lunedì 26 settembre 2022

Riflessioni sul supporto: le reti sociali

Lo studio delle reti sociali è importante perché queste definiscono abbastanza oggettivamente quanto uno è solo o quanto uno è supportato dagli altri. Gli utenti dell’Associazione Mediterraneo affrontano una riflessione sulla salute mentale e sulle reti sociali e di supporto su cui possono fare affidamento in caso di bisogno di un aiuto concreto.

 

Alessio: quando ho bisogno di un aiuto concreto, in particolare economico, mi rivolgo alla mia famiglia; se invece ho bisogno di parlare dei miei vissuti emotivi so di poter contare su alcuni amici di vecchia data, e anche 4 o 5 amici conosciuti all’Associazione Mediterraneo e all’Associazione Arlecchino.

 

Davide: per quanto riguarda i problemi di salute adesso affronto tutto da solo; prima, quando avevo la fidanzata, era tutto più facile perché facevamo le cose in due: lei ad esempio mi aiutava a misurare la pressione, mi accompagnava alle visite o al pronto soccorso in caso di bisogno.

Adesso se mi sento male chiamo il Frediani oppure il medico di base.

Nel tempo libero invece chiamo sempre una persona, Antonio, con cui esco ogni tanto.

Infine, se ho necessità di un aiuto economico mi rivolgo a mio padre.

 

Antonio: io non ho nessuno su cui far conto, solo su me stesso. Se ho bisogno di aiuto concreto, in particolare per questioni amministrative e burocratiche, mi rivolgo a Cristina, un’operatrice del Frediani; mi rivolgo a lei anche se ho qualcosa di cui parlare.

Per il resto mi sento molto solo. Il mio unico bisogno è trovare lavoro, ma non trovo niente, neanche con l’aiuto del servizio.

 

Francois: se ho bisogno di qualcosa di concreto mi rivolgo principalmente alla mia famiglia.

Quando invece sento la necessità di parlare con qualcuno mi rivolgo prevalentemente a Paolo Pini e agli altri operatori dell’Associazione; parlo molto delle mie cose anche con le persone qui che reputo miei amici: son sicuro che anche loro sarebbero in prima fila in caso di bisogno.

Con la parrocchia che frequento invece ho avuto delle delusioni e quindi non mi rivolgerei a loro in caso di bisogno, non ho neanche dei veri amici in quell’ambito.

 

Stefano: prima avevo una rete sociale molto ampia, ma adesso la famiglia non c’è più; purtroppo con il passare del tempo anche le mie vecchie amicizie si sono un po’ affievolite, ne son rimaste pochissime di persone che reputo veri amici: il mio tempo libero lo passo con loro.

In caso di bisogno per questioni mediche posso chiamare il Frediani.

Per le questioni materiali invece devo passare sempre dall’amministratore di sostegno.

Nonostante tutto ciò, in generale non mi sento solo; solo quando ci sono state le ferie e Marco (il mio coinquilino) non c’era mi son sentito un po’ solo, perché spesso vado fuori con lui all’aperto a leggere un libro o a fare un giro e non averlo intorno mi ha fatto provare questa spiacevole sensazione.

 

Mariangela: tempo fa tentai il suicidio sdraiandomi sui binari del treno; per fortuna un signore mi fece un fischio ed io, per paura di essere arrestata, scappai.

Ero depressa, ero passata dall’essere una ragazza eccellente a scuola e nello sport a vedere tutto questo distrutto a seguito dell’insorgenza della malattia.

 

Ho tentato il suicidio anche da Calignaia; scrissi alla mia sorella un messaggio di addio, e mi gettai da una sporgenza atterrando su delle piante; mia sorella mi localizzò e quindi mi sono salvata e mi ricoverarono. Da quell’evento i miei genitori mi hanno chiuso in casa per anni, per non farmi uscire da sola. Questa mia forte depressione mi portò a sviluppare un’anoressia.

