Di Luana Baldacci
Marina di Pisa,
luglio, sabato 1954.
A Marina di
Pisa, ,oltre ai parenti che mi avevano buttata fuori perché
avevo il ragazzino più grande di me di tre anni (Gianni) e che mi avevano rispedita a
Livorno dall'unica persona che odiavo da sempre "mio padre", fortunatamente avevo tanti altri parenti. Qui avevo mia nonna Olga, mio zio Renzo, sua moglie, zia Bruna, due
cugini anzi tre, Stefania, Olghina e Patrizio Baldacci che non avevano niente
in comune con il malefico fratello e figlio "mio padre" quindi io, il
sabato sera andavo da loro ed ero felice di farlo perché con loro stavo bene. Ogni sabato che
andavo là, andavamo a ballare al Circolo ricreativo del partito Socialista,
gestito dalle mie care “ziette” e dal marito di una di esse, per far vedere a
loro che io ero viva e vegeta, con tanta voglia di far loro vedere che in fin
dei conti non mi importava niente di quello che loro pensavano di me! Era una sorta di
rivincita che mi prendevo contro la loro cattiveria nei miei confronti e con la
mia certezza che avrei ritrovato il mio Gianni. Tuttavia ciò non avvenne in
quel periodo estivo. Quell'anno avevo
compiuto sedici anni ed ero particolarmente in vena di divertirmi a più non
posso e di non perdere nemmeno un ballo. Quindi per quel
primo sabato di luglio, mi ero cucita un bel vestitino di raso, rosa acceso
tendente al rosso, scollatissimo dietro, che mostrava le mie spalle scurite dal
sole, sino alla mia vita sottile, la gonna corta davanti e più lunga dietro e
mi sentivo bella con i miei lunghi capelli tirati indietro e fermati da un
fiocco ricavato da una striscia del mio vestito e niente trucco, ero proprio me
stessa in versione ballerina con sandali di vernice nera uguale alla pochette
dove tenevo i miei soldi, le sigarette e le chiavi di casa. Io, mio zio
Renzo e mia zia Bruna eravamo seduti in fondo alla sala con davanti un tavolincino
con sopra le nostre bibite, quando improvvisamente entrarono nella sala tre
americani, militari di Camp Darby, due erano bianchi mentre uno era scuro di
pelle. Erano proprio tre bei ragazzi. Si sedettero al
tavolino vicino a noi. Venne da me un
ragazzo di Marina di Pisa, io mi alzai e feci i tre classici balli con lui. Ci conoscevamo e
durante il ballo chiacchierammo e ridemmo allegramente poi facemmo i successivi
tre balli e finiti questi mi riaccompagnò al tavolo dicendomi: «Sei proprio bella e brava, ciao a dopo Luana!» Sorrisi e gli
feci ciao con la mano. Sentivo gli
occhi dei miei parenti fissi su di me e questo mi divertiva e
contemporaneamente mi infastidiva, ma niente di più. Ero bella, ero
felice e gli andavo placidamente in tasca a tutti e quattro compresa mia cugina
Paola, che ininterrottamente si sbaciucchiava in mezzo alla sala con il ragazzo
con cui stava ballando. Ad un certo
punto girai lo sguardo verso il tavolino degli americani che momentaneamente
stavano bevendo una birra e ridevano contenti. Ricominciò la
musica e due di loro (i bianchi) cominciarono a chiedere alle signore e alle
ragazze di ballare con loro; così cominciarono a ballare li guardai e vidi le
loro bianche camice appiccicate addosso dal sudore che significava che non
erano al loro primo ballo, mentre il compagno di colore era ancora asciutto e
cosi capii che lui non avrebbe ballato mai! Mi alzai di
scatto dalla sedia e nonostante il richiamo di mio zio, andai verso di lui e
farfugliando e facendomi capire a gesti gli chiesi di ballare con me. Lui mi guardò
serio e si presentò. Si chiamava John, così io gli detti la mano e risposi
tirandolo un po’: «Piacere Luana, voglio ballare con te!» Lui mi mostrò
terrorizzato il viso (bellissimo) e disse: «Io nero, tu bianca...»
Lo guardai
diritto negli occhi e cosi per battuta dissi: «Viva la Juve...» E così lo feci
alzare dalla sedia tirandolo verso la pista da ballo. Il primo ballo
era lento, e vabbè, mentre il secondo fu un boogie woogie e la sala cominciò a svuotarsi.
Io d’istinto pensai ed alta voce e dissi: «Quanto siete
ipocriti e meschini!» Intanto io e il
nero, (non troppo nero) ci scatenavamo in balli sfrenati, dal boogie woogie al
rock latino americano che erano stati richiesti all’orchestra dai suoi due
compagni che smisero di ballare per guardare me e John che, quasi senza fiato,
ballavamo ininterrottamente i nostri infiniti e veloci balli. Io mi ero tolta
i sandali con il tacco alto e nonostante gli arrivassi alle ascelle non persi
un passo e stavo impazzendo dalla contentezza e cosi diventai lo scandalo di
Marina di Pisa; ma a me non me ne importava niente, proprio niente. Ero giovane, ero
bella, ero felice di tutto questo e non provavo nemmeno un po’ di vergogna pur
sapendo che in quei balli scatenati le mie belle gambe di ragazzina ribelle erano
state viste in tutta la sala. Fu una serata
bellissima e non me sono mai pentita neanche un po’ perché non sono mai stata
razzista e ipocrita come i miei parenti che andavano tutti i giorni a battersi
il petto in chiesa!
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