mercoledì 12 aprile 2017

La mia vita, un romanzo giallo nero

Di Luana Baldacci

Nel 1938 la mia vita, un romanzo giallo che comincia da quando ero ancora in pancia della mia mamma e non finirà mai, mai! Marzo 1941, avevo allora appena compiuto tre anni, ed ero a casa dei miei nonni, nonno Francisco e nonna Nella. La mia testa di piccolina immagazzinava tutto ciò che vedevo e sentivo, il mio cervellino cercava disperato di dare un senso a tutto ciò. Ma ero proprio piccola e tutto rimaneva chiaro dentro il mio cuoricino sofferente per non avere la facoltà di far capire ad altri che io capivo tutto ciò che sentivo e vedevo. Troppo piccola per parlare ma già grande per capire. Quel giorno, io ero sdraiata nel lettone dei miei nonni abbracciata da mio nonno che stava poco bene, mi era stato detto di non dare fastidio al nonno e di non svegliarlo se si fosse addormentato. Io me ne stavo, come al solito, ferma ferma con il braccio del nonno che mi teneva stretta al suo corpo. Il suo braccio cominciava a freddarsi piano piano ed io con le mie manine cercavo di coprirlo un po’ di più,  ma non ce la facevo e non avevo il coraggio di levarlo dal mio corpicino e così rimasi immobile e tranquilla per non svegliarlo. Il nonno aveva da poco fumato una sigaretta, non so quanto fosse quel poco, poi si era addormentato. Dopo cominciò la confusione, di grida e di pianti di mia nonna e delle zie. Poi entrò nella stanza un signore con una valigetta dalla quale tirò fuori una cosa che si pose alle orecchie e scuotendo il capo girandosi verso mia nonna, che stava abbracciata ad una mia zia, singhiozzando disperatamente ed io non riuscivo a capire il perché. Io ero ancora sdraiata lì, non mi ero mossa di un centimetro, quando quel signore prese il braccio di mio nonno io sentii un terribile crack, che porto ancora nei miei orecchi, e dissi  piano: Non fare male a mio nonno, non lo svegliare!
Poi fui levata dal lettone e fui messa in fondo alla stanza su una grande poltrona e così assistetti a tutto ciò che facevano a mio nonno. Lo vestirono per benino e nonno non si muoveva né si ribellava. I miei occhi si spalancavano sempre di più per seguire tutto ciò che accadeva mentre il mio cuoricino batteva sempre più forte dentro di me. Poi portarono in camera un letto di legno fondo e foderato con dentro un cuscino viola. Poi quattro persone vestite di un lungo abito nero un cordone bianco alla vita e un cappuccio con due fori all’altezza degli occhi, presero il nonno e lo misero dentro quel letto di legno. Io ero terrorizzata e mi domandavo perché quelle brutte persone avessero messo il nonno lì dentro e lo avessero chiuso con una tavola e lo portassero via. Cominciai allora a chiamarlo, urlando con tutta la mia voce; nonno, nonno svegliati, non andare via, non andare… Qualcuno venne verso di me e mi disse: Non gridare Luana, il nonno non può venire da te perché è morto ma io non capivo quella parola, cosa voleva dire che era morto? Faceva freddo e la stanza, a cui avevano spalancato la finestra, mi faceva tremare, avrei voluto piangere, ma io sin da allora e anche prima non piangevo mai, ingoiavo la saliva che mi riempiva la bocca e spalancavo ancora di più i miei occhi terrorizzati. Fu allora che vidi il diavolo! Era mio “padre” che veniva a portarmi via per riportarmi a casa dove, mi disse, c’era la mamma che era tornata a casa dopo essere stata all’ospedale con la mia sorellina Silvana. Io mi divincolavo fra le sue braccia terrorizzata, con il cuore e la testa in tumulto, e pensavo che tutto sarebbe ricominciato come prima, come prima… Mi mise seduta sopra la canna di una bicicletta nera con un cuscino sotto il sedere e le mani afferrate al manubrio di essa, dicendo con voce cattiva: Cerca di stare ferma altrimenti ti faccio cadere! Io annuii con la testa tenendo la bocca, con le labbra serrate, chiusa e dolorante. Sapevo bene che ciò che aveva detto lo avrebbe fatto certamente e così arrivammo al Collesalvetti dove abitavamo e dove avrei abbracciato la mia mamma! A casa, mi dicevo parzialmente fra la contentezza e l’angoscia che mi attanagliavano! Ricominciò così lo scorrere del mio romanzo giallo che ancora oggi non ho finito di leggere e non arriverò mai a finirlo perché arrivai a dirmi che più che un giallo era di terrore e di paura vera. Per ora mi fermo qui perché oggi non sono in grado di definire su queste pagine tutta la mia ingrata sofferenza e le angherie subite da lui. So solo che non potrò mai e poi mai perdonarlo del male che ha fatto a me e alla mia mamma Amelia!

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