Di Meri Taccini
Anni fa, quando ancora ero giovane, mi trovavo
spesso a pensare “che cosa farò quando sarò vecchia, quando il tempo sarò
trascorso anche per me?”. Gli anni così sono passati lenti come le foglie d’autunno
trascinate dal vento e mi hanno portato fino ad oggi, il giorno in cui alla
fine mi sono sentita “vecchia” e in cui, guardando indietro nel passato, ho
provato un grosso rammarico. Quando avevo diciassette anni nella mia testa si
insinuò il tarlo della morte: dovevo morire e a qualsiasi costo, quindi senza
esitazione uscii dal magazzino in cui lavoravo, mi diressi verso una farmacia e
domandai quattro tubetti di optalidon da 25mg. Il farmacista senza batter
ciglio mi consegnò i medicinali ed io, ottenuto ciò che avevo chiesto, me ne
tornai al magazzino, presi una bottiglia d’acqua e iniziai a buttar giù tutto
quanto. Caddi rovinosamente a terra e da quel momento, per i miei familiari, iniziò
un vero e proprio incubo. Se il mio corpo esanime non fosse stato trovato solo dopo
una mezz’ora per me sarebbe stata la fine. Immediatamente fui ricoverata in rianimazione,
dove venni intubata e dove venni collegata a dei respiratori. Furono due giorni
di coma profondo al termine dei quali, piano piano ritornai alla vita. Il
professor Fontana, che mi aveva in cura, rimase con me notte e giorno perché
non poteva sopportare che una ragazzina di appena diciassette anni dovesse
morire e quando cominciai a respirare da sola e ad aprire gli occhi, vidi
davanti a me il professore e alcuni infermieri con le lacrime agli occhi,
perché nonostante tutte le difficoltà che si erano trovati ad incontrare erano
riusciti a strapparmi dalla morte. Sebbene siano passati più di vent’anni davanti
agli occhi conserverò sempre la contentezza di chi mi ha voluto bene ed ha
lottato per me. Il professore oggi non c’è più ma se ci fosse, lo ringrazierei
ancora di avermi salvata.
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