 

Nel 2006 poi ho conosciuto il mio salvatore: ero in Baracchina rossa e chiesi ad un ragazzo l’accendino; facemmo amicizia e da quel giorno venne sempre a trovarmi a casa mia. Con il tempo instaurammo una relazione, diventò il mio fidanzato, e mi invitò a convivere a casa sua insieme ai suoi genitori. Questo ragazzo mi aiutò davvero concretamente in quel periodo veramente brutto. Quando iniziai a stare meglio mi fece anche lavorare insieme a sua sorella al bar; lì per la prima volta mi sentii utile e iniziai a stare meglio anche fisicamente, uscii anche dall’anoressia.

Tuttavia da quel momento iniziai ad attraversare anche una fase maniacale e ho subito diversi ricoveri, alcuni anche di 50 giorni. Per fortuna il dott. Lucarelli piano piano è riuscito a contenermi grazie ai farmaci e mi ha inserito al Blu Cammello, che è stata un’altra svolta positiva della mia vita.

 

Adesso mia madre è morta e la mia rete sociale di supporto è costituita soprattutto da mia sorella; purtroppo ultimamente lei ha sofferto molto questa situazione da un punto di vista psicologico, perché comunque riconosco che è veramente impegnativo sostituire mia madre nello star dietro a tutte le mie esigenze. Si è rivolta anche lei al dott. Lucarelli, che le ha fatto iniziare un percorso psicologico.

Per un lungo periodo si è presa cura di me a 360 gradi, anche dal punto di vista economico, perché io non avevo alcun tipo di reddito.

In quel periodo mi sono rivolta anche alla Caritas, che mi aiutava fornendomi pacchi alimentari e vestiti.

 

Le amiche non ce l’ho più dal 2012, perché si sono trasferite fuori Livorno e adesso hanno tutte una loro famiglia. Successivamente ho provato a fare altre amicizie ma non ci sono riuscita, ho difficoltà a socializzare. Anche qui all’Associazione mi trovo bene con tutti, ma non riesco ad avere un rapporto particolarmente stretto con nessuno, non riesco a confidarmi. Solo con Sara siamo uscite un paio di volte un po’ di tempo fa.

 

Solo con il mio ragazzo riesco a sfogarmi un po’ per quanto riguarda tutte le mie vicende private.

 

Mio padre mi aiuta ancora un po’ economicamente, ma si lamenta e me lo rinfaccia sempre, quindi per me non è facile parlare a lui delle mie necessità e chiedergli un aiuto concreto. Vorrei poter contribuire anche io economicamente per raggiungere a livello psicologico una sorta di riscatto personale, perché attualmente per quanto riguarda questo aspetto mi sento una fallita.

 

Come rete di supporto quindi adesso io sento di avere mia sorella, la Caritas, il mio psichiatra (anche se ultimamente è un po’ assente) e l’Associazione; qui mi sento utile perché ho piccoli compiti da svolgere che mi fanno sentire gratificata.

 

Francesco: io mi sento abbastanza autonomo, ma se ho bisogno di qualcosa di pratico ho uno zio su cui so di poter contare.

Quando invece ho la necessità di parlare con qualcuno mi rivolgo ad un mio amico di vecchia data oppure Simone…quindi un paio di amici ce li ho.

 

Meri: la mia rete di supporto è costituita dai miei fratelli e mio cognato, la famiglia che mi è rimasta.

Al Servizio cerco proprio di non rivolgermici, mi sento di averne meno bisogno.

Se sento di dover di parlare con qualcuno ho alcune persone a cui rivolgermi, in primis Noemi.

In passato è successo di essermi sentita sola e non avevo nessuno a cui poter chiedere aiuto. Tuttavia posso affermare di non sentirmi assolutamente sola in questo periodo.

 

Virginia: io posso contare sulla mia mamma; si bisticcia spesso, ma poi per me c’è sempre: mi accompagna alle visite mediche, qui in Associazione, a ginnastica, alla fisioterapia o mi fa compagnia nel tempo libero. Anche mia nonna, quando era ancora viva, mi voleva insegnare a fare un po’ di cose, ma purtroppo non ha fatto in tempo.

