Questo articolo è il risultato dell'intervista che l'Associazione Mediterraneo ha condotto sul territorio livornese al fine di far conoscere alla cittadinanza alcune di quelle associazioni che si occupano di inclusione sociale.
Di Enrico Longarini, Virginia Gasperini, Alessio Polini, Alessio Torbidoni, Francesco Benvenuti, Paolo Di Giuseppe e Sabrina Caluri
Di Enrico Longarini, Virginia Gasperini, Alessio Polini, Alessio Torbidoni, Francesco Benvenuti, Paolo Di Giuseppe e Sabrina Caluri
Sessant’anni fa, ereditando e ispirandosi alle
vecchie esperienze della cooperazione solidale e del mutualismo operaio del
dopolavoro, nacque l’ARCI, l’Associazione Ricreativa Culturale Italiana. Si
tratta di un’associazione fortemente presente su tutto il territorio italiano e
arriva a contare circa settemila circoli.
Per molto tempo, la nostra principale preoccupazione
è stata quella di creare situazioni di agio e di benessere per le famiglie popolari,
organizzando per loro attività ricreative, ludiche e di relazione.
Ovviamente nel corso degli anni ci siamo dovuti
confrontare con le complessità che sono emerse a livello nazionale ed in
particolare ci siamo dedicati alla tutela dei diritti delle persone più deboli
e più fragili; ci occupiamo moltissimo di immigrazione e di promozione del
benessere sociale con una particolare attenzione rivolta a coloro che
appartengono alle fasce meno rappresentate e che in questa competizione
sfrenata che è diventata la vita rischiano di rimanere indietro sempre più sole
e isolate.
Nello specifico, negli ultimi anni ci siamo occupati
in maniera molto significativa della gestione di alcune strutture dedicate
all’accoglienza dei rifugiati che chiedono asilo politico e protezione
internazionale e dei diritti delle persone che sono state private della
libertà. In sostanza la mission di
questi ultimi anni sono stati l’asilo e le carceri.
Il nostro bacino di interesse socio-politico è
dunque composto da immigrati e persone meno abbienti, mentre i circoli sono
frequentati da cittadini che decidono di venire dopo il lavoro a giocare a
carte, prendersi un caffè e trascorrere un po’ di tempo in compagnia. Tale
modalità di ritrovo cela dietro la sua semplicità un messaggio molto profondo
che richiama le ultime forme di socialità popolare, di conseguenza, anziché
limitarsi a trascorrere un pomeriggio nella propria abitazione, la persona può
trovare un’occasione di confronto, di dibattito e di discussione perpetrando
così una forma di relazione sociale che nel chiuso di una casa spesso si perde
e finisce per divenire solitudine.
Usufruire delle opportunità e delle attività che
mettiamo a disposizione non è difficile, basta tesserarsi presso uno dei nostri
circoli al costo di 10€ annuali.
Oltre a queste occasioni di ritrovo la nostra
associazione crede molto nella cultura e nella progettazione e per questo gestisce
dei centri di accoglienza all’interno dei quali sviluppa poi percorsi culturali
e di inclusione sociale. Uno di questi percorsi è la Ciclo-Officina, iniziativa
che ha suscitato non poche polemiche; si tratta di un luogo dove ci impegniamo,
attraverso la riparazione di rottami di biciclette, a valorizzare le competenze
che alcuni ragazzi (quattro richiedenti asilo ed alcuni volontari) hanno nel
campo della meccanica. Gli oggetti riparati e trasformati acquistano così una
nuova vita e finiscono per essere venduti ad un’asta pubblica (naturalmente a
prezzi accessibili).
Ovviamente non siamo interessati all’aspetto economico,
anzi, il nostro scopo principale è far sì che i ragazzi diano valore e
significato al doppio aspetto del recupero e del riuso.
Riparare una bicicletta infatti non significa
esclusivamente aggiustare un mezzo di trasporto, ma per molti di questi ragazzi
rappresenta l’unico strumento di locomozione che nel loro paese di origine
potevano permettersi e così sono stati costretti ad imparare il valore del
riutilizzo.
La buona volontà e la disponibilità che questi
giovani dimostrano sono anch’essi aspetti importanti della loro vita e
rappresentano il momento di restituzione delle loro competenze e abilità nei
confronti della comunità che li accoglie.
La nostra associazione è composta da soci attivi e
da volontari, come persone in pensione o amici e anche se il volontariato è da
diversi anni in crisi e non possiamo “permetterci” volontari che lavorino ogni
giorno, il tempo che queste persone mettono a nostra disposizione rappresenta il
gesto più prezioso di cui ci possono far dono.
