giovedì 4 agosto 2016

Disegni che solcano il mare

Contributo dell’architetto Andrea Vallicelli.

Primadonna è la barca a vela dell’associazione Mediterraneo, prima gestita in comodato, ora di proprietà.
Poco tempo fa il timone ha subito dei danni e doveva essere riparato ma nessuno riusciva a smontarlo…prima di procedere con il taglio ci balena un'idea: perché non provare a contattare il prestigioso architetto Vallicelli, che disegnò la nostra barca come prototipo della più nota Azzurra?
Ed ecco che non solo ci aiuta a non distruggere il timone ma con grande disponibilità risponde ad una nostra intervista che pubblichiamo di seguito. Ringraziamo l’architetto e il suo studio per la celerità con cui ci hanno inviato i disegni e per la gentilezza dimostrata.
Domande:
 1) Per le persone che fanno vela con la nostra associazione viaggiare su Primadonna significa rilassarsi, lasciandosi andare alle onde e al vento con il solo rumore del mare che scorre sotto la barca, e sognare. Che sensazioni ha provato Lei nel progettare, quando era così giovane, delle barche che hanno fatto sognare l'Italia? 
2) Può sembrare paradossale che una barca, Primadonna, pensata per far vincere i migliori velisti sia oggi utilizzata dalle persone più marginali. Proprio per la sua nascita come barca da regata è stata anche tanto bistrattata nel nostro ambiente in quanto così spoglia e inospitale. Nel tempo delle piccole modifiche l'hanno resa più fruibile (avvolgi fiocco, scaletta) anche se il bagno è rimasto un "armadietto" Ciò ci spinge a fare una riflessione sul fatto che le barche sono le persone che le abitano. Pensa che il cambio d'uso di un oggetto sia uno spreco o dia ad esso una nuova vita?

Carissimi dell’Associazione Mediterraneo, rispondo con piacere alle vostre domande cominciando però dalla seconda perché mi sembra richieda una risposta più semplice ed immediata.
Ritengo che il recupero (o meglio il cambio d’uso) di un’imbarcazione, nata per le regate come “Primadonna”, se fatto con un po’ di cura e buon senso possa rivelarsi adatto ad una utilizzazione crocieristica. In fondo uno yatch ha una natura sportiva per definizione, e la vita a bordo richiede flessibilità sotto molti punti di vista (dimensionali, ergonomici, relazionali etc.). Inoltre sono dell’avviso che, come avviene in molti altri campi (spazi abitativi privati e pubblici, mezzi di trasporto etc.), l’adattamento ad un determinato artefatto, concepito originariamente con finalità diverse, permette di stabilire con questo un nuovo rapporto (uomo-oggetto), per alcuni aspetti più faticoso, ma per altri più stimolante. 
Passando alla prima domanda, posso dirvi che ho cominciato fin da piccolo a svolgere attività agonistiche nel campo delle regate d’altura. Poi quando ero ancora studente di architettura, ho disegnato per puro divertimento la mia prima barca a vela di 9 metri: “Ziggurat”, che successivamente fu realizzata con il concorso finanziario, e fattivo, di una decina di amici.
Ziggurat (il nome era ispirato non tanto all’archetipo architettonico quanto alle opere pop di Joe Tilson degli anni 60), progettata per gioco, ottenne risultati significativi nell’ambito delle competizioni nazionali ed internazionali ed è accaduto così che altri appassionati mi richiedessero di progettare nuove imbarcazioni, tanto da indurmi in breve tempo ad iniziare – senza che me ne rendessi conto – una vera e propria attività professionale a cui mi dedico ormai da una quarantina d’anni.

