Di Enrico Longarini, Virginia Gasperini, Alessio Polini, Alessio Torbidoni, Francesco Benvenuti, Paolo Di Giuseppe e Sabrina Caluri
A.L.C.A.T è un’associazione ONLUS che, applicando
l’approccio ecologico messo a punto dal prof. Vladimir Hudolin , psichiatra ed
alcologo croato di fama mondiale, si occupa dei problemi alcol-correlati,
ovvero tutte quelle situazioni che possono portare la persona a bere, come la
mancanza di una casa o di un lavoro.
Oltre a collaborare con il SerT, che spesso ci indica
e ci invia individui che necessitano di sostegno, uno degli aspetti che più ci
contraddistingue è il fatto che noi non lavoriamo solo con il singolo ma ne
coinvolgiamo anche la famiglia. Quest’idea si basa sul principio secondo il
quale la sofferenza non appartiene esclusivamente alla persona, ma che di
riflesso si estenda anche alla sua rete familiare.
I colloqui iniziali che ci servono per conoscere chi
si rivolge a noi spesso vengono condotti solo con i parenti e solamente dopo
riusciamo ad inserire il diretto interessato nell’associazione. Una volta
introdotto nei gruppi, la famiglia rimarrà al suo fianco per tutto il suo
percorso proprio in nome di quel principio di condivisione della sofferenza a
cui abbiamo fatto riferimento poc’anzi. I parenti infatti non svolgono solo il
compito di “controllori”, ma vengono anche per loro stessi, per sfogarsi ed esprimere
tutti i propri disagi.
Occasionalmente conduciamo anche incontri con la
cittadinanza e se due anni fa abbiamo organizzato un convegno sul rapporto tra
alcol e giovani, questo 2017 ci ha visti protagonisti di un’iniziativa durante la
quale abbiamo affrontato il delicatissimo tema della violenza. “Violenza di
genere, diamoci un taglio”, questo il nome dell’incontro, si è rivelato essere
un ottimo spunto per costruire e ampliare il nostro lavoro di rete insieme a
tutti coloro che con noi hanno
partecipato al convegno: Associazione Ippogrifo, Associazione Lui, l’Arma dei
Carabinieri ed il Codice Rosa dell’ospedale.
Ogni iniziativa che progettiamo nei confronti della
cittadinanza, dai gazebi che organizziamo durante le feste rionali, alla
semplice distribuzione di volantini ha dunque lo scopo di fare promozione e
prevenzione.
Purtroppo non sempre risulta semplice coinvolgere i
cittadini nelle nostre attività; le persone che occasionalmente si avvicinano a
noi sembrano sempre non avere un problema diretto con la dipendenza e nessuno
viene mai da noi a dire: ho un problema. Al massimo chiedono aiuto per
conoscenti o parenti perché più di ogni altra cosa temono lo stigma e la
vergogna di ammetterlo agli altri ma soprattutto a se stessi. Non sanno che
ammettere di avere un problema significa aver percorso metà strada verso la
riabilitazione.
La nostra associazione al momento conta sette club
presenti sul territorio cittadino ed oltre alla condivisione delle esperienze,
molto spesso conduciamo delle vere e proprie scuole per le persone e per le
rispettive famiglie su argomenti che queste ultime hanno intenzione di
approfondire.
Questi incontri vengono gestiti dai cosiddetti
servitori-insegnanti (persone che in alcuni casi hanno vissuto esperienze collegate
all’alcolismo) che, mettendosi a disposizione e al servizio delle famiglie, donano
i loro insegnamenti e il proprio sostegno.
Sono le famiglie che stanno alla base dell’operato
della nostra associazione e per comunicarci la loro opinione o per fare
determinate richieste, abbiamo istituito due rappresentanti per ogni club della
città in maniera che tutte le famiglie abbiano modo di esprimere il proprio
parere e partecipino al processo decisionale.
L’idea che la sofferenza del singolo coinvolga anche
la famiglia è stata formulata dal professor Hudolin, che abbiamo citato
precedentemente, egli tuttavia non si limitò solo a questo, ma giunse a
sostenere che l’alcolismo non era da considerarsi una malattia bensì una
questione di forza di volontà. L’obiettivo della nostra associazione in
sostanza è proprio quello di alimentare questa scelta attraverso iniziative di
prevenzione, di condivisone e di informazione, come quella che abbiamo
programmato assieme all’Associazione Ippogrifo che ci ha invitati al Banco 46
(banco all’interno del mercato centrale) a parlare delle nostre esperienze al
fine di promuovere una cultura della salute in ogni suo aspetto e favorire una
piena consapevolezza della condizione di alcolismo.
Quando nascemmo nel 2007, ovviamente nessuno
conosceva il nostro potenziale, ma oggi a circa dieci anni di distanza siamo
fieri di dire che siamo riusciti a ritagliarci
un nostro spazio di competenza; certo, ciò a cui
aspiriamo può essere considerato un’utopia forse, ma i risultati che abbiamo
ottenuto in passato ci spingono ad andare avanti e le collaborazioni con la
UEPE, con il Comune e con numerose altre associazioni sono una valida
testimonianza del nostro successo. La gioia più grande però consiste nel vedere
la persona che con il nostro aiuto, ma soprattutto con le sue forze, riesce ad
uscire da una condizione di dipendenza arrivando così a riacquistare la propria
vita.
L’intero nostro operato si fonda sull’assunto che
nessuno debba sentirsi escluso, di conseguenza la maggior parte delle attività
che organizziamo sono gratuite e nella quota di partecipazione, che ogni club
raccoglie per sostenersi, solo un euro viene versato direttamente nelle casse dell’associazione.
Tutto si fonda sul volontariato e come diceva il professor Hudolin: meno soldi
ci sono meglio è.
L’unico servizio che comporta oneri finanziari, ma
che nel 2015 ci è stato sovvenzionato dal CESVOT, è il corso di
sensibilizzazione, al termine della quale frequentazione vengono formati i
servitori-insegnanti. Questi corsi, aperti a chiunque (familiari, medici e
persone che possono aver avuto problemi in passato) hanno lo scopo di sensibilizzare
i partecipanti nei confronti del fenomeno della dipendenza da alcol. Si tratta
di un bellissimo corso e tutti coloro che hanno vissuto quest’esperienza sulla
propria pelle hanno ammesso di esserne usciti arricchiti.
La nostra associazione è aperta a tutti e non pone
limitazioni di alcun tipo, né politiche né tantomeno religiose; accettiamo e
abbiamo tra di noi persone che soffrono dei disturbi più disparati perché
crediamo che tutte le persone siano uguali, soprattutto di fronte ad un
problema come l’alcolismo. Produrre inclusione sociale per noi è mettersi
insieme e lavorare mano nella mano a prescindere dai problemi che ognuno di noi
può aver incontrato durante la sua vita.
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