Così come accade nella nostra officina dove gli
utenti non sono solo i destinatari ma contribuiscono alla realizzazione di
determinati servizi, nel rapporto con i centri di accoglienza spesso ci
troviamo a negoziare e a costruire insieme a coloro che vengono ospitati in
tali strutture, percorsi all’interno dei quali possano sentirsi pienamente integrati,
come ad esempio la cucina, aspetto che ricopre un ruolo rilevante anche
all’interno di culture diverse dalla nostra.
Foto di Arci Livorno |
Questi e molti altri rappresentano solamente alcuni
degli obiettivi che ci eravamo prefissati e da quando la nostra associazione si
è costituita possiamo dire di averli ampiamente superati. A metà degli anni
novanta, ad esempio, a Livorno non vi erano strutture che si adoperassero
nell’accoglienza dei senzatetto e avendo a cuore il tema ci siamo impegnati a
condurre una forte pressione sull’amministrazione comunale affinché fosse data
una risposta a coloro che non solo non possedevano un tetto sotto cui dormire,
ma non avevano neppure voce in capitolo. Grazie al nostro intervento e alla
nostra collaborazione con le istituzioni furono così aperti i primi centri
dedicati ai senzatetto come il centro Homeless, il S.E.F.A., un centro di
accoglienza straordinaria temporanea o la Casa delle Donne, strutture nate in
quel periodo e tutt’ora in piena attività. Col tempo poi ci siamo dovuti confrontare
con nuove problematiche, come il tema dell’immigrazione, la cui rilevanza è
notevolmente cresciuta negli ultimi anni, ma l’idea che sta alla base del
nostro operato non è cambiata e abbiamo continuato a provare a fornire una
migliore qualità della vita a coloro che si sentivano soli e abbandonati.
Purtroppo lo scenario caotico e imprevedibile che si
delinea di fronte ai nostri occhi rende la progettazione di un futuro un
traguardo sempre più irraggiungibile e quelle che sono state le conquiste che i
cittadini hanno raggiunto negli anni passati sembrano svanire mano a mano che
il tempo trascorre. Il tessuto sociale si è ormai lacerato e la socialità, la
cooperazione e la solidarietà, essendo sempre più residuali, lasciano spazio a
forme di egoismo e individualismo. Se non riusciamo ad attuare un ripensamento
su di un intero sistema di valori, su una modalità di stare insieme le
conseguenza per i giovani, i nostri figli e i nostri nipoti potranno essere
disastrose. Tuttavia recuperare ciò che è stato perduto non è del tutto
impossibile a condizione però che da parte dell’azione politica e civile vi sia
una volontà di cambiare al fine così di rigenerare comunità ormai stanche e
dare di nuovo senso all’idea di cittadinanza.
Nonostante la nostra città sia ricca di
associazioni, la comunicazione tra di esse non è sempre del tutto efficiente;
noi comunque crediamo nel valore della collaborazione e della sinergia (senza
la quale sarebbe difficile portare avanti i nostri numerosi progetti) e anche
se forse sarebbe opportuno impegnarsi maggiormente e fare qualcosa di più, ad
oggi abbiamo rapporti attivi e paritari con Caritas, SVS, Misericordia e con l’amministrazione
comunale e le prefetture.
Trasmettere il nostro messaggio agli altri non è
sempre facile poiché trattando temi estremamente delicati come il carcere e
l’immigrazione dove il giudizio e soprattutto il pregiudizio sono molto
radicati, non abbiamo sempre risposte positive dal coinvolgimento della
cittadinanza; certo, in alcuni ambiti siamo ben accolti, ma generalmente le
persone non riescono a comprendere che difendere i diritti dei più deboli ad
una vita decorosa significa difendere anche i propri diritti. A tal proposito
un famoso scritto di Martin Niemöller
recita: "Prima di tutto vennero a
prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a
prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a
prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi
vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero
comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a
protestare". Dignità, rispetto e reciprocità sono elementi
fondamentali anche all’interno dell’ambito carcerario dove il detenuto, pur
avendo commesso un crimine, non smette di essere un cittadino e in quanto tale
conserva determinati diritti. Il diritto non è un optional, non è una merce, il
diritto è la funzione stessa della democrazia.
Inclusione sociale per l’ARCI significa dare
opportunità (e non vantaggi) alle fasce sociali svantaggiate e stigmatizzate
mantenendo con loro un rapporto di comunicazione aperto con lo scopo preciso di
abbattere il marchio sociale del pregiudizio che incombe su di loro. Immigrati,
ex detenuti, ex tossicodipendenti e persone con disturbi di natura psichica
devono essere capite per poter meglio relazionarci con ognuno di loro. La paura
e pensieri come “prima io e poi gli altri” portano soltanto ad una forma
primitiva di primato razziale ed ostacolano le capacità che ogni persona ha di
potersi misurare nel raggiungere i propri obiettivi.
Nessun commento:
Posta un commento