Tralasciando gli aspetti specificatamente professionali, vorrei offrirvi, oltre le mie impressioni da progettista, delle riflessioni sui temi riguardanti la dimensione “creativa”, o meglio “ideativa” (come credo sia più corretto chiamarla) di un’attività progettuale (design) che ha a che fare con artefatti particolari (navi, imbarcazioni) destinati a vivere, percorrendo, un contesto speciale sotto il profilo naturale e culturale come il mare.
L’ambiente marino non è mai stato un territorio di facile dominio ed i mezzi concepiti per percorrerlo sono delle macchine piuttosto complesse che forse rappresentano le più antiche macchine abitabili ideate dall’uomo.
Passando all’attività progettuale, premetto che in molti anni di esperienze in questo campo, ho maturato la convinzione che la progettazione sia un processo complesso la cui dinamica (spesso imponderabile) si articola in più momenti interattivi fra loro: uno di ideazione, uno analitico di supporto, di verifica e controllo ed uno sintesi che costituisce l’elemento tangibile e necessario alla concretizzazione dell’oggetto. Non conosciamo esattamente in quale regione della nostra anima si svolgano, ma crediamo, forse per motivi consolatori, che i processi analitici e quelli di sintesi appartengano alla sfera del razionale, quella controllata dall’io cosciente, altrimenti non potremmo trasformare questi processi in esperienze ripetibili, oggettivabili e quindi trasferibili per via culturale.
La ricchezza delle fonti a cui ci abbeveriamo nella fase ideativa dipende da molti fattori: dalle esperienze personali e sociali, dall’ambiente, dalla nostra cultura, ed anche dal mare magnum del nostro inconscio: Mi hanno sempre affascinato certe analogie fra lavoro progettuale e lavoro onirico che fonde linguaggi primordiali con residui mnestici di altre esperienze: ambedue mirano all’appagamento di un desiderio.
Il progettista opera come un catalizzatore di molti elementi più o meno riconoscibili, con l’obiettivo di dar forma a delle funzioni o paradossalmente (come talvolta accade) a subordinare le funzioni ad una forma che lo ha condizionato emotivamente.
Il progetto di un prodotto destinato ad una produzione industriale (anche se di poche unità) mira a determinare non solo le proprietà formali dell’artefatto in questione, ma soprattutto la sua coerenza in termini di relazioni funzionali e tecnologiche. Ovviamente il ruolo di altri fattori, quali i modelli di consumo, l’evoluzione del gusto, i sistemi di vendita che sono alla base delle strategie commerciali, hanno un peso non certo secondario nella definizione del prodotto stesso.
Il designer che opera nella nautica, forse più che in altri campi, è costretto a confrontarsi continuamente con la multidimensionalità del problema progettuale, ad interfacciarsi con discipline diverse. La ricerca abbraccia infatti tematiche molto articolate: basti pensare ai problemi fluidodinamici, all’innovazione tecnologica ed ai sistemi produttivi legati ai materiali compositi, all’indagine ergonomica ed all’arredamento negli spazi minimi, nonché alla interpretazione delle dinamiche di un mercato molto volubile.

Quando mi trovo a progettare un’imbarcazione a vela e voglio raggiungere un risultato che soddisfi contemporaneamente i requisiti tecnologici e quelli estetici, mi è indispensabile partire dalla conoscenza e dallo studio dei problemi di tipo aero-idrodinamici, ma la consapevolezza dell’importanza dei fattori simbolici mi porta anche a percorrere strade meno controllabili scientificamente: come quelle in cui mi diverto a giocare con elementi formali che evocano archetipi della lunga storia navale o dell’ambiente naturale. Cerco di avere, in definitiva, un controllo dell’iter ideativo su più livelli, ma il problema prioritario sta nel raggiungere una condizione di equilibrio sotto il profilo configurativo e prestazionale. Una metafora, quella dell’equilibrio, che ho rintracciato nei mobiles di Alexander Calder.
In queste sculture, che sembrano galleggiare nell’aria, se tocchiamo un elemento, il sistema assume immediatamente una nuova configurazione grazie alla forza di gravità, che tende a ricomporre e a riorganizzare le diverse parti che le costituiscono. Qualche tempo fa nel visitare una mostra di questo grande artista mi capitò di leggere delle sue riflessioni su alcune opere realizzate negli anni 60. Mi sorprese che lui stesso usasse la metafora della barca a vela per esprimere il senso dei mobiles. Non nascondo che mi abbia emozionato pensare che potesse esistere una profonda affinità fra le sue opere e le mie imbarcazioni. Un’affinità che si manifesta essenzialmente nella stessa sfida alla gravità, nella ricerca di materiali sempre più leggeri e resistenti, nelle soluzioni e nei meccanismi di funzionamento. Il design di una barca a vela riflette in definitiva questa tensione progettuale di ricerca della condizione di equilibrio che regola il movimento in presenza di forze aerodinamiche e idrodinamiche. 

Nessun commento:

Posta un commento