giovedì 16 febbraio 2017

Con gli occhi dell'innocenza

Di Meri Taccini


Oggi vi voglio raccontare di quando a circa sei anni, con l’innocenza di una bambina, mi ritrovai a vivere insieme ai miei genitori e i miei fratelli alla Valle Benedetta, la grande collina che domina l’intera città di Livorno. Dopo la morte di mio nonno nel 1961 mio padre obbligò tutta la famiglia a trasferirsi lassù, in quel posto desolato e così lontano dalla città. All’epoca non potevo certo rendermi conto del luogo nel quale mio padre ci avesse portato, ma anni dopo capii. Vivevamo in una baracca, un tugurio distrutto e pericolante che lui considerava una vera e propria casa; all’interno vi erano due stanze, la cucina e la camera dove, come in un accampamento di zingari, dormivamo tutti insieme. Mentre i miei fratelli e mia madre si interrogavano sul motivo che aveva spinto mio padre a lasciare la casa che avevamo in via Garibaldi, in pieno centro città, io trascorrevo le giornate correndo felice con Maurizio, un bambino che avevo conosciuto e che da lì a poco divenne mio amico. Ricordo che insieme a lui scoprii la vera felicità, quella più concreta e autentica che un bambino possa provare. Malgrado i disagi e le difficoltà che tutti ci trovammo ad affrontare (mia madre e i miei fratelli ricordarono infatti quel periodo come uno dei più brutti della loro vita) per me, spensierata bambina di soli sei anni, la vita all’aria aperta, accompagnata dalla purezza dell’amicizia si rivelò una splendida avventura. 

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