Quando voglio condividere qualcosa di personale ho una mia amica che vedo pochissimo, ma che si interessa molto a me. Ho anche un’altra amica che conosco dai tempi delle elementari, abita vicino a me e pure con lei mi trovo molto bene.

Il gruppo di auto aiuto non lo sento molto adatto a me; è utile a volte per sfogarmi quando non riesco a farlo con mia madre.

 

Alfredo: attualmente non c’è nessuno, a parte qualche eccezione, che possa darmi una mano. Qui in Associazione ci sono altre persone che come me hanno già determinati problemi e non mi va di condividere con loro anche i miei.

Dal Servizio mi sento trascurato: dal dott. Signori non mi sento realmente ascoltato, tutto quello che gli dico gli scivola addosso; mi trovavo molto meglio con il dott. Cherubini.

 

Prima avevo un unico vero amico, che però adesso purtroppo è morto diversi anni fa. Mi resta difficile quindi aprirmi con gli altri, un po’ per come sono io, un po’ per vari altri problemi; mi risulta molto difficile condividere certe cose, quindi preferisco non farlo.

 

Non vedo davanti a me soluzioni per il mio futuro perché mi manca la mia vecchia identità che ho perso; quando lavoravo avevo lo scopo di insegnare ai ragazzi ciò che sapevo, ed era una gratificazione. Adesso non sento più di avere la luce dentro gli occhi quando faccio il mio corso di disegno qui in Associazione, e non riesco più ad averla.

 

Per quanto riguarda la famiglia stendiamo un velo pietoso.

Ho solo una sorella: mi ha detto che il prossimo anno va in pensione, vorrebbe sistemare la casa e invitarmi ad abitare con lei; deciderò, ma ad ora non ne sono così convinto.

 

Con il coinquilino non posso parlarci di niente, non lo reputo assolutamente affidabile.

Anche con il parroco della chiesa che frequento mi capita di condividere alcune questioni personali, ma anche da lui non mi sento assolutamente gratificato.

 

In conclusione so di dover fare affidamento solo su me stesso. Non ho più sogni, non ho più speranza e ho perso anche la mia identità; non vedo spiragli di miglioramento.

 

 

Conclusione:


Le reti sociali sono uno strumento di supporto che l’individuo può ricercare nei momenti di bisogno; se una persona sente di non avere speranza potrebbe avere difficoltà nel sentirsi libero, perché è come se mancasse del motore principale della sua esistenza.

Spesso il disturbo mentale è associato ad un impoverimento della persona; se una persona, sicuramente a causa della propria fragilità dovuta alla malattia, inizia ad avere una serie di esperienze negative, entra in un circolo vizioso dal quale poi è difficile uscire.

 

L’impoverimento delle reti sociali non è un aspetto che viene sufficientemente ed efficacemente monitorato e su cui ci si focalizza nell’approccio al disagio psichico, al contrario dell’attenzione data agli indicatori specifici della malattia stessa.

La fragilità è data dalla malattia, ma spesso anche chi riesce a gestirla con un intervento o un trattamento, resta circondato da alcune difficoltà aggiuntive; l’attenzione dei Servizi e degli enti dovrebbe essere rivolta quindi ad azzerare, o almeno limitare, anche questi elementi di fragilità, perché spesso l’individuo da solo non riesce a fronteggiarli. Il disagio psichico è invece notevolmente associato anche all’impoverimento della rete sociale soggettiva e va quindi preso in considerazione quando si lavora all’interno dei servizi di salute mentale per garantire un approccio completo ed integrato all’utenza.

Sarebbe auspicabile quindi che lo Stato intervenisse formalmente con alcune misure concrete per riuscire a rendere libere le persone; infatti, se le reti sociali per un individuo sono assenti a causa del suo impoverimento generale, sarebbe necessario che venissero sostituite da reti formali che diano dei supporti concreti come ad esempio le pensioni e il lavoro.


La Redazione

Nessun commento:

Posta un commento