chi mi ricordava con sorriso ed occhi tranquilli, di chi poco prima rideva e
scherzava con serenità in un rapporto alla pari, ma in me, la sensazione di
fallimento, di delusione e di repressione dovuta alla vergogna del mio “malato”
essere e del mio cambiamento, non mi permetteva di alzare la fronte per
guardare chi, senza che io capissi a pieno il perché, mi si rivolgeva sempre
con complementarietà.
In quel luogo, che nell’animo mi dava così tanto degrado, i
giorni erano passati a riflettere sulle
mie condizioni, non sempre a ragion di logica, sul mio letto esaminavo orizzonti
di pensiero smarrendone l’inizio e senza possedere più la capacità di porne una
fine, stavo male, ed è forse per questo che una mattina quell’infermiera dal
docile saluto si fermò, e mi chiese con garbo se poteva sedersi accanto a me,
non avevo motivo per rifiutare, anzi pensai di approfittarne, per convalidare i
miei orizzonti le mie certezze e lì, immersa tra orgoglio e preclusioni, decisi
di guardare il suo volto alzando il mio, cercando di intravedere la mia verità,
le mie conferme, ma di tutto ciò di tutte le mie astruse convinzioni di
pensiero, nulla o quasi corrispondeva alla pellicola astratta del mio film
cerebrale.
Fu un colloquio molto sereno, e una serenità incredula mi
avvolse lentamente, appresi il senso del tutto, il mio atteggiamento incoerente
non era l’apice del problema e poco dopo,
di getto, mi misi a scrivere su di un pezzo di carta dimenticato da qualcuno su
di un tavolo… non volevo perdere quella sensazione liberatoria:
“… Non solo il tempo cura le ferite di un
animo trasandato, qualcuno in gesti a me inabituali, trascina la voglia di dare
che il senso del tutto è esserci, qualcuno esiste, per restare a chi ha perso
il nesso dell’esistenza…”
Mi ero persa, nella mia mente avevo smarrito la verità, o mi ero creata la mia verità, una falsità
che mi angosciava e mi dilaniava l’anima di vergogna, una vergogna apparente,
una vergogna inesistente… quello che era sorto tra le parole di un dialogo
risolutorio era semplice ma non banale, quello che la mia memoria accoglieva in
ricordi passati nel benessere non era né falsa né morta, quel viaggio, tra risa
e solidarietà del vivere momenti in comune era rimembrata anche dall’altra
parte, all’esterno, in un'altra persona che anche essa con gioia ricordava. Il
fatto di aver ceduto al mio “malessere” e essermi ritrovata fra quelle mura
sporche non dimostrava che io fossi solo quello, sono anche gioia e serenità,
sono stata capace di dimostrarlo a me stessa e agli altri durante quel
bellissimo viaggio, questo ho capito ed è questo che quell’infermiera del
mattino con serenità tra un saluto e una piccola cortesia mi manifestava…
Sono passati alcuni mesi da quel ricovero e da quando quel
mio amico mi ha consigliato di rifletterci sopra e solo ad oggi sono riuscita a
scriverlo, forse a realizzare che nulla può essere veramente perduto e come dei
fatti possono rimanere in te anche gli altri possono imprimere in sé ricordi
veri e positivi, inoltre se cadi la sensazione di vergogna è insensata poiché
tutti possiamo piegarci ma tutti possiamo trovare in noi e negli altri la forza
di sorridere e andare avanti.
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