Oggi vi voglio raccontare di quando a circa sei anni, con l’innocenza
di una bambina, mi ritrovai a vivere insieme ai miei genitori e i miei fratelli
alla Valle Benedetta, la grande collina che domina l’intera città di Livorno. Dopo
la morte di mio nonno nel 1961 mio padre obbligò tutta la famiglia a trasferirsi
lassù, in quel posto desolato e così lontano dalla città. All’epoca non potevo
certo rendermi conto del luogo nel quale mio padre ci avesse portato, ma anni
dopo capii. Vivevamo in una baracca, un tugurio distrutto e pericolante che lui
considerava una vera e propria casa; all’interno vi erano due stanze, la cucina
e la camera dove, come in un accampamento di zingari, dormivamo tutti insieme. Mentre
i miei fratelli e mia madre si interrogavano sul motivo che aveva spinto mio
padre a lasciare la casa che avevamo in via Garibaldi, in pieno centro città,
io trascorrevo le giornate correndo felice con Maurizio, un bambino che avevo
conosciuto e che da lì a poco divenne mio amico. Ricordo che insieme a lui
scoprii la vera felicità, quella più concreta e autentica che un bambino possa
provare. Malgrado i disagi e le difficoltà che tutti ci trovammo ad affrontare
(mia madre e i miei fratelli ricordarono infatti quel periodo come uno dei più
brutti della loro vita) per me, spensierata bambina di soli sei anni, la vita
all’aria aperta, accompagnata dalla purezza dell’amicizia si rivelò una splendida
avventura.
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